#1Libroin5W
CHI?
Protagonisti dei racconti contenuti nella raccolta sono in primis i “luoghi” d’ambientazione, città o borghi ai tre angoli della Sicilia, osservati in uno scorcio dall’atmosfera e sentimento prevalenti, e ritratti in quella che appare come vocazione specifica. Da ogni singolo luogo deriva l’ispirazione di una storia che le è speculare per “senso”, perché figlia della sua storia naturale o perché rispondente al richiamo delle sue suggestioni.
Sono storie di “volti” realmente esistiti, tratti dalla cronaca e/o incontrati realmente, insieme a quelli inventati per trasfigurazione. Personaggi spesso singolari, per le scelte di vita compiute fuori dai consueti binari. Individui che testimoniano un’identità, perché in quella terra sono nati e la amano, o perché pur da lontano e da stranieri ne hanno sentito fortemente l’appartenenza e il richiamo. Personaggi attraverso cui narrare il luogo.
COSA?
Tratti di vita o intere biografie stese in forma di breve memoir, di saggio (Nel nome del padre) o di narrativa pura. Vicende che testimoniano l’inesauribile fonte di meraviglia sprigionata dall’isola, in storie quotidiane o singolari, assurte alla cronaca o passate inosservate come mille altre, talora rivelatrici di un grande amore per la terra cui si sente di appartenere, talaltra espressione dell’anima specifica di un angolo della regione.
QUANDO?
La raccolta contiene la riscrittura di 12 racconti ambientati nella Sicilia degli ultimi sessanta anni. Nati e pubblicati singolarmente in anni diversi (dal 2011 al 2021), con l’aggiunta di alcuni inediti, sono qui riproposti dopo un’elaborazione stilistica che tiene conto della varietà e dei generi di scrittura contenuti. Dai vari testi frutto d’immaginazione e fantasia al racconto fedelmente biografico come in Nel nome del padre, all’autobiografia-memoir contenuta in A Villafranca Tirrena, alla narrativa giornalistica di Theresa Maggio, l’americana che narrò la Mattanza e di Catania vista da Palazzo Stidda. Tutti in forma di racconto breve o brevissimo, con voce narrante diversa, disposti senza un ordine preciso.
DOVE?
Quasi tutte le province della regione sono di volta in volta protagoniste, in una sorta di viaggio appassionato in luoghi della memoria, in un tempo sospeso tra presente e passato. Dall’insularità precipua delle Isole Egadi e Isole Eolie a quella costiera, diversa, di Palermo e di Catania; dalla natura incontrastata e consolatoria di Testa dell’Acqua (Noto) a quella leggendaria della Scala dei Turchi (Agrigento); dall’oasi serafica del messinese al cuore isolano di Enna e Caltanissetta, alla grande e magnifica Etna, patrimonio di ogni dove. Ciascun racconto vuole rendere uno scorcio di una terra caleidoscopica che si può solo narrare parzialmente. «A volte isola, a volte vero e proprio continente – scriveva Gesualdo Bufalino in Cento Sicilie – la Sicilia è terra di storie che evidenziano la centralità del suo ruolo nella cultura mediterranea». Non da ultima Sperlinga, luogo di isole linguistiche siciliane dal dialetto gallo-italico, “isola nell’isola”, che ci fa ripensare al grande Luigi Pirandello. E in ogni racconto, una piccola parte delle vicende si svolge in un luogo esterno alla regione, perché «viviamo col limite dell’orizzonte, specie in un’isola. Il mare separa da altre terre e al contempo unisce a un altrove prefigurato in lontananza».
PERCHÉ?
La Sicilia è terra di storie che evidenziano un ininterrotto processo di acquisizione e di cessione allo stesso tempo dei più svariati elementi culturali. Ed è forse per questo che, parallelamente alla sua forte seppur complessa identità, essa riserva a ogni passo anche un altrove, che chi viene da lontano riconosce inconsciamente, trovandovi un ponte di collegamento diretto con le proprie radici. Il suo volto attuale, seppur modernizzato, conserva ancora in alcune provincie tratti di quello antico, una vita a misura d’uomo nei ritmi cadenzati della giornata e nella predominanza dell’ambiente circostante, come nell’immediatezza delle relazioni umane. Quella dei nostri giorni potrebbe essere l’ultima visione di quell’eterna Sicilia che ancora percepiamo, seppur a tratti. Per quanto tempo ancora questa terra avrà e darà lo stesso respiro, che noi diciamo ciatu?
