Lina Maria Ugolini e il “racconto” argenteo di una “mamma mondo” che insegna “a trattenere il presente”.

Nel “puro agire dell’immaginare” che cinge il reale, il “racconto” argenteo di una “mamma mondo” che insegna “a trattenere il presente/ stringerlo quel tanto/ da non farlo passare/ porre in dispensa il ricordare”, fintantoché “gli occhi toccheranno le nuvole”. Dai versi (poesia che scorre in “sillabe perfette”) traspare la beatitudine di colei che (sempre) inizia, emerge lo splendore chiaro, silente (nondimeno) eloquente oltre la brillantezza del verbo (“In ogni parola/ un battito di sogno”). Nell’argento della consapevolezza, “intanto che il tempo insegna le proprie sottrazioni”, non si arrestano le carezze, le capriole (d’acqua, d’aria, di terra), il tintinnio dei sorrisi, invincibili come l’amore. Parliamo del nuovo libro di Lina Maria Ugolini, “Il Materno argento”, un canto dal sapore universale, edito da “Bertoni”.

L’idea, esplicitata nel titolo, “Il Materno Argento”, come si è consolidata in linguaggio poetico?
Attraverso un percorso che narra in poesia l’immagine di una mamma dai capelli grigi, consapevole del tempo trascorso e perduto, di quello che resta prima di volare in cielo. In queste liriche torna un canto materno compreso nel profondo, desiderato, evocato da una parola che rammenta la giovinezza, il tepore del latte dato alle proprie creature accolte al seno. L’allegria di giocare con loro in giorni segnati dalle abitudini, all’ombra del giogo fantastico imposto dalla scrittura, ladra d’ogni pensiero e sentimento. Ormai da molti anni costruisco i miei libri di poesia in modo regolare, quasi in un fiato. Seguo le orme di un percorso sulle quali erigere l’impalcatura dei versi, i sipari emotivi delle sezioni. Così ogni libro si trasforma nella parabola di un’anima.

Se l’argento insegna a “trattenere il presente”, la poesia cosa insegna?
La poesia in questo libro – dedicato ai miei figli e a tutti i figli di mamme mondo – corregge l’errore, sorregge colei che in dono offre questi versi ai propri figli, a ogni figlio di una mamma mondo. Insegna a sarcire il non detto, il non fatto, ridisegna la vita, concede all’esistenza un nuovo tempo, un tempo di ritorno, un vissuto osservato con gli occhi della consapevolezza e della saggezza.

Lavori più con il visibile o con l’invisibile, con le visioni o con il vissuto?
Visibile e invisibile, visioni e vissuto si compenetrano, si trasformano, si plasmano in suono. Camminano fianco a fianco, diventato gamba destra e sinistra. Accade se si vive del mestiere di scrivere.

In che modo il senso del tuo lavoro è legato (o non lo è) all’udito (da intendere in senso lato e figurato) di coloro che leggono?
L’udire è sempre il frutto di un dialogare tacito con il lettore. Si schiude in lentezza e invisibile presenza, al pari dei petali di un fiore. La parola in questo libro è lente di papavero, fragile e sensibile al vento, alla pioggia, alle stagioni che vestono il tempo. L’udire dice: ascolta il forte sentire della poesia.

Pensando concetto odierno di attualità, quindi alla “necessità” inoculata di vivere letteralmente battendo il tempo, con una riflessione di Zanzotto (“La poesia è sempre più di attualità perché rappresenta il massimo della speranza, dell’anelito dell’uomo verso il mondo superiore.”) ti chiedo: la poesia è (rimane) attuale?
La poesia è sempre nel presente, trasforma l’attimo, concede all’attimo un respiro cadenzato. Ogni volta che si legge poesia l’attimo si dilata, ritorna e vibra. La parola crea accordi, il corpo del poeta è uno strumento, la sua voce, se autentica e necessaria, canto dell’Umano.

Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare tre poesie dal tuo libro.

Vieni in braccio bambino mio
prova ancora a farti cullare.

Pesano tanto le tue gambe da uomo
attento, piano, non mi schiacciare.

Prova tu a tenere me sulle ginocchia
il gioco così può durare di più.

Si nasce minuscoli
si diventa grandi

a colmare uno spazio
a infagottare un peso.

Nel pomeriggio si faceva il circo
la mamma colorata
sollevava i suoi bambini
affidava loro a turno
la terrazza dei piedi
retta dalle colonne delle gambe.

Li sollevava in alto
poi cadevano sul molle
con un tonfo di risate.

Allegra quella mamma con pochi pensieri
nessun dolore le consumava il cuore a scavare gallerie.

Inventava giostre e canzoni
a inneggiare ruggiti di belve
balzi sul materasso
da trapezi immaginari.

Giocolerie da letto a due piazze.

Stanotte a casa sono tornati i ragazzi
riempiono di respiro la stanza piena di cose
ricordi di giorni di scuola
qualche pupazzo, libri e lattine
vestiti abbandonati sulla sedia
ai piedi del letto
magliette rivoltate tra calze quasi perdute.

La casa dorme piena di sogni
si catturano a filo d’antenna su baffi di gatto.

I vecchi genitori non sono più soli
hanno i ragazzi nei loro letti
tornati ad essere culla
per la mamma d’argento.

Tra queste scegline una per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quando “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere (nel contesto del libro che l’accoglie).

La scrittura di questo libro è legata a un primo passo, a una prima poesia pronta a geminare. A una prima pagina:

La vecchia desidera un bambino
lo dicono gli occhi sbiaditi
a udire una spina pungere il cuore.

Tocca la mano il ventre molle
i seni caduti in pieghe di pelle
quelli che un tempo stillavano gocce di nettare.

Stava nuda e distesa allora
nel tempo non sciolto dai ghiacciai
assopita su un lenzuolo di lino siciliano.

Il bambino si muoveva nella pancia
vivo per conto suo in lei
assente per fantasia e in mesta attesa.

Se tornasse feconda la madre d’argento
parlerebbe notte e giorno a quel bambino
racconterebbe di una mamma mondo.

 

 

(la versione ridotta di questa recensione-intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 19.10.2025, pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).

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