Pierino Porcospino e l’analista selvaggio

anteprima

Le conferenze di Georg Groddeck sulle filastrocche di Heinrich Hoffmann

Conosciuto al vasto pubblico come autore del Libro dell’Es, Georg Groddeck  (Bad Koesen 1866- Zurigo 1934) viene al più ricordato in ambito medico e psicoanalitico come l’analista selvaggio e il pioniere della medicina psicosomatica, colui dal quale Freud “prese a prestito” il celebre termine Es. Nemico di scienziati, moralisti, medici e psichiatri che amano un sapere ordinato e razionale, il “Kaiser Groddeck” (Ingeborg Bachman) “fanatico della medicina”  (Ernst Simmel), “eccentrico all’ennesima potenza” (Hermann Keyserling) sembra essere piuttosto un medico prestato alla letteratura. Saggista prolifico, scrisse sull’arte e il teatro, il romanzo psicoanalitico Lo scrutatore d’anime, intrattenne carteggi memorabili con Freud e con Ferenczi. Il suo linguaggio insaturo, paradossale, non definitorio, le sue idee ricche di illuminazioni folgoranti ma anche di suggestive contraddizioni, di “stupidaggini esatte” (J.B. Pontalis) hanno consentito di farci ammaliare dalla sua figura e di riconoscerci come “groddeckiani selvaggi” (Edoardo Sanguineti) ma nel contempo hanno forse lasciato in secondo piano aspetti fondamentali del suo percorso. Molte questioni oggetto di dibattito nell’attualità, quali l’evoluzione verso una partnership del rapporto medico-paziente, la mutualità, la soggettività e la self-disclosure dell’analista, la formazione in medicina e il potere del terapeuta “esperto delle paure altrui” sono ben rintracciabili. Echi e consonanze del pensiero di Groddeck e del suo approccio clinico, quasi sempre sottaciuti o solo timidamente citati, s’incontrano spesso nella letteratura più recente.

Grazie all’approfondita biografia Georg Groddeck Una vita di W. Martynkewicz  e all’incessante lavoro della Groddeck Gesellschaft, coadiuvata dallo stesso biografo, di pubblicazione dell’opera completa, è possibile non solo accedere a numerosi inediti (tra cui alcune lettere a Freud e a Ferenczi, scritti autobiografici mai editati in vita) ma riscoprire “autentici gioielli”. Tra questi emergono senz’altro le conferenze, tenute da Groddeck  per oltre un decennio, su Pierino Porcospino, le cui illustrazioni troneggiano da sempre indisturbate in bella vista sulla copertina delle varie edizioni de Il libro e de Il linguaggio dell’Es, oltre che della prima biografia dell’”analista selvaggio”. Per ironia della sorte, o meglio per un abile scherzo dell’Es, nessuno dei libri sopracitati le contiene e il Nostro, che considerava il libro di filastrocche per bambini dello psichiatra H. Hoffmann “il Cantico dei Cantici dell’inconscio per adulti”, finché fu in vita non riuscì a pubblicarle. Esse vengono qui proposte insieme alla “Trentaquattresima lettera a un’amica”, già presentata in appendice all’edizione italiana della biografia di Martynkewicz, ma assente nel Libro dell’Es, ritenuta particolarmente significativa per comprendere i temi della rimozione e della guarigione, l’ ES groddeckiano rispetto a quello freudiano.

I testi di Groddeck sono seguiti dalla splendida recensione al Libro dell’Es da parte della poetessa Ingeborg Bachmann, che più di altri sembra essere stata capace in poche pagine di fornire un ritratto appassionato dell’analista selvaggio senza tralasciarne le ombre. Anche questo scritto è una bozza che avrebbe dovuto uscire nel 1967 sul giornale “Der Spiegel” ma non fu mai pubblicato.

Accanto a contributi di vari autori (psichiatri, psicoanalisti, poeti) che indagano secondo vari approcci il Pierino Porcospino, la figura di Groddeck e le sue relazioni con i primi psicoanalisti, il volume contiene le filastrocche di Hoffmann nella traduzione di Gaetano Negri e gli acquarelli di Gretchen Lange.

