“Devo aspettare con pazienza che le mie parole
crescano. Ma devo anche aiutarle. Ma se io ho un dovere
nella vita, è proprio quello di scrivere”

Etty Hillesum

Può succedere, in quell’età che si definisce adolescenziale, bollata ancora dalla condizione di essere palesemente immatura, di avere intuizioni capaci di illuminare di colpo tutto lo sviluppo emotivo, intellettuale e spirituale che aspetta ancora di essere vissuto dall’anima.

L’amore, da sempre, è la via d’accesso privilegiata, se non l’unica, a questi particolari momenti. Ma non è soltanto la porta, non è soltanto il varco da attraversare: è anche la via stessa della conoscenza, che siamo destinati a percorrere fin da quel momento.

A quell’età, l’amore ci pone, drammaticamente, il problema della relazione tra mente e corpo: il nostro corpo è ancora un contenitore inadatto a un dio di quella grandezza.

Lo sfondo di quella difficile relazione è la distanza tra spirito e materia, una distanza lacerante.

Ma forse, è proprio grazie a questa difficoltà che la potenza di Eros riesce a illustrarci i piani psicologici e spirituali che, dopo, nelle età successive, avremo la forza adatta a sviluppare.

Ma non è soltanto l’amore, a quell’età, ad essere varco e percorso insieme; in quella fase della vita, non è quello il solo elemento a rivestire un ruolo cruciale. Ve ne è un altro, ugualmente essenziale: la scrittura, ovvero la parola poetica, perché ogni scrittura autentica è sempre scrittura poetica.

La parola poetica inizia a creare il luogo dentro cui potere accogliere i doni che l’evento dell’amore ha iniziato ad attirare. Ad accoglierli, ma anche a scavarne dolorosamente il senso. La pratica della scrittura, come un lungo mezzogiorno estivo, fatto di luce solitaria e meridiana, dove le cose sembrano avvicinarsi al loro mistero, è la regione dentro la quale la parola poetica, come un fanciullo assorto nella propria libertà, inizia il suo viaggio verso mari e templi sconosciuti.

Così, il compito esistenziale di intuire l’unione di spirito e materia e la pratica della scrittura, idealmente, si intrecciano in un solo cammino: affrontano entrambe lo stesso problema e si uniscono appunto nella figura adolescenziale che corre, divaga, fugge e ritorna sempre accanto all’esistenza di un poeta.

È vero che la scrittura appare, in quegli anni, come un rifugio, come una fuga da una quotidianità e da una corporeità troppo deludenti, troppo parziali e scisse. Eppure, è lo spazio nel quale è come iscritto un destino, una direzione, che si manifesterà col tempo: in essa maturerà la forza per illuminare il mondo fisico, per compiere l’unione tra i due livelli dell’esperienza, mente e corpo, spirito e materia. Un percorso solitario, angoscioso, ma dal quale il poeta si sente comunque attratto, come da una insopprimibile nostalgia. L’anima del poeta è un’anima adolescente, che rimane per sempre tale.

Inizia così il viaggio di ascesa verso piani via via più alti.

Quei piani, grosso modo, sono quattro.

Il primo è quello dell’amore fisico. L’amore fisico, quando lo si percepisce soltanto in quegli aspetti troppo strettamente legati alla nostra individualità, è minacciato costantemente dal senso del possesso, dal timore e dalla gelosia, dall’insicurezza dell’abbandono, dall’incostanza. Cessa di essere il piano del più grande appagamento, base per i successivi sviluppi, è diviene il luogo della più atroce sofferenza. Eppure, è da questo piano che occorre partire, e iniziare il nostro cammino, traendone il primo grande insegnamento, che ci consente di sperimentare il secondo momento.

