Daniela Marcheschi, “Il sogno di Don Chisciotte”. L’importanza di guardare “alle potenze che, fuori di noi, ci dominano, e che –  pur invisibili – sono più vere del vero”.

di David Fiesoli

Il sogno della letteratura di cui ci parla Daniela Marcheschi nel suo libro Il sogno di Don Chisciotte, da poco uscito per l’editore Bibliotheka, è «l’aprirsi dell’essere umano dentro o al proprio spirito, ovvero dentro la o alla coscienza chiara e distinta di sé». Questa distinzione – dentro oppure alla, dentro oppure al – rende conto che aprirsi allo spirito o alla coscienza non può essere soltanto il “guardarsi dentro”, che da solo rischia di essere esercizio retorico come osserviamo in molti romanzi e poesie pubblicati oggi, ma anche e soprattutto guardare alle potenze che, fuori di noi, ci dominano, e che –  pur invisibili – sono più vere del vero. Gli antichi le chiamavano dèi: Zeus, Afrodite, Muse, Moire, Apollo, Artemis ecc…  Oggi possiamo chiamarle destino, giustizia, ordine, caos, amore, morte, necessità. Oppure Dio.

È guardando al visibile e all’invisibile insieme che «l’avventura retorica delle libere associazioni si muta in un’esperienza di conoscenze, di verità nell’accezione antica del termine», scrive la Marcheschi.

La verità dei Latini viene dal verum che risponde ad accadico bârum, “essere certo, provato saldamente”, e forse si associa alla sacralità del bārûm, “il veggente”, da barûm, “vedere”. La verità dei Greci, ἀλήθεια (alètheia), significa anche svelamento, rivelazione. Inizia con una negazione, l’alfa privativa, sulla base del verbo λαθεῖv (lathein), “essere nascosto”, che risponde all’accadico lâṭum, “coprire, sottrarre agli sguardi”, in un gioco incessante tra luce ed ombra che tende a svelare la faccia nascosta della Luna, anch’essa illuminata anche se non la vediamo[1].

Il sogno di Don Chisciotte è dunque un aspetto della realtà che confina con il genio, la fiaba, la leggenda e il mito, che consente di afferrare, conoscere e comprendere le cose di natura visibile e invisibile, come diceva Swedenborg, e le cose che non avvennero mai ma sono sempre, come scriveva Salustio a proposito del mito e degli dèi.

Don Chisciotte vive sognando e sogna vivendo, scrive Daniela Marcheschi, e sempre il sogno prelude all’azione, non importa quanto prodigioso o ingannevole possa essere, né se l’azione a cui prelude possa o meno avere successo, e neanche se sia un effetto della mente umana o rechi un’impronta divina. Del resto, in letteratura non c’è differenza. Nell’Odissea, è il sogno chiaro e limpido di Penelope e quello oscuro e mascherato che Atena manda a Nausicaa per spingerla ad andare sulla spiaggia dove trova Odisseo naufrago.

C’è sempre un intervento divino, diceva Brodskij a proposito della poesia. La parola poetica e il sogno partecipano della natura di quelle divinità che precedono l’abbagliante Apollo, dio della conoscenza: ovvero Hermes, il dio che inventò la lira e porta agli uomini i messaggi degli dèi, e Artemis, la dea vergine e lunare che illumina l’oscurità, presiede al verso, e lo ritma.

Il  testimone, veggente, ed ermeneuta, per gli antichi non era il filosofo o lo scienziato, ma colui che vede il sacro, il destino, e fa da tramite tra visibile e invisibile, cielo e terra: il poeta.

Quando Don Chisciotte sta per morire ed è ormai rinsavito, Sancho Panza lo prega di tornare a sognare:  perché – precisa Daniela Marcheschi – «gli è affezionato nella pazzia e per la sua pazzia».

Conviene ricordare le parole di Cristina Campo: «Il dio toglie il senno a chi vuol perdere, dicono. Ma con quale accortezza lo toglie a chi vuol salvare»[2].

Il sogno di Don Chisciotte è quello dei poeti e degli scrittori sublimi, nel senso inteso da Marina Cvetateva, quando diceva che Goethe è grande, e lo paragonava alla quercia, ma il suo contemporaneo Hölderlin è sublime, perché svetta come un cipresso, e abita altezze montane di cui Goethe è soltanto ospite. A quelle stesse altezze troviamo Dante, Cervantes, Leopardi (con il quale si dovrebbero sempre fare i conti), Rilke, Pasternak, Emily Dickinson, Emily Brontë, Anna Achmatova, Marina Cvetaeva, Dino Campana, Franz Kafka, Sandro Penna, Cristina Campo.

Alcuni – se non quasi tutti – fra questi poeti e scrittori hanno vissuto al limitare del sogno o addirittura della follia, ma proprio per questo sono stati in grado di afferrare aspetti della realtà più profondi, conciliazione degli opposti, e di andare oltre i disordini e i mutamenti, oltre la schiavitù del visibile che nel nuovo millennio fa fin troppi prigionieri. 

E a questo proposito,  Daniela Marcheschi non fa sconti: nel volume appena uscito, che raccoglie  i suoi saggi scritti e variamente pubblicati tra il 1990 e il 2012, rivendica il ruolo della critica come vera e propria tradizione letteraria, sottolineandone invece le patologie odierne e la necessità di una riflessione radicale che la liberi dai “residui idealistici” e recuperi la sua dimensione etica e valoriale: «tanto più la critica si sottrae al proprio dovere di costruire significati e valori, costruire e guardare in alto, tanto più contribuisce alla volgarità di questo mondo consumistico e pronto a mercificare ogni valore».

I due saggi che chiudono il libro, Contro Steiner e Contro Harold Bloom, sono pertanto l’occasione per l’affondo coraggioso e necessario di un critico letterario rigoroso. Il luogo comune del caos e della confusione culturale come essenza ontologica dell’epoca moderna, nasconde in realtà l’incapacità di recuperare le tradizioni e di mettere a punto nuovi strumenti di pensiero che però richiedono coraggio, fatica e tempo. Daniela Marcheschi passa in rassegna il ruolo della scuola, dell’università, e l’invadenza di televisione e social media: ma tale invadenza – scrive –  non dovrebbe «spingere l’editoria a prendere per scrittori uomini e donne – dilettanti, potremmo dire – che ne assumono a modello il linguaggio mediato, scambiandolo per la realtà tout court: con cui rifiutano di confrontarsi perché essa richiede ben altri strumenti etici e conoscitivi».

Daniela Marcheschi Il sogno di Don Chisciotte. La letteratura come necessità e riscatto. Roma, Bibliotheka, 2025, pp. 160.

 

 

[1] Giovanni Semerano, Le origini della cultura europea, 4 voll., Firenze, Olschki, 1984 – 1994, vol II, tomo I, Dizionario della lingua greca, p. XXII.

[2] Cristina Campo, Gli imperdonabili, Milano, Adelphi, 1999, p. 156.