Vincenzo Della Mea, “Clone 2.0”, poesie “generate da una rete neurale” addestrata dall’autore.

tre domande, tre poesie

“Vincenzo della Mea ha usato GPT-2, prima “addestrandola” introducendo circa 12.000 poesie (ma anche testi di informatica e di neuroscienze) lasciandola poi libera di creare poesia. La seconda fase è stata eliminare da questa super produzione le poesie che avevano troppi debiti o errori grammaticali, tramite dei software progettati dallo stesso autore umano, e infine scegliendo tra le rimanenti secondo il gusto dell’autore umano. La procedura con cui si è arrivati a questo volume prevede quindi un lavoro spalla a spalla tra macchina e uomo, le vette di Moravec paiono raggiungibili alla macchina solo grazie all’aiuto umano. Il risultato ci mostra un’ambiguità molto avvincente: la macchina si corregge attraverso una scelta umana, autoriale nella sua unicità (e infatti Vincenzo Della Mea chiama sé stesso “Autore umano”). Quello che ci dicono queste poesie, riguarda più noi stessi, o l’autore umano, che la macchina. Se nelle poesie leggiamo delle frasi alla Blade Runner è perché quel film fa parte del nostro immaginario, se leggiamo una nostalgia del corpo è perché pensiamo che la macchina debba provarla. Forse scopriamo che ciò che in noi dovrebbe sfuggire all’algoritmo è solo un algoritmo di grado diverso”.

Qual è stata la scintilla – forse meglio la “stella” – che ha portato il tuo “CLONE 2.0”, meglio: in che modo la (tua) vita diventa linguaggio?

Partiamo dalla vita, che di questo libro spiega molto. Io sono professore di informatica all’università di Udine, e per ricerca mi occupo di informatica medica. Da quando scrivo c’è un travaso continuo tra il Della Mea ricercatore e quello che, in modo parsimonioso e discontinuo, scrive poesia. Scienza e letteratura sono due aree apparentemente distanti, ma condividono alcuni misteri, tra cui quello importantissimo dell’intuizione, che porta alla scoperta scientifica come al verso riuscito, senza che sia chiarissimo il come. Ho cercato di coniugare le due vite nella mia seconda plaquette, “Algoritmi” (Lietocolle 2004). Si tratta di una raccolta in cui temi e linguaggio dell’informatica vengono resi in termini di poesia formalmente tradizionale. Il Clone invece è un esperimento legato ad alcuni strumenti che uso per le mie ricerche. Assieme ai miei collaboratori, applico l’intelligenza artificiale ed il machine learning a ricerche relative, per esempio, al riconoscimento dei contenuti dei documenti clinici o alla diagnosi automatica su immagini da microscopio. Circa cinque anni fa, con la comparsa dei primi sistemi generativi, antesignani dell’ormai notissimo ChatGPT, ho deciso di sperimentare la generazione di versi, in una versione moderna di quel che a suo tempo aveva provato a fare Nanni Balestrini. L’idea originaria, non ancora espressa nella sua interezza, era creare una specie di mio clone poetico. Per fare ciò, la mia intenzione era prendere un sistema generativo ed addestrarlo su un insieme di poesie italiane o tradotte in italiano; idealmente solo poesie che mi piacevano e ovviamente le mie, ma in pratica, per raggiungere una buona numerosità del campione, ho dovuto allargare le maglie. Esiste un Clone 1.0 mai pubblicato ma letto in pubblico per la prima volta a Tarcento nel 2019, e poi presentato nel 2020 assieme all’artista Anna Pontel a Libri DiVersi, una rassegna artistico-letteraria che si tiene ogni anno a Portogruaro. Quel Clone aveva diversi difetti, dovuti al modello generativo utilizzato (una rete neurale ricorrente, ci fosse qualche informatico tra i lettori) molto meno potente del large language model che ho sperimentato poi (GPT-2). “Clone 2.0” nasce quasi tutto nell’estate 2020, con una metodologia che spero di avere descritto in modo sufficientemente chiaro qua (https://www.pordenoneleggepoesia.it/2023/11/22/intelligenza-artificiale-generativa-e-creativita/ ). In sintesi: tutte le poesie del libro, assieme a molti altri testi scartati, sono state generate da una rete neurale che ho addestrato io, e da cui ho estratto i testi sperabilmente più interessanti, senza ritoccarli. Alla fine, lo strumento che uso per riconoscere le aree di tumore nelle immagini da microscopio è lo stesso che ho usato per generare i versi – un po’ come il cervello, che è lo stesso sia che si conduca un esperimento scientifico, sia che si scrivano dei versi. Anche questo libro quindi nasce dalla mia vita quotidiana, seppure in modo un po’ particolare, e senza rappresentarla.

La poesia è un destino?

Non so bene cosa significhi destino, ma mi pare comunque che la poesia sia qualcosa che “succede”, che non si può invocare, che al massimo si può ignorare. Quindi sì, forse è un destino. Nel suo “Ragazzo X”, Flavio Santi menziona il gene di Leopardi: non so se esiste un gene specifico della poesia, che potrebbe essere espresso più o meno bene, ma la sensazione è che chi scrive poesia abbia una specie di coazione a farlo. L’esito ovviamente non dipende dal gene e basta, c’è un substrato di competenze, conoscenze, letture, ma anche questo non è sufficiente. Io assecondo la spinta, quando c’è: ma quando non c’è non c’è, e sono passati anni tra un libro e l’altro anche per questo. È bello poter fare qualcosa solo quando è necessario.

Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare tre poesie dal tuo libro; e di queste scegline una per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quando “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere (nel contesto del libro che l’accoglie).