Per un verso, Eros è attrazione esercitata da un corpo, desiderio di possesso, brama di dominio e di potere; e come tale, è soggetto alle ansie, alle gelosie, ai sospetti e alle violenze che affliggono i tiranni. É una condizione di tale intensità che riesce a renderci ciechi di fronte alla vera ricchezza che nel corpo è custodita: ne guardiamo solo l’involucro, perché non sappiamo andare al di là di noi stessi; non decifriamo la reale sostanza custodita dentro di lui.

Eros, infatti, non si limita mai a questo livello puramente fisico. A ben vedere, Eros non è affatto questo: ovvero, è fisicità, ma non soltanto. Eros è soprattutto un’energia psicofisica, l’onda di piacere e di pienezza che si sperimenta nei momenti fisici più alti. È vitalità allo stato puro, che ci fa danzare, cantare, sublimando il corpo stesso. Già a questo livello, Eros non è più limitato all’individualità, ma è una forza di natura superiore agli individui stessi. Comprendiamo allora che Eros trascende i singoli corpi: egli si impossessa letteralmente del nostro corpo. Si sperimenta, come un tesoro racchiuso nel corpo della persona amata, una riserva d’amore sconfinata, di una vastità e potenza straordinarie, potenzialmente in grado di cambiare la storia del mondo.

Si rimane come inebetiti, di fronte a questa rivelazione, e ci chiediamo con disarmante ingenuità come ha fatto l’umanità a non accorgersi di tutta questa ricchezza, nascosta proprio vicinissimo a noi. Un uomo, ad esempio, scopre come il femminile, quella realtà universale e archetipica, sentito concretamente nel corpo della persona amata, sia in realtà una potenza vastissima: un magma sotterraneo, in grado di smuovere continenti, plasmare orografie. É lo spirituale, in realtà, la cui potenza creatrice diviene per noi esperienza concreta e personale, proprio attraverso il corpo.

Ma la poesia, in realtà, possedeva fin dall’inizio questa saggezza: solo attraverso di lei, infatti, possono cominciare ad apparire manifestazioni del femminile vaste come paesaggi naturali, sconfinate come intere epoche storiche. Tutto ciò era latente in lei. Il suo destino inizia a rendersi palese.

Da questo piano deriva poi un momento successivo, quello in cui un senso di piacere slegato da ogni finalità, un piacere che sembra traboccare da noi, si dona al mondo spontaneamente: serenità, comprensione, e un senso di amore per il tutto, rivoluzionano il nostro modo di relazionarci agli altri. Un sorriso che sboccia sul nostro volto, pieno e sincero, trasforma istantaneamente tutto il mondo circostante. E illuminiamo con la bellezza del nostro stesso volto anche il volto degli altri. Accediamo così ad un livello sociale dell’Eros, ormai trasformato in Agape, nel quale siamo pronti ad agire e ad impegnarci con una vitalità che appare inesauribile, perché è alimentata da una spontaneità del bene, donata per senso di gratitudine. È in questo momento che, con un’evidenza assoluta, tutta la nostra esistenza ci appare come guidata dall’alto: cessano allora le nostre sofferenze, le nostre attese, le nostre delusioni. Acquisiamo una autentica e radicale umiltà: tutti gli odi, le gelosie, i risentimenti, le fissazioni, ci appaiono come un gioco di bambini; ma non ci sentiamo per questo superiori agli altri, perché sappiamo di averle avute anche noi, e che, se ce ne siamo liberati, non è stato merito nostro.

Sul volto dell’altro siamo in grado di afferrare i limiti che impediscono la crescita della persona, con una capacità di penetrazione che ci consente di trovare sempre la parola giusta: una saggezza che sgorga da un’insospettata profondità interiore. Anche nei giudizi diventiamo più lucidi, più taglienti: sappiamo dividere tra bene e male, lasciando isolato e interdetto ogni elemento che l’amore esclude da sè.

