“Dove arriva quel cespuglio” di Emanuele Savasta | Spazio 2 LAB. “Un sogno che ha buone radici”.

Fiorire bene di Giuseppe Carracchia

Attraversando la delicata ed essenziale misteriosità di questa narrazione per immagini, vengono in mente le parole di Bachelard, quando sosteneva che «non si può scrivere la storia dell’inconscio umano senza scrivere una storia della casa»[1]. Non per niente, lo si sarà notato, il cuore di questo libro è l’atto stesso del farsi dimora e al suo centro vi è proprio quella «casa illuminata nella campagna deserta» che, ci dice il filosofo, «è come una stella nella foresta che guida il viandante smarrito»[2].

Una casa, questa, fondata nel sogno e nell’azzardo, come ogni casa che si rispetti, e nell’affondo di radici che si dipanano rincorrendo intimità diffuse,

[…] perché

l’alba apra ciglia

serene sulla porta

di casa e sul cammino.[3]

D’altra parte, ne siamo certi, «costruiamo case per accogliere in una forma di intimità la porzione di mondo – fatta di cose, persone, animali, piante, atmosfere, eventi, immagini e ricordi – che rendono possibile la nostra stessa felicità»[4]. Nella pietra angolare di questa dimora sono pertanto inscritte, in divenire, non una ma molteplici forme di intimità che ci assimilano a ciò che è prossimo, laddove l’intimità risiede proprio in «questa impossibilità di distinguere il naturale e l’artificiale»; ovvero «amare e levigare a tal punto quello che tocchiamo da farne la nostra pelle»[5]. Una pelle che dispiegata racconta, per il tramite degli occhi, le proprie vicissitudini, le semplicità del giorno e della notte, potremmo dire, componendo una topografia dinamica le cui coordinate oscillano tra anelito di rivelazione e urgenza di mistero, tra l’esigenza della messa a fuoco e la necessità di qualcos’altro.

In fin dei conti, Farsi un fuocoTo Build a Fire», come direbbe Jack London), non è poi così diverso dal farsi una casa, cioè dal farsi dimora. To Build a Fire, in fondo non significa altro che raccogliersi attorno ad una storia, scaldarsene. E la dimora è il cuore di ogni storia che scalda, contro ogni dolore («che scompare col respiro/col respiro del tuo amore…», come ci insegna la canzone di Battisti che riecheggia nel titolo del libro) e al di là di ogni paura, nella consapevolezza che essa, la paura, «non è che la forza che ci impedisce di desiderare qualcosa»[6].

Il desiderio, dunque, potrebbe essere la chiave di volta di questo breve racconto per immagini (tenendo ben presente quanto ogni immagine amata altro non sia che «una testimonianza di vita arricchita»[7]); poiché solo nel desiderio – e ben oltre il coraggio – il dolore e la paura immiseriscono: nel desiderio ogni casa divenendo luminosa e splendente, come questo piccolo faro di intime connessioni che ci guida per le campagne dei monti iblei.

Un viaggio, infine, che racconta lo slancio di un ritorno, consapevoli di quanto la nozione stessa di viaggio assuma «un altro senso, se si aggiunge il concetto complementare di ritorno al paese natale […] definito dalla psicanalisi classica un ritorno alla madre»[8] (e contro la psicanalisi classica, anche un ritorno al padre).  L’intimità della casa richiama inoltre quelle, ben più fondanti, del grembo e del seno materno, che a loro volta – viceversa – rievocano l’idea stessa del riposo. Un ritorno, questo, che istituisce un nuovo desidero, dando respiro e slancio al divenire e fondando, mattone su mattone, la nuova storia che qui ha inizio, a partire da quell’ostinata idea di felicità che si intravvede, costantemente, in controluce. Portando sempre in primo piano una poetica dell’abitare che dona spazio alle intimità «e ritrova le grandi certezze di una filosofia del riposo»[9].

Che sia una rosa delicata, appena oltre l’addomesticato della zanzariera, o il selvatico che avanza, perseverante, e circonda, non cambia nulla; ciò che conta è saperlo: «fiorire bene è dunque un modo sicuro per radicarsi»[10], tra l’esigenza della messa a fuoco e la necessità di qualcos’altro. Fra l’anelito di rivelazione e l’urgenza di mistero.

Una scala poggiata contro il cielo è una casa, lo abbiamo già detto, fondata nel sogno, come ogni casa che si rispetti. Come ogni scala che davvero conduce, transita, innalza o semplicemente sosta, in pace.

D’altra parte, se «il sogno riesce ad andare così lontano» può voler dire solo una cosa: «che ha buone radici»[11].

Book Launch
Dove arriva quel cespuglio di Emanuele Savasta (@emanuelesavasta)
Spazio 2 LAB

Questo lavoro, realizzato dal 2019 al 2021, prende le mosse ed il titolo da una poco conosciuta canzone del duo Battisti/Mogol del 1976, “dove arriva quel cespuglio”.

La canzone, come il progetto editoriale, tentano con un linguaggio fortemente emozionale di indagare il concetto di casa come metafora di un amore, emotivo e fisico.  Partendo dalla domanda evocativa del titolo, l’opera ci conduce in un percorso che, intrecciando fotografia istantanea e fotografia a colori, ci invita a riflettere sul profondo significato che attribuiamo ai luoghi che abitiamo e alle relazioni che costruiamo.

Emanuele Savasta, (Siracusa, 1984). Il suo percorso fotografico inizia durante la realizzazione di uno dei suoi libri di poesie, dove esplora l’interazione tra parole e immagini, accendendo il suo interesse per il linguaggio visivo. Laureato in Lettere e Filosofia all’Università di Catania, ha poi approfondito le sue conoscenze con una specializzazione in Arte e Produzione Multimediale in Puglia, dedicando la sua tesi alla fotografia. Accanto alla sua professione di controllore del traffico aereo in Aeronautica Militare, dal 2009 ha avviato una serie di progetti fotografici personali, esponendo il proprio lavoro in diverse mostre in Italia e all’estero. Nel 2021 ha auto-pubblicato il suo primo libro, Le cose ritrovate, che riflette il suo approccio intimo e introspettivo alla fotografia.

Dove arriva quel cespuglio di Emanuele Savasta 1. Edition 02/2025, texts by Emanuele Savasta

[1] Bachelard, Gaston, La Terre et les Rêves du repos. Essai sur les images de l’intimité, Paris 1948; trad. it. La terra e il riposo (a cura di M. Citterio e A. C. Peduzzi), red! edizioni, Cornaredo 2020; p. 97

[2] Ibid.

[3] Uccello, Antonino, Madre Akreidèa, Origine, Lussemburgo 1999

[4] Coccia, Emanuele, Filosofia della casa. Lo spazio domestico e la felicità, Einaudi, Torino 2021; p. 6

[5] Ivi: 18

[6] Bachelard 2020: 91

[7] Ivi: 102

[8] Ivi: 101

[9] Bachelard 2020: 102

[10] Ivi: 238

[11] Ivi: 87