SOTTO LA LUNA DI SAN LORENZO. Ricordo del poeta Biagio Propato (1952-2022)

Era la tarda primavera del 2011 e una sera mi ritrovai con Laura, mia compagna di allora, nel quartiere romano di San Lorenzo. Non so per quale motivo entrammo in un bistrot chiamato Don Chisciotte, e non so come venne fuori, chiacchierando col gestore o coi camerieri, che io mi occupassi di letteratura. Così come non ricordo chi m’indicò un uomo dicendo: «Parla con lui: è un poeta». Io mi rivolsi a quel signore in abito “casuale” e cappello panama, coi capelli lunghi e la sottile barba ingrigita, l’occhio sornione e distaccato che, alla mia domanda se lui fosse effettivamente un poeta, rispose: «Non so né leggere né scrivere, non ho neanche finito le elementari». Voleva schernirsi, con malcelata ironia, e, al contempo, disarmarmi. Bastò continuare a conversare perché mi accorgessi di avere a che fare con un vero poeta, il quale, oltre ad aver terminato le elementari, aveva conseguito la laurea in Lingue e Letterature straniere, per poi diventare insegnante di Inglese. Era Biagio Propato, che della sua Lucania aveva conservato certe intonazioni dialettali e una “petrosa” ma delicata sensibilità che me lo fecero subito apparire come un uomo da scoprire. Da allora sarei tornato spesso al Don Chisciotte (gestito dal fratello di Biagio) che aveva ospitato incontri letterari con alcuni dei migliori nomi della scena romana degli anni Ottanta e Novanta, come Dario Bellezza, Amelia Rosselli, Vito Riviello e Dante Maffia. In quelle chiacchierate infinite, rinfrescate dalla brezza notturna e trascinate fino all’alba, quando ci ridestavano il volo basso dei gabbiani e il desiderio di rinfrescarci bevendo dai “nasoni”, c’era tutto il desiderio di Biagio di raccontarsi, di esperire le idee e i sogni maturati nella memoria, e la mia necessità di confrontarmi con una personalità così prepotente e squisita, così prodiga di consigli e di racconti.
Mi raccontava dell’esperienza di Castel Porziano, quando nel 1979 ci fu l’indimenticabile quanto caotico festival di poesia che spaesò i grandi nomi che vi erano stati chiamati ad intervenire, ad eccezione di Allen Ginsberg, abituato a confrontarsi con la gioventù “scapigliata”, che per Biagio era stato un mito della giovinezza. Lui infatti si era formato con gli autori “on the road” (come il già citato Ginsberg, Kerouac e Gregory Corso) che io non conoscevo ma che in fondo non erano se non dei moderni “decadenti”. E nel campo della poesia francese “maledetta” io e Biagio trovavamo un comune terreno d’incontro e di passione. Una volta gli diedi da leggere alcune mie acerbe prove poetiche che lui ebbe a definire “parnassiane”; aveva ragione, perché intrise ancora di “letterarietà”, la stessa da cui lui e la sua generazione avevano fatto di tutto per liberarsi, a cominciare da quella delle cosiddette “neoavanguardie”. Ebbi modo di conoscere la sua opera quando mi donò una rara copia del suo primo libro, Gobi. Viaggio nel negativo (Roma, Edizioni Moloch, 1986). Si tratta di un poema in trentatré canti in cui l’Io, su cui pure è incentrato il racconto, trova la sua realizzazione dissolvendosi nell’unità cosmica, dove Eros e Thanatos, furia e ragione, carne e spiritualità possono coesistere in un tripudio di onniscienza e di oblio (in questo più vicino al Rimbaud della Stagione all’inferno che a quello delle Illuminazioni):

Mondo non visto, cosa ho fatto per esserti parte?
Vorrei in quest’ora gelida librarmi
e sapere che l’impossibile è,
instaurare tra me e me
un giorno di piena quiete, una quiete notte,
giungerti parte, mio niente,
ombra di me semplice, divorato.

Sibilante tra gli atomi inconcreti
darmi terra per poco
assaporare i cibi
che voi mangiate.
In un attimo di lucida mente, stupirmi di me,
carezzare fogli, riempire di vuoti.

Ma potrà dal centro del mio occhio
venire la nuova?
O attecchire come grano curato dal dio?
O abbondare la luce di me
che mi sono spento dandomi tutto
come un giorno accadrà al sole?

Un pomeriggio assistemmo insieme alla proiezione di Poeti, il documentario di Toni D’Angelo che vedeva Biagio Propato protagonista, al fianco di Salvatore Sansone, e che nel 2009 era approdato con successo al Festival cinematografico di Venezia. Il regista s’interrogava sulla possibilità di ripetere un evento come quello di Castel Porziano e per farlo si confrontava con alcuni nomi “istituzionali” della poesia, come Maria Luisa Spaziani, Elio Pecora e Dante Maffia, e con giovani autori “metropolitani”, come Cony Ray, Paolo Pagnoncelli e Silvia Bove. Biagio colse l’occasione per far notare certi suoi apporti estemporanei alla pellicola, come quando improvvisò una partita a bocce con delle pigne, smorzando il tono un po’ serioso che un’intervistata stava creando che le sue letture.
La mia breve permanenza a Roma terminò all’inizio dell’estate, anche per la rottura del rapporto con la mia compagna, ma cominciai subito a corrispondere con Biagio. Gli scrissi una prima lettera, inviandogli anche una mia scelta di versi e di traduzioni (soprattutto dal francese). Così mi rispondeva l’8 luglio 2011:

Caro Andrea, come stai? Ti ringrazio di tutto, veramente di cuore: delle tue poesie, di quelle ottimamente tradotte, della bellissima lettera, dei dialoghi senza fine, sotto la luna di San Lorenzo. Io continuo ancora a fare le mie passeggiate “consapevoli” per Roma, sperando di imbattermi, prima o poi, in un “Satori”.
«Even let the fancy roam / pleasure never is at home», scriveva il giovane J. Keats, e credo che avesse ragione. Mi dispiace per quello che è successo con Laura. «All’s well that ends well». «The rest is silence».
Ricevi da me un abbraccio molto affettuoso. A presto. Biagio

Tuttavia quell’estate ebbi modo di ritornare nella Capitale, in compagnia d’un amico russo. Camminando per i Fori imperiali rividi con sorpresa Biagio, seduto a riposarsi da una delle sue instancabili passeggiate “di sole”. Fu l’occasione di una nuova e splendida chiacchierata, nonché di alcuni scatti fotografici che, a ricordo della nostra amicizia, ci ritraggono insieme. Doveva aver maturato non so quale stima del sottoscritto per arrivare a chiedermi, nel luglio 2018, di scrivere la prefazione alla sua nuova raccolta poetica ma io, che in quel periodo ero saturo d’impegni, gli pregai di avere pazienza; gli dissi poi che se avesse avuto fretta di pubblicare avrebbe potuto rivolgersi a qualcun altro, senza timore di dispiacermi. La cosa purtroppo non andò in porto ed ora, che scopro della sua scomparsa, a soli settant’anni, ne sento un profondo rimorso.
Di Biagio Propato oggi resta il ricordo dei suoi amici, dei moltissimi ragazzi che ne hanno vissuto l’opera frequentando la persona, dei giovani autori che hanno conversato con un vero poeta, capace di fondere le visioni del suo Meridione con l’assolata desolazione di una Roma di cui è stato un protagonista errante ma lucido fino all’estrema consapevolezza. 

Sulmona, 6 maggio 2022

in copertina Joan Mirò, Pesonage and Moon 1950

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