CHI?
Mi chiamo Teresa Maresca, sono un’artista figurativa, lavoro su diversi temi e con diversi materiali. La Natura Madre, la Madre Terra dei popoli primitivi, è la mia fonte d’ispirazione, come anche gli elementi che la compongono, soprattutto l’acqua e la terra. Ho dipinto con oli e acrilici grandi piscine, nel ciclo Swimming Pools, e fiumi immensi nelle foreste californiane in Song of Myself, ho lavorato con sabbie e lava di vulcano e sono nati i grandi bucrani di Flowers&Bones.
COSA?
Ho scritto un libro su arte e natura. Racconta di quando l’ambiente non è sempre l’elemento da cui può scaturire l’ispirazione per un artista, ma di come la Natura possa essere essa stessa l’Opera, e l’artista il suo tramite.
QUANDO?
L’idea di scrivere, invece che esprimermi con l’arte, come faccio di solito, è nata mentre leggevo alcune dichiarazioni all’ONU di Manara Ushigua, leader dei popoli amazzonici in lotta per difendere il loro spazio vitale, la foresta amazzonica. Mi sono accorta che esistono ancora persone su questa terra che seguono un pensiero primitivo, un pensiero capace di rifondare e ristabilire l’ordine naturale che l’economia di sfruttamento ha sovvertito dalla rivoluzione industriale in poi. Questo pensiero primitivo si fonda principalmente sul sentirsi parte della Natura, non sentirla come un elemento estraneo al genere umano. Quello che mi ha colpito è stato sentire che Manara chiede alla foresta in sogno quello di cui lei ha bisogno, e la foresta risponde!
DOVE?
Il libro ha preso forma in studio, tra le mie opere, e tra le opere di quegli artisti che mi hanno preceduto e che hanno davvero fatto parlare la natura, come fa Manara Ushigua, che si sono fatti tramite delle sue “parole”. Ho raccontato nel libro degli artisti della Rock Art, l’arte rupestre paleolitica, dei land artisti, di scultori che fanno suonare le pietre, altri che calano le loro sculture in fondo al mare per far rinascere la barriera corallina, di fotografi che catturano nell’obiettivo brani di natura non contaminata prima che scompaiano, ma anche di poeti come Whitman, che sente e riporta il canto della sequoia, o come Dylan Thomas, che assimila la sua vita a quella di un fiore.
PERCHÉ?
Ho sentito l’urgenza di scrivere il libro perché da artista sento in maniera molto forte la crisi ambientale, il cambiamento del clima, come la lenta ma inesorabile trasformazione del mio bel clima mediterraneo in qualcosa di imprevedibile che non riconosco più. E poi mi sono accorta che personalmente ho un rapporto molto stretto con quanto mi circonda, piante, animali, la città stessa. E perché sono certa che anche un artista sia in grado di dare una mano al mondo, alla Natura, cioè a noi stessi.
Scelti per voi
IL MIO GIARDINETTO E L’ANTROPOCENE
I frettolosi abitanti delle nostre città definiscono genericamente come “pianta” qualunque tipo botanico, dal vasetto di basilico comprato al supermercato, alla gardenia del vivaio, al cipresso del cimitero. Tutte invariabilmente “piante”. E quindi la “Natura” per i cittadini è un insieme di cui fanno parte tutte le “piante”. Nel mio giardino cittadino dalle dimensioni di un campo da bocce normalmente parlo con le piante, mi complimento con loro per la fatica della fioritura (il sole non entra quasi mai nel giardinetto) o per aver superato un inverno difficile. Poi saluto il platycerium di Giancarlo, che mi consola della sua assenza, e la tillandsia di Paolo e Francesco, che me l’hanno portata che era piccolissima. E aspetto i primi freddi per vedere il pettirosso, Robin, che viene a prendere le briciole del panettone direttamente dalle mie mani quando esco a sistemare qualche copertura, e se non mi vede viene alla finestra sotto cui c’è il tavolino col pc, e aspetta là fuori le briciole. “Esistono comunità umane sparse per il globo che considerano gli animali e le piante come delle persone”, scrive l’antropologo Andrea Staid in Essere Natura, dunque è possibile che le comunità umane di artisti dialoghino con le piante e gli animali.
È inevitabile il collegamento tra la necessità di fare arte “dalla natura” e la consapevolezza dello squilibrio in cui versa oggi la terra. Detto questo io non ho rapporti solo con le piante e gli uccelli del mio giardino. E non mi ispiro camminando nei boschi, come faceva Thoreau, o sedendo in riva al mare a guardare il cielo notturno, in solitaria estasi. A me piace vivere anche in città, possibilmente in una metropoli, e muovermi tra i miei simili. All’occorrenza, posso isolarmi completamente tra il via vai degli uomini e il rumore della città. A patto però che esista una condizione di equilibrio tra il mondo fuori e quello “dentro”. Per anni, ogni mattina, nel caos della città che si sveglia, passavo dal parchetto sotto casa dove svettava un Cedro del Libano, antico abitatore delle zone mediterranee, che era diventato per me un vecchio amico saggio, custode delle mie riflessioni. Ma nel mese di luglio dello scorso anno la città è stata sconquassata da un uragano di massicce dimensioni che ha abbattuto oltre cinquecento alberi, tra cui il Cedro del parchetto, che giaceva schiantato con le radici all’aria, un gigante di oltre quaranta metri di altezza e più di un metro di diametro alla base. Ho fotografato le sue radici spezzate, ho sfiorato la corteccia scura, Roberto ha misurato a grandi passi la sua altezza, abbiamo raccolto le bacche tenere e qualche rametto. È stato come andare a un funerale.
—
Biografia. Teresa Maresca è un’artista che vive e lavora a Milano. Espone presso enti museali come il Museo Diocesano di Milano, la Galleria d’Arte Moderna di Genova, l’Acquario Civico e il Museo di Storia Naturale di Milano, la ex-Falk di Sesto San Giovanni, Il Museo del Ferro e il museo della Macchine del Cinema di Brescia, il Museo Marino Marini di Pistoia. Ha esposto alla 54esima Biennale d’Arte di Venezia, Padiglione Italia.