#1Libroin5WPoesia
Chi?
Il protagonista di Mirra è il dolore che rende incorruttibili, come la Mirra (dalla radice semitica mrr, amaro) e le sue lacrime di resina capaci di mirrare, rendere eterno ciò che toccano. In particolare il dolore della perdita, del lutto, che con volontà, grazia e fatica, ho sempre trasformato in ricerca e contatto con il mondo invisibile, rinascita, nuovo slancio. La ferita nella carne è finestra aperta che permette nuovi sguardi, nuove consapevolezze del cuore.
Cosa?
Mirra, come in generale la mia scrittura, nasce dal silenzio e dall’ascolto, dalla preghiera e dalla meditazione. Le parole originano da questa profonda introspezione, emergono come lampi, a volte le leggo come frasi luminose su una lavagna buia e mi limito a trascriverle. La stessa cosa è accaduta per il mio romanzo “Alma il dolore agile”: qualcuno, nel silenzio assoluto della meditazione, mi ha sussurrato all’orecchio destro la frase iniziale del libro – chiave che ha aperto un portone.
Quando?
Dopo la morte di mio fratello, senza interruzione, mia madre si è ammalata gravemente e il pensiero di perdere anche lei (dopo papà e fratello) mi ha fatto sentire il cuore come un guscio di noce frantumato. Ho preso tra le mani quei frammenti e li ho impressi sulla carta. È nato un dialogo incessante con mia madre, con i miei defunti, con i miei gatti (maestri felini), con i miei affetti, con i miei angeli, con la natura che ogni giorno contemplo nella campagna fiorentina, sulle colline.
Dove?
In un luogo sospeso tra terra e cielo, scritto in punta di piedi, cercando sempre nuovi equilibri su quel confine sottile tagliente e luminoso che separa vita e morte, visibile e invisibile.
Perché?
Questo libro è nato come nasce un fiore, e spero che proprio come un fiore possa dare sollievo a chi lo guarda, a chi lo legge o semplicemente lo annusa sfogliandolo. Un fiore ci interroga sul mistero con la sua semplicità.
Pupi Avati mi ha scritto “tra tanti bei versi di Mirra ne cito qui alcuni che mi hanno colpito in modo particolare: è forse paradiso / non provare dolore? / O entrare nel dolore / è il segreto del paradiso? (San Francesco d’Assisi – pag 117)
Qualche passo dalla lettera ricevuta della poetessa Maura Del Serra, poche righe informali ma affettuosamente partecipi del pathos psicologico, creaturale e spirituale che pervade il tuo libretto Mirra, sospeso tra accensioni memoriali delle commosse e pervasive radici famigliari, ed un presente-futuro personale ed intimamente amoroso, affidato alla renovatio amorosa della coppia coniugale nonché alla presenza complementare della coppia felina e “filiale” di numi tutelari casalinghi, presenze che animano il tuo Eden aperto ad una sacralità non confessionale e fervida, profumato – come evocato dal titolo – da un’offerta di te stessa che è anche bisogno, talvolta doloroso, di conoscenza e di ricongiungimento catartico con la dimensione di magica purezza e pienezza infantile, tanto ispiratrice quanto nostalgicamente sfuggente nelle prove esistenziali della maturità.
scelti per voi
Fratello
Ai piedi della tua tomba in fiore
dicevo per te un’Ave Maria
pensando di pregare
Nel silenzio fermo una voce
“due uova, tre cucchiai di zucchero… sì, sì,
la farina te la porta mio figlio col trattore”
s’è voltato il mio cuore all’improvviso
mai odiato e così tanto amato
una distrazione che deviasse le mie lacrime
nella discesa fino alla nostra radice comune
per irrorarla e comprendere come mai
il tuo germoglio fosse stato strappato
a mezzogiorno
Se fosse quella la vera preghiera?
Ad occhi chiusi mi son chiesta
mentre le mani celeri della signora
sistemavano i vasi accarezzando
angeli scorticati
O forse mi stai preparando una torta
per festeggiare il giorno
in cui ci ritroveremo?
—
Luna di Pasqua
C’era il vento
c’era l’ombra della luna
sui fiori profumati di visciolo
sulle pietre ruvide della casa
sulle mucche e sul vitello piccolo
sul rumore della volpe veloce tra i cespugli
mentre incessante la mia preghiera stava
con la Tua Resurrezione
non c’era spazio per altro
nei miei polmoni se non il respiro di Te;
anche se i miei piedi toccavano la terra
bianca e impolverata, non ne ho sentito l’appartenenza.
Solo la necessità.
E in un sogno sospeso – mentre
stringevo la mano di mio marito camminando insieme –
il vento soffiava freddo a ricordarci
che bisognerà morire.
Ci hai fatto ribaltare i nostri macigni,
uscire dai nostri sepolcri, abbiamo visto la notte
illuminata dalla luna piena,
il velo sottile dei fiori piegarsi,
la polvere argento sulle scarpe e in bocca,
abbiamo sentito il vento scuoterci, come i rami,
ma i fiori bianchi non sono caduti.
Tu proteggi ciò che è piccolo, ciò che passa,
ciò che è fragile, e compi miracoli in spazi
nascosti dagli occhi del mondo.
Sarà così la vita eterna
—
Maternità
Mi sento madre
di tutti i lutti
li cullo
li accarezzo
li piango
chiedo
alle mie lacrime
di raggiungere
quelli più dimenticati