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due estratti dal saggio Pierino Porcospino e l’analista selvaggio a cura di Giancarlo Stoccoro, ADV Publishing House, Lugano, 2016  

“Ho raramente parlato di un tema con tanto piacere e sicurezza, come a Berlino con Pierino Porcospino. Mi rimane da sapere adesso se mi sarà possibile mettere per iscritto ciò che si è lasciato dire con tanta facilità. Il fatto di scegliere questo libro per bambini come quarto manuale di psicoanalisi e di concludere con esso le considerazioni sulla letteratura psicoanalitica, significa in primo luogo che ho trovato alcuni elementi del pensiero analitico che mi sembravano prestarsi particolarmente allo studio e nient’altro. Non ho bisogno di parlare del valore artistico di quest’opera. Personalmente non dubito che Pierino Porcospino, nel suo genere, non meriti l’epiteto di miracolo della poesia, quanto altre opere letterarie; ha il suo posto nella biblioteca di tutti coloro che vogliono comprendere qualcosa della letteratura; dovrebbe essere studiato da tutti coloro che vogliono occuparsi scientificamente dell’uomo e dell’anima umana. In altri termini: Pierino Porcospino è, nel senso più vero, un libro per i bambini di tutte le età, centenari inclusi. Le persone che si credono adulte non dovrebbero prenderlo in mano: non comprenderebbero niente. Con tutta la loro noiosa serietà sono senz’altro degli esseri viventi, ma questo non vuol dire ancora che vivono. Perché vivere, questo sì, vuol dire essere doppio: essere pronto ogni istante per la serietà ma anche per lo scherzo.

Il bambino conosce questa doppia natura della vita. L’adulto deve acquisire di nuovo questa conoscenza. Non possiede l’elasticità necessaria per considerare le cose tanto dall’alto quanto dal basso, tanto dal davanti che da tergo, dal lato destro che da quello sinistro; tenterà sempre di farsi un’immagine univoca, di razionalizzare; non è fatto per l’irrazionale dell’esistenza. É perché non si sa cosa fare di un libro così ambivalente come Pierino Porcospino; si crede davvero che si tratti di un libro illustrato per i bambini. E questo libro, tuttavia, porta l’impronta della saggezza: racconta con ilarità situazioni buffe, ma nell’opera buffa si inscrive con lettere d’oro la gravità della vita. Questo libro è pieno di minacce di punizioni, di ferite, di fuoco, di morte, ma ride delle sue minacce perché sa che l’uomo non può essere che un monello scapestrato, se vuole che lo si consideri tra gli uomini e non tra gli ipocriti, gli sciocchi e i bugiardi”.

 (Georg Groddeck, dalla conferenza del 1927)

“È molto difficile scrivere una critica intelligente su una personalità così complessa: uno scrittore brillante, che può essere letto anche da chi ha frequentato solo un paio di classi della scuola elementare. La sua prosa è spiritosa, semplice, straordinaria; ci sono passi in cui non ci si deve sentire arteriosclerotici, perché improvvisamente si legge, non a causa della malattia, un dialogo ininterrotto tra medico e paziente o ex paziente o futuro paziente. Malati infatti lo siamo stati tutti, lo siamo e lo saremo. Leggendo veniamo a conoscere ciò che non riusciremmo a sentire in alcun colloquio medico. È un interlocutore molto interessante, spietato, tenero; le testimonianze che ci porta dei suoi ex pazienti sono particolari. Groddeck, che continuava a praticare massaggi e psicoanalisi, indipendentemente dalla scoperta di Freud e dalla sua ammirazione sconfinata per il medico di Vienna, il genio… Probabilmente non aveva mai pensato di essere lui stesso un genio. Oggi lo si considererebbe uno dei padri della psicosomatica o forse il precursore più significativo. Anche così non si è detto abbastanza. A tutti dovrebbe essere prescritto il Libro dell’Es oltre alle gocce per la tosse e alle iniezioni. Ma quando si sente parlare di “lettura obbligatoria” ci si immagina qualcosa di noioso e una cosa Groddeck non è mai: noioso, dottrinario. Non perde mai il filo del discorso, sia che parli di un quadro di Leonardo, che racconti una storia o che, nei panni di Patrik Troll, scriva le lettere all’amica, contenute nel Libro dell’Es, che sarà uno dei classici di questo secolo”.

(Ingeborg Bachmann, dalla bozza di recensione de Il libro dell’ES)

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