Poetry Vicenza 2016. Incontro con Douglas Reid Skinner e Valerio Magrelli

Beautiful young woman in brown mysterious venetian mask
Beautiful young woman in brown mysterious venetian mask

Indimenticabile arrivederci di Poetry Vicenza in una Basilica Palladiana vestita a nuovo e riecheggiante delle musiche seicentesche di Ilaria Fantin all’arciliuto e Irene Brigitte che, anche con la tammorra salentina, hanno dato vita in inglese, francese e spagnolo a melodiosi canti. In questo tripudio di sfolgorante bellezza e armonia le voci di Douglas Reid Skinner e di Valerio Magrelli (letti dai convincenti Marica Rampazzo e Michele Silvestrin) hanno calamitato l’attenzione di circa centoquaranta persone, alcune delle quali rimaste in piedi. Presenti ospiti, autorità e organizzatori, fra cui il vicesindaco di Vicenza, Jacopo Bulgarini d’Elci, che ha elogiato la rassegna ricordando che mai come in questo periodo storico la poesia abbia una funzione rigeneratrice; Elena Milan, direttrice delle Gallerie di Palazzo Leoni Montanari, e Anna Cardinaletti, direttrice del Dipartimento Studi Linguistici e Culturali Comparati dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Il portavoce, collante di arti e artisti è l’infaticabile Marco Fazzini, anch’egli poeta e traduttore il quale, comprensibilmente orgoglioso del successo della rassegna, ha ricordato al pubblico la partecipazione di ventidue poeti, quaranta musicisti e quindici traduttori.

DOUGLAS REID SKINNER

Con una certa timidezza non disgiunta da innato garbo, Douglas Reid Skinner, introdotto da Fazzini e forse incoraggiato dagli applausi, finalmente raggiunge la postazione. Amico e traduttore di Magrelli e dello stesso Fazzini, al quale, visibilmente emozionato, si rivolge con un: «Grazie Marco!», fin da subito riscuote la simpatia dei presenti e della sottoscritta. Nato a Upington, in Sudafrica ma vissuto a Londra, ha fondato il periodico letterario Upstream, divenendo poi caporedattore della rivista Contrast. Dal 1988 al 1992 ha diretto la casa editrice Carrefour pubblicando i più incisivi poeti sudafricani di quel periodo. Attualmente è condirettore a Città del Capo della nuova rivista Stanzas. Autore di varie sillogi poetiche, ha affiancato all’attività di giornalista e traduttore quella poetica che è comunque diventata la sua occupazione a tempo pieno. Riguardo alla raccolta Heaven: new and selected poems (2014) il Premio Nobel John Coetzee ha scritto: «L’opera di una vita viene qui a raccogliersi, mattone dopo mattone, con assoluta coerenza». R. Skinner ha letto nella sua lingua alcuni testi poetici prima proposti in italiano da Marica Rampazzo: Educazione sentimentale, Incertezza in cui parla dell’esperimento mentale di un fisico, in un’interpretazione meccanica-quantistica. Prima di leggere i versi di Little men red/Piccoli uomini rossi R. Skinner estrae dalla tasca un piccola pietra preistorica. Sarà Michele Silvestrin a proporre al pubblico brani della silloge Heaven/Paradiso, dedicata alla moglie scomparsa dell’autore e altri ispirati ad un amico affetto da demenza: Un pennacchio di fumo si solleva in una nuvola/.. un vento lo fa roteare in tondo/, in tondo, in tondo…

Viaggio (Journey)

L’orizzonte continua a starsene lì, ogni mattino dove
inizia la luce, ogni notte dove finiscono le stell.
E sempre il volto dell’acqua, ogni tipo d’emozione,
e di tanto in tanto del fumo, o una scuola di delfini.

Oltre quello c’è sempre terra.
I vecchi dicono che possono annusarla, anche quando
a mezzp momndo di distanza, mai toccata, mai raggiunta,
la sua sostanza non è più di un racconto, o leggenda.

Poi, d’improvviso, un giorno, eccolo qua, un luogo
che fissa i volti che lo fissano dai binari,
un lungo luccichío di spiagge e folle d’uccelli
sulla foresta del litorale, con la montagna dietro.

Ma nessunatterraggio, né segno di persone inpiedi
a osservare il passaggio d’una nace, e tu te ne stai
a immaginarli nelle loro esistenze, come mangiano e s’accoppiano,
parlano e dormono, stanno all’erta del pericolo del mare..

L’acqua continua a passare, sibilando, ogni mattino
metallo e sangue, ogni notte un impenetrabile inchiostro senza fine.
I vecchi sognano e fiutano l’aria, e quando
passano i delfini, si sporgono dai binari, in ascolto

(traduzione di Marco Fazzini)