Scelti per voi
LA MONTAGNA SORELLA
Il bouquet di fiori tra le mani, bianco, e bianco anche l’abito lungo di stoffa fine e cadente. Sette testimoni commossi e silenziosi in attesa del rito, a pochi metri da lei. L’ammirano, le vogliono bene, come il tempo oggi dalla sua, prodigo di un cielo terso, smagliante, e la terra che rifugge da tremori e sputi di fuoco. Anche il vento, solitamente temibile per l’altitudine, si è fatto clemente.
Maime Saiko solleva l’orlo dell’abito dal pietrisco nero, riprende la posa eretta e vigile col viso rivolto allo strapiombo di lava, un cono di vuoto provvido di vertigini scarlatte e roventi, di lingue di fuoco, di meraviglia come di morte, un liminale alla potenza dell’uomo da lei sentito fortemente.
Lentamente sottrae una fede all’astuccio fissato al polso e la mette al proprio anulare sinistro. Immobile anche il capo, non le serve guardare, lo spazio lei lo palpa con altri sensi.
SEGNALIBRO DI TRAME
Lo zio si girò veloce verso la stanza da letto, e Betta, che lo guardava stranita per la consueta imprevedibilità, colse la scritta impressa sul retro della sua maglietta: La giraffa ha il cuore lontano dai pensieri. Si è innamorata ieri e ancora non lo sa (Stefano Benni). Trovò la frase originale e curiosa, ma non capì il senso, come del resto tutto ciò che la visita le stava riservando. Lo zio era il solito burlone stravagante. Betta accarezzò dolcemente il libro e lo aprì lì dove qualcosa lo inframezzava, a mo’ di segnalibro. Era un foglio pieno di cancellature e scarabocchi, e di inchiostro sbavato a tratti, come inumidito da qualche liquido. Poi lo riconobbe. Era la brutta copia di una lettera che aveva scritto lei in una bruciante notte insonne, la vigilia della sua partenza per Testa dell’Acqua, con lo zio, nell’agosto del 1979.
A Villafranca Tirrena
Tanti i pescatori, in piccole imbarcazioni, che al mattino trovavamo in spiaggia o in strada a vendere il pescato della notte. Per le vie, l’aria salmastra si alternava alle note di zagara o a quelle penetranti di arance, limoni e mandarini. Davanti a ogni uscio di casa antistante la strada, una fila di piante da poco, niente di esotico o ricercato, tra cui delle sempreverdi palmate di cui oggi so il nome, Ligularia, raramente viste altrove. Alte come bambini, in geometrie spontanee e asimmetriche di verde intenso, vestite a nuovo d’estate dalle infiorescenze colorate. Piccole scenografie umili anche nei vasi di fortuna, differenti l’uno dall’altro, latte della pittura murale o di conserva di pomodoro dei ristoranti. Semplici ma rigogliose e allegre, tali e quali al paese.
UNA FOTO SPECIALE ALLA SCALA DEI TURCHI
Scese dai gradoni della falesia per raggiungere la spiaggia di lido Rossello. Si stese al sole in un punto dove la battigia si assottiglia e incontra uno scoglio isolato che affiora dal mare. Pochi minuti e vide arrivare un uomo su una bicicletta rossa stravecchia, carica di due cassette di legno consunto e di ruggine. Il tempo e la vita in strada sembravano aver segnato anche lui. Le spalle curve e le gambe arcuate; una folta capigliatura riccia e nera che copriva il viso come un elmetto – soprattutto sugli occhi – e che di certo non vedeva un barbiere da molto tempo. Posteggiò con molta cura la bici a circa due metri dalla riva, accanto lo scoglio, e cominciò una lenta e ordinata svestizione posando per bene la camicia a quadri bianchi e blu sul sellino e i pantaloni neri sullo sterzo, come su un servo muto. Addosso, tenne i calzini a righine bianche e blu – tipo clown – e dei boxer neri di maglina, alti, dal largo elastico bianco in vita con la scritta roboante Giorgio Armani, decisamente in contrasto con i vecchi abiti che aveva già sfilato. A testa china, sotto la folta chioma a pensilina sugli occhi, prese a rovistare tra conchiglie e detriti. Raccolse legnetti e canne e scomparve dietro lo scoglio.