Con l’intervista alla professoressa Letizia Vaioli, inauguriamo, oggi, su l’EstroVerso la nuova rubrica dal titolo Maestrie, il proposito è quello di mettere in luce il lavoro creativo e autoriale di scrittori, saggisti e artisti che sono anche docenti nella loro quotidianità professionale.
Hai un avvincente blog che unisce la letteratura alla matematica. I tuoi brevi racconti, fervidi di immaginazione e spirito fanciullo, alimentano curiosità e arricchiscono i lettori. Come vedi il rapporto tra conoscenze scientifiche e umanistiche? Proficuo in ogni caso?
Assolutamente proficuo, certo: adoro gli scambi in tutte le loro forme. Mi piace il rapporto tra la matematica e l’arte e anche quello con la letteratura. Il nostro cervello è in grado di gestire pensieri di tipo diverso, costruisce a nostra insaputa delle reti di concetti da cui attinge per fronteggiare le varie situazioni in cui ci veniamo a trovare. Le stesse reti possono essere create senza alcuna utilità evidente, solo per amor di conoscenza o per il gusto del racconto. Nel blog io parlo di concetti matematici ma, quasi sempre, lo faccio tralasciando i simboli e utilizzando le parole. I simboli sono sintetici, economici, efficaci; le parole sono belle. E altrettanto belli sono i concetti che quelle parole esprimono, talmente sottili da risultare eterei, quasi inarrivabili. Si potrebbe dire che la matematica, nonostante la sua evidente utilità pratica, appartenga alla dimensione del sogno: gli oggetti di cui si occupa non esistono nel mondo reale, sono dentro di noi. Portarli alla luce, descriverli e renderli visibili è un’esperienza magica, quasi un gioco da illusionisti.
Come è nato il tuo amore per i numeri, in particolare per la matematica? C’è stato un evento scatenante?
Nessun evento scatenante, il mio percorso è stato decisamente normale. Al liceo avevo un’immagine della matematica abbastanza ordinaria, anche un po’ piatta. Non so quale stella abbia guidato la mia scelta quando ho deciso iscrivermi alla facoltà di matematica, non avevo la minima idea di quello cha avrei trovato! All’inizio mi sentivo inadeguata, venivo dal liceo classico e le mie conoscenze in ambito scientifico erano decisamente scarse.
Nonostante frequentassi i primi corsi con un certo senso di frustrazione, sentivo che non volevo mollare. Avevo dentro una voce precisa che mi diceva di insistere anche se non avevo chiaro il perché.
Così ho cominciato a studiare. Molto, moltissimo… non facevo altro. Fino a quando qualcosa è cambiato e io ho cominciato a capire, a mettere insieme le cose. Il quadro che si stava formando davanti agli occhi del mio pensiero era affascinante, quasi irresistibile. Mi sono sentita irretita e ci sono entrata dentro. Credo di aver capito, in quella fase, che il cervello ama comprendere. Come lo stomaco esulta nel ricevere cibo quando ha fame e la gola secca gioisce quando sente l’acqua arrivare, così il cervello va in brodo di giuggiole nel momento in cui afferra un’idea e giunge alla comprensione.
Il problema è che per la matematica, il percorso per giungere alla comprensione può essere lungo e tortuoso; occorre avere pazienza e determinazione, doti emotive che non appartengono all’ambito della logica. Ecco dunque che balza agli occhi una nuova forma di contaminazione: per ragionare bene abbiamo bisogno dell’intelligenza emotiva. Sfatiamo il mito che vede la matematica come una materia fredda e staccata dalle vicende umane: come le altre discipline si nutre di perseveranza, di coraggio e soprattutto di curiosità.
Che cosa ritieni che sia più carente nelle nuove generazioni rispetto all’apprendimento, in particolare delle materie scientifiche quali scienze, geometria, matematica? Su che cosa ritieni che si possa far leva per potenziare l’efficacia didattica?
Ancora una volta, la risposta coinvolge doti emotive. Da quando ho iniziato a insegnare ho notato un graduale indebolimento nel carattere dei ragazzi, che a mio avviso risultano adesso molto più fragili di un tempo. La gran quantità di mezzi e di informazioni di cui dispongono spesso non li aiuta a diventare forti. Si diventa forti quando si impara a gestire e a controllare parte della realtà, quando si sa inquadrare una circostanza, non necessariamente favorevole, e si riesce ad attingere alle risorse personali per fronteggiarla. Per diventare forti occorre incontrare e superare ostacoli che siano commisurati alle proprie forze e alle personali capacità di riuscita. Oggi andiamo nella direzione opposta: da un lato priviamo i nostri ragazzi degli ostacoli, dall’altro li lasciamo immergere in un mare di stimoli su cui non possono avere alcun controllo.
