Chi?
A essere protagonista di questo libro è un noi, e quindi siamo noi, ma è un noi attraversato da una forte alterità, un noi che si riconosce fatto di “popoli che scompaiono”, di ultimi soggetti a parlare la propria lingua, nel momento in cui questo pensiero, finora impensabile in Occidente, comincia a farsi strada come qualcosa che ci riguarda. Il questo senso, davvero questo libro è un’avventura interiore, ma come recita la quarta di copertina, in realtà è l’avventura di un’anima che non è una sola, e che non è sola: è anima di un mondo.
Cosa?
Qual è il tema, quali sono i temi, di questo libro? A questa domanda si potrebbe rispondere in molti modi: l’Antropocene e le sue “scatole nere” letterarie, la necessità di costituirsi come soggetto (umano, politico), capace di abitare in un nuovo mondo, in cui molto è andato perduto, ma molto può essere ancora salvato e molto altro di nuovo inventato e costruito. Ma per sintetizzare e riassumere tutto questo dirò che il vero tema di questo libro è la metamorfosi, e ogni metamorfosi è una forma di nascita: la nascita di una nuova soggettività.
Quando?
All’inizio, nel 2018, quando mi accingo al progetto, il libro nasce più fortemente come saggio, e in particolare come rilettura del romanzo di James Fenimore Cooper “L’ultimo dei Mohicani”, preso come “scatola nera” del presente, di cui addita già un corso di sviluppo e contro cui, anche se in modo decisamente non consapevole, inizia a sintetizzare anticorpi letterari. Poi, strada facendo, Noi senza mondo si fa romanzo: sperimenta delle mutazioni narrative, delle ibridazioni, degli innesti, diventando così l’oggetto particolarissimo, anche nel complesso della mia opera, che è oggi. Ci sono voluti cinque anni, un tempo lungo, perché questo processo si compisse: un tempo soprattutto di pensiero, e di lettura, di cui danno conto i molti stralci di altri libri dentro cui questo libro è andato a cercarsi. Come il mio primo saggio, In territorio selvaggio (Nottetempo), anche Noi senza mondo nasce come corpo letterario, e strada facendo si apre all’ambiente e se ne fa attraversare, fino non a confondere i due piani, ma a farne uno solo, mutevole, prismatico, più ampio.
Dove?
Questo libro è stato scritto tra Roma e Madrid, dove tra il 2025 e il 2020 ho diretto l’Istituto Italiano di Cultura. È lì che all’inizio della primavera del 2020 mi ha sorpreso la pandemia. Mentre intorno a me lo spazio si svuotava di presenze umane, il contesto dove vivevo e lavoravo si svelava sorprendentemente ricco di altre forme di vita, con cui bisognava inventare modi per convivere, e in qualche modo, comunicare. È uno degli aspetti del processo di scrittura di questo saggio–romanzo, e non a caso il capitolo che ne parla si intitola “Il capitolo scomparso”, dato che la sparizione, la perdita di lingue, culture, di mondi, di modi di vivere, ma anche la sopravvivenza, che storicamente si è data molte volte, a quella perdita, sono tra i temi centrali del libro.
Perché?
Il perché di questo libro mi è molto più chiaro adesso e in un certo senso si annida in tutta la mia opera precedente. Noi senza mondo è diventato qualcosa più del suo stesso progetto originario: una sorta di breviario di viaggio, non in un luogo – se un mondo, anzi “il mondo”, è ciò che manca, e quell’articolo determinativo o indeterminativo fa tutta la differenza – ma in un tempo: quello che abbiamo imparato a chiamare Antropocene, e ormai non possiamo più smettere di farlo.
scelti per voi
La prima volta che un movimento ti diventa possibile – o la prima volta che all’interno di un movimento impossibile appaiono piccoli movimenti possibili. Con il corpo, o nella scrittura. Quel momento esatto
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Il corpo che passa da un tutto fisso a un intero mobile.
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Scrivi, e pensi che la coscienza si spanda nel corpo come se fosse un fluido, un liquido una luce. Come se avesse un centro e una periferia. E se invece? Se venisse dalle estreme punte – le dita, i capelli – del corpo, non sarebbe un liquido, una luce?
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Corpi solidi liquidi gassosi. Tu che cambi di stato. Quale è il limite?
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Se al centro c’è il vuoto, la posizione di mezzo può essere più dura dell’estrema, più difficile. Del resto, lo hai pensato anche dei movimenti della mente, e il corpo – o la scrittura – sono la stessa cosa.
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Passa la lingua sulle gengive, senti gli occhi dietro le palpebre. Immagina il cervello con spazio intorno, nella scatola cranica.
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Immagina sabbia sotto le dita dei piedi.
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Il corpo che si abbandona contro il contatto. La parola, contro la cosa – si abbandona, si scioglie.
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Laura Pugno, poeta, saggista e scrittrice. Tra gli ultimi libri, Noi senza mondo, La metà di bosco, La ragazza selvaggia – Premio Campiello Letterati – e Sirene (Marsilio); l’Oracolo manuale per poete e poeti, con Giulio Mozzi (Sonzogno); le raccolte di poesia I nomi (La nave di Teseo, premio Laudomia Bonanni e premio CeSPOLA) e Noi (Amos, Premio Franco Fortini); la fiaba Melusina, illustrata da Elisa Seizinger (Hacca). Collabora con varie testate ed è tra i curatori della collana di I domani di Aragno edizioni. Ha curato la Mappa immaginaria della poesia italiana contemporanea (Il Saggiatore) e il programma Oltrelontano. Poesia come paesaggio per Radio 3. Scrive per il teatro, il cinema e la radio e fa parte del comitato scientifico del Premio Strega Poesia. Ha diretto l’Istituto Italiano di Cultura di Madrid.
In copertina, la foto di Elio Mazzacane.