VALERIO MAGRELLI

«Una presentazione poco accademica per un grande poeta che come pochi altri sa scavare molto internamente nelle pieghe del reale. Traduttore e saggista, docente di letteratura francese all’Università di Cassino, vanta una produzione letteraria ciclopica, impossibile da elencare». Esordisce così Marco Fazzini a sua volta elogiato da Magrelli che ammette di essere “emozionato per l’incanto del luogo, la presenza marchigiano, l’aura musicale”. Il reading inizia con L’abbraccio (testo presente nella bella antologia uscita per i tipi di Edizioni ETS in occasione di Poetry Vicenza 2016 che raccoglie brani dei ventidue autori), seguita da L’imballatore (dedicata ai traduttori), L’imballatore chino/ che mi svuota la stanza/ fa il mio stesso lavoro./ Anch’io faccio cambiare casa alle parole/, che non sono mie, e metto mano a ciò che non conosco senza capire cosa sto spostando. L’autore ribadisce che nel tradurre ci vuole convergenza di poesia, enigmistica (Edoardo Sanguineti docet), retorica. Magrelli, insuperabile esegeta di se stesso, incanta il pubblico raccontando come ha voluto scrivere Didascalie per la lettura di un giornale, un libro di poesia in cui ogni testo fosse l’equivalente di una parte del giornale: Codice a barre, Onoriamo l’altissimo vessillo/ che/ sventola sul regno della cosa/ l’anima crittografica del prezzo/ rosa del nome e nome della rosa/ mazzo di steli, fascio/ di tendini e di vene/ – polso/ per auscultare/ il battito del soldo.
Quello che in questo incontro davvero contagioso appare e sorprende è una sorta di anello, un interscambio che lega R.Skinner-Magrelli-Fazzini, una sinergia ravvisata e comunicata dallo stesso Valerio Magrelli: «Siamo tutti e tre uniti dalla mania che è la traduzione, l’atto più simile alla scrittura letteraria che esista, gesto di filologia, amore per la parola… si dovrà arrivare a leggere il nome del traduttore nella copertina del libro». L’autore romano legge i suoi versi intellettualizzati e complessi unendo all’ironia una ilare giocosità che fa sorridere anche il pubblico meno specialistico. Ad esempio quando in Scacchi recita: il bianco muove e vince in tre mosse/ non sapremo mai quali. O quando in Ombra ci parla del bisticcio di parole: Erika-Omar in cui cerco inutilmente di separare le due cose. In Degli infissi in cui Magrelli racconta di averla scritta un anno e mezzo prima della nota dichiarazione della Merkel. Ne Il sangue amaro (2014), articolata silloge di poesie dedicate ai mesi, divise in dodici sezioni e in due metà di 55 poesie ciascuna; ampio ventaglio di argomenti: poesie su artisti, poeti o amici, sorta di iper-testo sul tema della lettura, ripresa dell’antico genere dei calendari, al poemetto «etologico» La lezione del fiume. A ciò si aggiungono versi civili (Cave! e Il Policida), che si alternano ora a parti più lievi (Piccole donne e Paesaggi laziali) ora a un’approfondita riflessione intorno al rumore, alla musica, all’acustica (Otobiografia). Musiche, interventi, applausi interminabili… Conclude recitando i versi da Invettiva sotto una tomba etrusca in cui esprime la preoccupazione per la perdita della lingua italiana invasa dalle lingue straniere, così come nell’antichità la lingua etrusca stava soppiantando quella romana. E anche Andrea Palladio, il cui immortale respiro aleggia in Basilica, assurge a poeta, come già ebbe a dire Goethe nel suo Diario di Viaggio in Italia: V’è davvero alcunché di divino nei suoi progetti, né meno della forza del grande poeta, che dalla verità e dalla finzione trae una terza realtà, affascinante nella forza della sua fittizia esistenza.

L’abbraccio

Tu dormi accanto a me così io mi inchino
e accostato al tuo viso prendo sonno
come fa lo stoppino
da uno stoppino che gli passa il fuoco.
E i due lumini stanno
mentre la fiamma passa e il sonno fila.
Ma mentre fila vibra
la caldaia nelle cantine.
Laggiù si brucia una natura fossile,
là in fondo arde la Preistoria, morte
torbe sommerse, fermentate,
avvampano nel mio termosifone.
In una buia aureola di petrolio
la cameretta è un nido riscaldato
da depositi organici, da roghi, da liquami.
E noi, stoppini, siamo le due lingue
di quell’unica torcia paleozoica.

*

Natale, credo, scada il bollino blu

Natale, credo, scada il bollino blu
del motorino, il canone URAR TV,
poi l’ICI e in più il secondo
acconto IRPEF – o era INRI ?
La password, il codice utente, PIN e PUK
sono le nostre dolcissime metastasi.
Ciò è bene, perché io amo i contributi,
l’anestesia, l’anagrafe telematica,
ma sento che qualcosa è andato perso
e insieme che il dolore mi è rimasto
mentre mi prende acuta nostalgia
per una forma di vita estinta: la mia.

*

Invettiva sotto una tomba etrusca

Adesso parleranno tutti uguale,
tutti la stessa lingua che ci ha tolto la nostra.
Hanno cacciato l’alfabeto tra i campi
Braccandolo come un fuggiasco, come un ladro,
l’alfabeto dei padri.

Nessuno ci capirà, e nemmeno tra noi
Impiegheremo più le vecchie parole,
corrose, diroccate mura delle nostre fortezze.
Ci hanno lasciato soltanto
Le tombe, estremo ridosso.

Perciò parlo da qui,
voce reclusa nel buio
tra forme colorate, ma immobili per sempre
come l’ultimo alito
della nostra pronuncia.

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