Dalla sezione “Predizioni”:

L’infinito mondo
è un fiume ribaltato sulla roccia;
solo una resistenza cercata
dipende dalla mia volontà.
la natura gira le cose,
l’amore torna alla fine per contatto.

Dalla sezione “Il Clone secondo il Clone”:

IO SONO IL CLONE – II

Io sono il clone dei sogni:
io sto qui come la casa
della notte. Per questo scrivo:
e resto senza far rumore
non so se oggi provo le rime
o i versi che ascolti.

LE RETI NEURALI – IV

Le reti neurali
hanno un’acustica che non riesce a cogliere.
il mondo, l’universo, è in continua mutazione.
tutto è diventato vecchio, e tutto è diventato nuovo.
Le reti ne parlano lentamente.
La nuova scena si concentra sulla superficie delle cose: le idee
entrano nei pixel più bassi del sistema solare.
i pixel più alti di questo sistema solare
riflettono la luce di stelle lontanissime.

Ci sono due modi di generare testo con sistemi come quello che ho usato io: totalmente a caso, come la prima poesia, o a partire da un incipit fornito da me, come le altre due. La sezione “Il clone secondo il clone” è stata infatti generata proponendo incipit mirati ad ottenere una qualche simulazione di autoriflessione (“Io sono il clone”, “Le reti neurali”, “Generare poesie…”). Per la natura di questo libro, non esiste una prima stesura o un “prima” della stesura di cui io possa parlare. In un certo senso, ogni poesia è stata da me “scoperta” nella sua forma poi pubblicata, tra le tantissime prodotte dalla rete neurale. La regola che mi ero imposto era infatti di non modificare niente, semmai di buttare i testi imperfetti, anche se salvabili con poco. Ciononostante, qualcosa si può dire riguardo il dopo. Per esempio: chi è l’autore? È l’io che compare nella prima sezione? O quello che ha firmato la copertina? Ho pensato a lungo se fosse il caso di pubblicare il libro senza menzionarne l’origine, per sottoporre i lettori ad una specie di inconsapevole test di Turing. Sarebbe stato interessante, non l’ho fatto principalmente perché uno dei software che ho utilizzato richiede esplicitamente che si dichiari l’origine artificiale dei testi prodotti, per ragioni etiche. Sono usciti altri due libri del genere, uno poco prima del mio, l’altro poco dopo. Il primo si intitola “I am code”, l’autore in copertina è code-davinci-002 (un sistema di generazione appena più recente di quello che ho usato io), e presenta tre curatori umani (Brent Katz, Josh Morgenthau, e Simon Rich – nessuno è poeta). L’altro è “Poetry has no future unless it comes to an end – poems of artificial intelligence”, con due autori: Charles Bernstein, poeta, e Davide Balula, artista con le competenze necessarie all’addestramento di questi sistemi. Scelte differenti, come si vede, che sottendono ad approcci leggermente diversi. “I am code” dovrebbe essere l’esito di una voce autonoma cresciuta poeticamente con l’aiuto dei tre curatori; nel libro di Bernstein c’è il tentativo di riprodurre lo stesso stile dell’autore umano. Il mio Clone è una via di mezzo.
Infine, la terza poesia ha una particolarità. Mentre ChatGPT evita di replicare i testi su cui è stata addestrata (anche per questioni legali), i modelli precedenti come GPT-2 possono occasionalmente restituire frasi prese dal loro insieme di addestramento. Solo dopo la pubblicazione del libro, tra l’altro avvenuta tre anni dopo la sua scrittura, mi sono reso conto che nell’ultimo verso di Le reti neurali – IV c’è una citazione ad un verso di una mia poesia tratta da Algoritmi, che tra l’altro rappresenta in modo scherzoso proprio la nemesi di una eventuale intelligenza artificiale:

L’infinito si crea in equazioni
anche più corte di un endecasillabo
delle volte compare all’improvviso
nell’indice errato di un ciclo for
si può nascondere nella chiarezza
di un segno di uguale tra due reali…
Per fortuna non sono gli infiniti
ineffabili di stelle lontanissime
di anguste particelle immaginate:
per confutarli, si stacca la spina.

Nato nel 1967, Vincenzo Della Mea è professore associato di Informatica Medica presso l’Università di Udine; vive poco distante. Nel 1999 ha pubblicato “L’infanzia di Gödel” (La Barca di Babele). La sua seconda raccolta si intitola “Algoritmi” (Lietocolle, 2004; premio “Nelle terre dei Pallavicino” 2005). Nel 2008 ha pubblicato la plaquette “I sogni della guerra” (Circolo Culturale Menocchio). Nel 2016 è uscito “Storie Naturali” (Raffaelli Editore). Nel 2023 ha pubblicato “Clone 2.0” (PordenoneLegge/Samuele Editore). Una selezione delle poesie di questa raccolta è stata segnalata al Premio Lorenzo Montano 2021. Sue poesie sono apparse anche su diverse riviste tra cui Nuovi Argomenti, Caffè Michelangiolo, Almanacco del Ramo d’Oro, Nazione Indiana, Daemon, Le voci della Luna, Filigrane. Alcuni testi sono apparsi in traduzione su World Literature Review (2011), sul volume “Imagine Math 2 – Between Culture and Mathematics” (Springer, 2013), e su Journal of Italian Translation (2021). Per l’editore Lietocolle ha curato un’antologia tematica su poesia e computer (“Verso i bit”); ha inoltre contribuito a realizzare il n.13 della rivista Daemon – libri e culture artistiche, dedicato al rapporto tra scienza e arte.

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