#1Libroin5W
Chi?
Nel mio ultimo romanzo Perché il vento era nero (ed. Il Maestrale 2024) il vero protagonista principale lo si può scoprire nel titolo, un monito ricorrente in tutta la narrazione, e solo leggendo una riga dietro l’altra si può comprendere cosa ho inteso fare. In ogni riga, in ogni capitolo, in ogni enigma, il lettore dovrà ripetersi, come un mantra, Perché il vento era nero. Dentro queste affermazioni si aggirano – fuori da ogni tempo canonico, in un disperato onirico sulla soglia della Storia umana – figure conduttrici: il cavallo Ti Giuro; una Villa viva e poi in macerie ancora più vive; un macchinista ferroviere autore di una strage di orfani in fuga dalla Villa Orfanotrofio; dalla stessa Villa trasformata in ospizio, quando? Non conta il Tempo. Incontreremo Lisabè e Tomaso, gli unici sopravvissuti alla tragedia ferroviaria, che si ritroveranno dopo dieci anni di distacco e si ameranno di un amore vietato, “immorale” sempre nella Villa e nel cerchio di “miraggi” a loro destinati. Protagonista è un campo di arance. Una scala regale. L’insolita apparizione della Giudicessa Eleonora D’Arborea. Le acque sottomarine. I fiori del cardo selvatico. Le rotaie. Un segreto narratore che svelerà la propria identità solo nelle ultime due righe del romanzo. Protagonisti sono i cunicoli custodi di memorie in una cittadina dove la maggior parte della vicenda accade. O non accade? Questo non senso può essere compreso solo da un lettore predisposto alla visionarietà, agli orologi fracassati, alla fuga della logica comune.
Cosa?
“Perché il vento era nero”, così come sa essere esplicito il titolo del romanzo, allo stesso modo dovrà esserla la dedica iniziale nel libro: “ai miei tre dottori degli occhi” che da ormai una decina d’anni accompagnano e sorreggono con tenacia il mio cammino verso l’inevitabile cecità. La perdita della vista è un nodo fondamentale nell’intera narrazione, intendendola come situazione fisica quanto comportamentale esasperata dal cinismo di molti miei contemporanei su svariate tematiche.
Quando?
La risposta è “quando si decide precedenza a una idea tra mille altre, per raccontarla.”
Ero venuta a conoscenza dell’esistenza dello scienziato svizzero Charles Bonnet, vissuto nel fine ‘700. A lui appartiene la scoperta – derisa da tutto il mondo accademico di quei tempi e a oggi ancora troppo sottovalutata – della poi battezzata Sindrome di Bonnet. Tale patologia colpisce esclusivamente i portatori di particolari e gravi problemi oculari, procurando loro vere e proprie nitidissime visioni. Ancora a oggi un malato che osa confessarlo viene relegato tra i dementi senili. Un tempo, qualcuno, ha assaggiato il rogo. Invece è il cervello a comandare utilizzando gli occhi del malato alla stregua di un arto fantasma. Su questa Sindrome ho voluto lavorare poiché mi favoriva sulla mia indole immaginifica.
La seconda idea me l’ha fornita il rifacimento di un’antica piazza nel centro storico della cittadina nella quale vivo. E l’assoluta cecità dei nostri amministratori ricoprendo senza senso di colpa alcuno la memoria sommersa. In questo caso i cunicoli e i pozzi medievali se non bizantini. Ho voluto mischiare la Storia con l’invenzione visiva perché qualcuno si ponesse interrogativi sul significato di cecità.
Dove?
Il romanzo è ambientato nella mia città natale e di residenza, Aristànis poi diventata Oristano. Posta al centro della costa occidentale dell’Isola di Sardegna. Un luogo nato tra stagni, paludi, alluvioni. Ma poteva sorgere in qualsiasi geografia del mondo, perché mai dissimile è l’Umanità, soprattutto per gli sbagli quando insegue lusso, avidità, e cecità ambientale. La distruzione del Pianeta è sotto gli occhi di tutti e forse siamo ormai troppo in ritardo per modificarci il campo visivo.
Perché?
Ho provato a dare parole dure e botte, certo invano, circondata da un vento nero di disfatta e di arroganza. Ma spero di continuare a sentirmi la coscienza a posto nei momenti in cui mi guardo intorno e forse gli occhi non li vorrei davvero più. Anticipando il momento del mio inevitabile buio.
Scelto per voi
Più che proporvi qualche passo del libro preferisco riferivi come il mio editore Il Maestrale ha inteso presentarlo. Questo romanzo non è semplice né per struttura e né per contenuti. Potrei confondervi.
“Al centro esatto della costa occidentale della Sardegna, tra stagni, paludi, fiume e mare sorge una cittadina detta Aristànis, in questa storia fuori da ogni spazio temporale, ascrivibile al racconto visionario se non si è capaci di accogliere i molteplici punti di vista, i significati di ogni mente e di ogni occhio presenti solo nella Grande Pianura del Campidano, protagonista accudente di ogni personaggio presente nella narrazione. Narrazione ben distante da quelle ufficiali, ma non per questo falsa. Non ci si stupisca dunque di incontrare la Giudicessa Eleonora d’Arborea, all’improvviso e in insolite vesti degli anni settanta del’900. E neppure di conoscere Gianmaria Esposito, un macchinista ferroviere autore di una strage di bambini in fuga sui binari proprio di fronte alla Villa seicentesca destinata a orfanotrofio da un certo Vandalino Casu del quale ancora oggi tutti conoscono il nome e poco altro in città. Per questo “gli scrittori hanno il diritto di inventare”, come affermò una volta Josè Saramago Nobel per la Letteratura. E sarà davvero mai esistita Suor Dolores degli Angeli, figlia di un luminare degli occhi e Direttrice dell’Orfanotrofio? Se sì o no, in questa storia lei prorompe come una manta di mare in cielo. Vola sopra la Villa ancora respirante nonostante le sue macerie e la dimenticanza imperdonabile di una città intera.
Ma saranno Tomaso e Lisabè, i soli sopravvissuti alla strage del treno, a smascherare le cecità dei viventi o meno in qualità di esseri umani, cardi selvatici, ombre acquatiche, fanghi sotterranei, intrighi nascosti nel passato, col loro amore tortuoso, condannato, ma necessario, affinché finalmente possa essere compreso l’indiscutibile incanto di un occidente di Isola.”
Savina Dolores Massa (nella foto in copertina di Antonello Carboni) nasce e vive a Oristano in Sardegna. Scrittrice di narrativa, poesia, testi teatrali, regista, cantora. Operatrice culturale. Cura laboratori di scrittura creativa e di propedeutica alla lettura orale. Collabora da anni con il Centro di Salute Mentale, la Biblioteca Comunale, il Centro Servizi Culturali della sua città. È presente in numerose antologie di racconti e di poesie. Con Il Maestrale ha pubblicato i romanzi: Undici (2008, nella rosa dei finalisti al Premio Calvino 2007); Mia figlia follia (2010, tradotto in Francia); Cenere calda a mezzanotte (2013); Il carro di Tespi (2016); A un garofano fuggito fu dato il mio nome (2019); Lampadari a gocce (2020); Voltami (2022), vincitore del Premio Letterario Festival dell’Altrove – Giulio Angioni – 2023. Sempre per Il Maestrale sono usciti i racconti Ogni madre (2012) e le due raccolte poetiche: Per assassinarvi – Piacere siamo spettri (2016); E adesso chiediti perché sei rimasta sola (2021). Nel 2023 è uscito per Imago Edizioni il racconto illustrato L’uomo blu e le rose. Antoine de Saint-Exupéry ad Alghero.