Arrabbiato e malinconico, Silvio Perego segue la sua strada senza troppo badare al sistema delle lettere e a ciò che richiederebbe per farvi parte. Dal suo osservatorio borbotta e impreca, segna su un taccuino immaginario croci e delizie del suo tempo, buoni (pochi) e cattivi (tanti). La storia dei libri di scuola e della cronaca si fonde con la storia di tutti i giorni, con la gente in ciabatte, coi pomeriggi nei fast food, senza riscontrare grandi differenze di meccanismi, moventi e risultati. Un’umanità grossolanamente divisa tra chi decide e chi subisce, comunque sciocca, arraffona, ostinata, e inesorabilmente confusa.
Come vivi il tuo tempo?
Vivo il mio tempo con discreto pessimismo. La situazione di questi ultimi anni non credo permetta di potere essere affrontata e vissuta a cuore leggero, avviata com’è ad un neanche-tanto-lento degrado. Un degrado che si vede ovunque, nello stato di diritto, nella famigerata società civile, nel post-consumismo. In un mondo politico che pone le scelte economiche davanti ai diritti delle persone lasciando solo i doveri, e governa e decide in base alle indicazioni degli indici finanziari e dei flussi bancari; e ogni aspetto si riflette incondizionatamente nella vita di ognuno di noi e diventa difficile trovare un gancio a cui appendersi e farsi portare via. E addosso, sempre la sensazione che le cose non possono cambiare. La sensazione che non solo, a volte, sembra di non avere un futuro ma è come se venisse meno anche l’aspettativa di avere un presente. La mancanza di questa prospettiva, la precarietà, la carenza di quei valori che tutti si vantano di difendere ma li vanno a sbandierare a destra e a sinistra, fa sì che la luce della speranza si affievolisca sempre di più, un giorno dopo l’altro. Fortunatamente, ho i miei interessi che mi tengono a galla e miei due bambini bellissimi e molto impegnativi che ogni sera, quando torno a casa dal lavoro, mi fanno dimenticare ogni cosa e mi trasportano in un’altra dimensione.
Cosa ti aspetti dalla poesia?
Affrontando la domanda in un contesto più ampio, potrei dire che dalla poesia mi aspetto che possa uscire dal ghetto dove è stata, più o meno volontariamente, confinata e si affacci sul mondo della letteratura come qualsiasi altra forma di espressione. Lasciando da parte la fantascienza e tornando alla realtà, mi auguro semplicemente che la poesia continui a starmi vicino e mi accompagni nella vita e nel mio percorso letterario dove mi ha già dato diverse soddisfazioni.
Com’è nata la tua passione per la poesia?
In passato, mi è già stata fatta questa domanda e ancora oggi non so dire come può essere successo. Forse ha ragione Bukowski quando dice che non sei tu che scegli di scrivere ma è lo scrivere che sceglie te. E così deve essere stato anche per me. Certo, magari ci possono essere state situazioni particolari, esperienze personali, eventi che hanno influito, in qualche modo, a spingermi a cercare i miei limiti, spronarmi ad allargare i miei confini per riuscire a comprendere e comprendermi meglio sulla vita che mi gira intorno. O forse è stato solo un modo per esprimere la mia libertà. Perché, in fondo, cos’è la poesia se non la massima forma di libertà? Davvero no, non riesco a darti una motivazione concreta su come è nata questa passione; tutto quello che mi viene da dire è che è stato un qualcosa di indefinibile che ha acceso la scintilla della luce vera, poi il resto è venuto da solo: un continuo cammino a cercare sempre quel non-so-che che manca.
Cosa significa (per te) oggi essere poeta?
Bella domanda. Ti dico subito che rispondo solo per i poeti che hanno effettivamente qualcosa da dire e non per quelli che scrivono per vanità o per fare bella mostra di sé. Essere poeta, oggi, in un mondo sempre più superficiale vuol dire essere un individuo che riesce a guardare oltre alle apparenze e andare a vedere in profondità. Tra i doveri principali del poeta contemporaneo c’è il compito di dimostrare che ci si può ancora emozionare e alzare la mano per segnalare quando si smarrisce la retta via. Dopotutto, come disse Cocteau, i poeti non mentono mai. Testimoniano.
Qual è il messaggio cardine del tuo libro?