Ma anche questo la poesia lo conosceva già: saper leggere nelle trame della storia, e saper indicare il futuro, anzi, nutrire l’anelito stesso al futuro era contenuto in lei fin dall’inizio. La realtà fisica, vista nella dimensione temporale che la poesia sa descrivere, si allenta, si dipana, diviene mutamento, consumazione, polvere, in vista della realizzazione di altro.

Giunti a questo punto, abbiamo compreso l’essenziale, e la nostra mente, condotta ad esplorare la misteriosa congiunzione di materia e spirito, può sperimentare la sapienza autentica, ed esperire in sé stessa una verità intellettuale: non vi sono separazioni tra gli elementi della realtà, tra gli esseri che la compongono, ma tutto è un ordinato e unitario sviluppo verso l’unità. È un sentimento oceanico, come quello che sorprese Etty Hillesum mentre la storia umana sembrava stesse precipitando in un abisso innominabile. “D’un tratto mi ha invaso la sensazione rassicurante che, in qualunque posto del mondo io mi trovi, mi sarà possibile osservare le stelle e lasciarmi cadere su un letto, o sul pavimento o chissà dove, e sentirmi a casa”.

Diventiamo coscienti, allora, del potere trasformativo insito nella poesia, e la realtà fisica appare adesso come riflesso di quello spirituale visto fin dall’inizio dalla parola poetica.  Il mondo, la natura diventano vivi simboli di quella realtà, di quel radicale senso di felicità, che sembra essere stato donato da un dio agli uomini. Una nuvola, la luce della luna, una nebbia che si solleva dalla vallata, il mare, le montagne, tutto diventa la viva espressione di una realtà spirituale. Diventano quasi le forme stesse di una divinità diffusa sulla terra. Lo spirito ha appena sfiorato il nostro mondo, e la nostra anima di poeti riesce a vederne la figura.

A quel punto, la scrittura poetica, compagna fedele di questo cammino, si mostra nel suo valore autentico, nel ruolo che da sempre ha rivestito: non una fuga e nemmeno un rifugio, ma il luogo in cui le parole, le immagini, la musica hanno a poco a poco rivelato il senso di un mondo che, adesso, può essere da lei illuminato. La parola poetica è il sogno in cui abbiamo potuto leggere il mondo, trasformarlo, prepararlo per un nuovo tempo.

La pratica stessa della scrittura, quel lungo e infinito apprendistato, ha abituato il nostro sguardo a leggere meglio nelle cose del mondo. La guida, rappresentata dalla poesia, si è realizzata in noi, e siamo noi stessi che ci muoviamo insieme al sole e a tutte le altre stelle.

La poesia giunge così al compimento, e al silenzio.

Tutti i piani sono stati attraversati. Tutti quei piani, contenuti in un brevissimo trasognato istante vissuto quasi al di fuori di sé, contenuti nel piccolo seme gettato da qualcuno proprio nel tempo prezioso e delicato dell’adolescenza.

Dal punto di vista della scrittura, si tratta di un destino, vaticinato nel tempo dell’adolescenza, che mantiene in sé stessa la natura essenziale di quel tempo: lo slancio sicuro e sagace verso l’ideale e la ferita di una nostalgia tormentosa, per l’unità sentita come una condizione perduta.

Nel corso della vita si è semplicemente svolto, realizzato. Ma, come sempre accade quando si tratta di compiere un destino, il tempo, andando avanti, in realtà è ritornato al suo inizio. Così, contemporaneamente, la poesia è il frutto maturato nell’eterna immaturità dell’adolescenza: lo spazio aperto, e mai colmato, all’altrove, al sogno, al simbolo, alle parole che plasmano la realtà.

Nel seno di una nebbia di gelo,
sullo specchio stupito del cielo,
cresce la forte chioma del mandorlo
e canta la sua fioritura.
                                    Allora
rinasce dalla terra una luce
e lieta dilaga intorno, e in alto
risale, ad invisibili altre
primavere.

 

 

 

in copertina, Il bacio di Gustav Klimt, 1907 circa, castello del Belvedere, Vienna

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