L’efficacia didattica per me si ottiene ponendo piccoli obiettivi, che diventano grandi man mano che si procede nel percorso. I ragazzi devono confrontarsi attivamente con le cose che studiano, essere protagonisti della loro formazione e anche rischiare l’insuccesso, solo così capiranno che è possibile rialzarsi e arrivare al traguardo. Quando poi arrivano, posso testimoniare, hanno negli occhi la scintilla della felicità.
Un libro che ti ha fatto innamorare dell’italiano e uno che ritieni abbia reso più sicuro il tuo sapere rispetto alle discipline che insegni.
Il primo libro di letteratura che mi ha conquistato è stato ‘Il maestro e Margherita’ di Michail Bulgakov. Ero molto giovane e non capii quasi nulla. Compresi, però, che c’erano diversi piani di lettura e questo ebbe su di me una presa formidabile. È una caratteristica che mi sono portata dietro nel tempo, ad oggi potrei dire che ho una predilezione per le cose non evidenti.
È uno degli aspetti a cui tengo di più mentre scrivo, la possibilità di vedere più livelli. Quando si scende in profondità il buio si infittisce e i contorni si sfumano; per procedere siamo costretti a cercare degli agganci con qualcosa di nostro. La profondità, strano a dirsi, porta alla luce la parte più intima di noi: quando non vediamo più nulla di quello che c’è in superficie, entriamo finalmente in contatto quel che abbiamo dentro.
L’amore per le cose non dette caratterizza i miei personaggi. Oggi tendiamo a esibire i nostri pensieri e le nostre azioni, come se il consenso potesse renderci migliori. Mi piacciono le persone che non hanno il bisogno di sbandierare alcunché, hanno una forza di carattere che si traduce facilmente in poesia.
Per quanto invece riguarda il libro di matematica, mi piace citare un bellissimo testo che purtroppo non è più edito: ‘La matematica nella cultura occidentale’ di Morris Kline. Lo trovai in una biblioteca di quartiere quando facevo l’università, lo aprii per caso e rimasi incantata. Offriva una serie di riflessioni dell’autore che andavano oltre i singoli argomenti, inquadrava la matematica attraverso la filosofia. Era il primo libro che leggevo di quel genere, mi folgorò.
Un aneddoto toccante rispetto a un insegnante avuto nel tuo percorso di studi.
Proprio in questi giorni ho scritto la postfazione del mio romanzo: ‘Rime baciate tra numeri primi’ in cui ho citato un episodio che mi è successo e che mi ha molto condizionato.
Quando mi sono Laureata, la professoressa che mi faceva da relatrice mi ha regalato un paio dei suoi orecchini. È una donna straordinaria, che sa donare agli altri amore e conoscenza, insieme a un pizzico (non trascurabile) di estrosa follia.
Ho riflettuto a lungo sulla bellezza di quel regalo, cercando nei pendenti un significato che andasse oltre il ricordo di un momento speciale. Mi piace pensare che in quell’oggetto da indossare vi fosse un richiamo alla matematica, come se questa avesse in qualche modo il potere di rendere le persone più belle. Non dunque solo un dono frivolo, ma un vero e proprio invito a cercare nel ragionamento e nel pensiero qualcosa che, a tutti gli effetti, ci sappia migliorare.
Indossare gli orecchini di Maria è un po’ come far tesoro di un insegnamento, dar valore a un esempio ricevuto e portare addosso una testimonianza contagiosa. L’amore per la matematica diventa così amore per la divulgazione, passo dopo passo e mano dopo mano, col sorriso fiero di chi sa donare.
Sono trascorsi tanti anni e io conservo gli orecchini come un oggetto prezioso; quando li metto non posso trattenermi dal fare un sorriso.
Li infilo, mi giro verso lo specchio e penso: guarda Maria, li ho indossati.
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Letizia Vaioli vive a Firenze e insegna matematica in un Istituto Tecnico. Ha collaborato con l’editoria scolastica e ha pubblicato diversi lavori nell’ambito della didattica. Ha curato i testi di qualche catalogo d’arte e dal 2017 scrive per il blog Buongiorno Matematica, di cui è la fondatrice e unica autrice. Nei suoi racconti mescola matematica e poesia, certa del fatto che le due cose, da qualche parte, si abbraccino in modo naturale. Chi è curioso può visitare il sito www.buongiornomatematica.it o scrivere a letizia@buongiornomatematica.it