Il libro s’intitola “Gli impiegati vanno di fretta” e come il precedente (Jazz) è stato pubblicato per Lampi di Stampa nella prestigiosa collana Festival, curata da Valentino Ronchi. Inizialmente il messaggio che pensavo di trasmettere era evidenziare la capacità di sapere usare al meglio il poco tempo libero che abbiamo a disposizione conciliandolo con gli altri impegni. Gli impiegati avrebbero dovuto essere un esempio pratico di come gestire e sfruttare nel migliore dei modi i tempi morti delle nostre giornate. Durante la pausa pranzo, aspettando l’autobus, in coda alla Camera di Commercio mentre aspetti il tuo turno. Partire dal presupposto che il Tempo è uno dei beni più preziosi del nostro periodo storico per impiegarlo in maniera concreta a seconda delle proprie esigenze. Successivamente, il libro ha iniziato a vivere e a girare ed è finito in più mani e ognuno ha cominciato a evidenziare aspetti diversi. Qualcuno ha detto che nel libro si dice quello che ho sempre pensato ma non sono mai riuscito a dire. Un altro ha detto che dentro ci sono le storie di tutti noi, di tutti giorni. Le storie delle vecchie case di ringhiera… altri hanno letto la sofferenza. In altri casi è emerso il declino della società contemporanea, e così via. Capisci che a questo punto ho iniziato anch’io a farmi delle domande sul messaggio che pensavo di trasmettere, e sono riuscito solo ad arrivare alla conclusione che se un testo si presta a molteplici interpretazioni questo non fa altro che aumentare il valore del testo stesso. Dei miei impiegati che vanno di fretta…
***
intro
tutte le volte che guardo fuori dalla finestra della stanza 411
avverto sempre la stessa sensazione
di essere in ritardo.
spalanco le persiane, accendo una sigaretta
e me ne sto a fissare il vuoto
fingo di pensare
perché è solo questo che riesco a fare: fingere
e per quanto mi sforzi, non riesco ad andare oltre l’orizzonte
dove vedo le stesse persone e gli stessi posti tremare
scossi da una brezza umile che ricorda
un bacio triste
***
la faccenda del pianeta è più grave del previsto
nel precipitare incalzante e roboante dell’umanità
cammino male
incespico in gradini malfermi
sognando un giorno di scrivere una grande poesia
sperando di non essere troppo vecchio per scriverla
perché da vecchio finisce che non ci crede nessuno
e dicono che non sei altro che un povero illuso imbavagliato
in cerca di soldi per pagare la macchina, la rata del mutuo.
o la lavastoviglie rotta
mentre
il frigo piange su formaggi ammuffiti e
fra un minuto sarà pronto, io
sarò pronto
sono sempre stato pronto
anche da solo sulla veranda a pensare a chi può avermi rubato
la bicicletta
senza fare nulla come tutti gli altri uomini
che si muovono
accendono la griglia
indossano bianchi cappellini flosci
con scritte improbabili
e si allontanano sputando per terra.
***
la paura di un altro autunno
ingiallito scorcio
d’inquieto risveglio
– – break break potete dirmi
ma non avete udito
il ridicolo urlo
solenne
del semaforo lampeggiante,
gli impiegati vanno di fretta
tra non molto sarà giorno di paga.
***
visione della grande poesia dell’inesistenza
m’incammino verso
la radiosa
finzione
spaventosa della vita
in cerca di conforto
per questo mondo rotolante
il piccolo cane marrone ringhia,
l’orologiaio maniaco apre
tardi il negozio, questa mattina
il cameriere ritira piatti
vassoi e forchette di plastica
proprio dove poco fa
ho visto giuro
una signora pronta-a-tutto far sparire
una fetta di torta morsicata
in un bicchiere di carta
se l’è messa in borsa
ed è scomparsa
magicamente
come se non fosse mai esistita
***
il tutto avviene nel tutto
nelle magnifiche serate senza respirare
in un attimo
nascosto dietro pensieri pensierosi
nulla di particolare
questa notte
nottità incrinata sulle sue rovine gentili
e una moscia luce di luna si spegne
sai cosa intendo e non me ne sono accorto
è lo stesso lampo
distrutto da queste scale bianche verso il cielo stellato
è l’immensità
e smarriti ci siamo guardati
migliaia migliaia migliaia
d’immagini di noi davanti a noi
noi che stiamo in disparte.
***
trasuda lezioni di vita mcDonald
questo mezzogiorno
sala stracolma e
occhi spenti e denti in fuori
avide labbra ingoiano l’inferno,
dimmi se è davvero questo l’inferno
lo stewart mangiabambini
con l’ampia cicatrice occipitale scruta
i vassoi con i bicchieri di carta
e i resti di salsa lasciati dai bimbi
sui tavoli
ma nessuno ha paura
di lui
nessuno teme il potere. il potere noioso
guardo in silenzio
immaginandomi di essere un altro
in un altro posto.
siamo davvero tutti uguali?
i nostri occhi sono uguali?
eppure non vedono le stesse cose
e il nostro cuore è a pezzi
ma non importa
tutti alle casse a farsi comprare il gelato
prima di tornare a casa
così l’inferno è più dolce per tutti, oggi.
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