Lucy Compagnino, “Ho scritto meno che potevo”, versi ondosi che “spostano l’orizzonte dalla terra al cielo”.

Splendidi versi ondosi che spostano l’orizzonte dalla terra al cielo, agli spazi interminabili della parola stessa, voce d’anima che sorge d’impeto e intreccia da una composizione all’altra speranza e remissività, la resilienza al dubbio, e insieme esalta il ruolo del respiro, dello slancio vitale di uno sguardo posto come una sentinella sul confine, da sponda a sponda. La metafora del mare converge in un linguaggio più diretto a puntualizzare i motivi di un’assenza ingigantita dal silenzio che parla di respiro e battito spinti al largo e in alto, dove è ancora possibile sognare la bellezza e ricondurla a sé, superare la dolorosa condizione umana di esiliati. Nella raccolta inedita di Lucy Compagnino, di cui presentiamo alcuni testi, colpisce la naturalezza espositiva con la quale scrive dei luminosi incontri sia sul piano fisico-emotivo che onirico, con una pronuncia nitida che esalta, del percorso emozionale, i momenti intensi, coinvolgenti d’una creatura che crea, e creando coglie l’essenza della vita.

(Maria Gabriella Canfarelli)

 

 

Ho dormito il mondo.

Con questa balbuzie del cuore
incedo
come serva di crepe, del senso che s’inceppa
e china su questo ceppo di carta
in un fermo di parole
mi fuggo
facendomi sogno
sognato
qui mi conta la sera nell’ovile
la pecora lanosa
sono una delle sue cento stelle
sono il suo desiderio di una quiete d’amore.
Oh mettere a riposo
dolcemente
finalmente
in una tana di luce
le creature dell’universo
essere il loro sogno
sognato.

Questo mio corpo che pare intero
ha precise feritoie nascoste
e io da lì, con folle volo, passo.
Ho dentro una geografia che brucia
di cose vive come i sogni.
Ti lascio il mare Ulisse, ti lascio gli eccessi
e l’inganno di una città arsa,
io sono il ciottolo che si abbandona alla risacca
a me profuga toccano lidi sconosciuti
rive di universi altri.
Mi leggerà questo cuore eroso
un’altra nomade, la zingara
che dall’altra parte della riva,
nel palmo della sua mano caldo
mi radicherà a un senso ancora largo.

O magari avrà un senso,
anche minimo, il nostro destino di matrioske.
Sono io la più piccina, quella giù in fondo, intera e sospesa,
sono io quella che inesiste ancora?
Ma scrivo parole stremate
e magari esisto davvero,
magari mi sveglio soltanto
dall’altra parte di me stessa.
Come fossi qualcuno o qualcosa
sulla punta della lingua
che non riesco a dimenticare.

Somme

Siamo stati un paese l’un altro visitato,
il nostro amore è stato a vicenda
un asilo temporaneo nell’eterno che non dura,
oggi che è il nostro anniversario
guardo invogliata il souvenir del tuo occhio
che mi sono portata a casa
come traccia che tutto è stato vero,
anche il dolore, anche l’amore,
oggi che è il nostro anniversario
che anche tu tieni in giro il mio cuore
impolverato
siamo sempre i due esuli di vent’anni prima
oggi che è il nostro anniversario
non spegniamo nessuna candelina
nella notte due finestre lontane
due guardiani dell’amore finito
che fa somma di luce all’universo.

Mi trovi in questa pozza d’anemia
dissanguata di parole
nel vuoto di un bosco arso
ho capito quanto l’universo
sia per sé così forte e silenzioso
e non disperi voce alcuna
che lo scriva.
Siamo questi secondini di noi stessi,
creatori disperati.

Solo nel bosco che non ha centro
scrive la poesia,
solo nel bosco nel suo non dove
d’intricata bellezza stanno genuflesse le parole.
Mi trovi dentro la corteccia affaticata
sola nel bosco
sono vicinissima alla vita,
nella terra che conservo gelosa
sotto un’unghia
lungo i sentieri che portano dappertutto.

Scadenze

Un giorno andrò da me stessa
e le dirò, sì, di prendersi la sua parte di dolore e di terrore
e di terminare pure la fetta di torta rubata
con dentro l’odore buono del giorno,
di chiudere le imposte quando fa troppo freddo
e lasciare fuori i morsi della rabbia,
le dirò di continuare ad indossare
gli orecchini sempre spaiati
come due solitudini a specchio,
di tenere il reggiseno slacciato
e liberare la carne dalla costrizione,
le dirò di portare dietro l’orecchio
il solito fiore violetto
e al collo di tenere ancora il cammeo
con dentro tutto il suo amore taciuto,
le dirò che il treno in cui non è salita,
distratta dal sughero che le parlava
portava sempre allo stesso punto della vita,
le dirò di ringraziare quel legno portato dalla corrente
e la sua memoria d’abisso e di luce
e di farsi ora una puerile carezza,
le dirò di perdonarsi la paura di vivere
che le è stata sempre accanto
e di benedirsi per quel suo eccesso di vita
come se non avesse visto prima
niente di più bello,
e le dirò pure di giungere a quell’Ovest di paura
al passo terribile
con lo zucchero filato
ancora agli angoli della bocca.

Nata a Catania nel 1972, Lucy Compagnino vive a Scordia e insegna Lettere nelle scuole superiori. Impegnata in diverse iniziative volte a promuovere la lettura, tramite presentazioni di autori e libri, collabora con alcune associazioni culturali presenti nel territorio. Fa parte del Comitato di gestione della Biblioteca Comunale di Scordia. Semifinalista nel 2020 alla II edizione del premio “Etnabook” nella sezione poesia e Un libro in una pagina (testi pubblicati nell’antologia Premio Letterario Etnabook, Cultura sotto il vulcano, II Edizione 2020).  In occasione del concorso letterario “Cronache dalla quarantena. I lettori si raccontano” promosso dalla casa editrice Nutrimenti Edizioni, il suo racconto, Pensieri intensivi, è stato selezionato per un e-book gratuito. 

in copertina, Vincent van Gogh, Ramo di mandorlo, 1890. Courtesy of the Van Gogh Museum, Amsterdam

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