#1Libroin5W.: Sebastiano Adernò, “Un luogo chiamato Varietà”, I.P.

Chi?

La scelta narrativa è stata quella di portare avanti contemporaneamente gli sviluppi legati ai diversi personaggi. Il libro si apre con la scoperta del coltello da parte di Rubertino. Sarà poi lui, spostandosi dentro le regioni di Varietà ad incontrare Alice, la quale scoprirà l’utilizzo del cucchiaio. E insieme incontreranno poi Giacomino a cui è attribuita l’invenzione della forchetta. Nel romanzo sono presenti personaggi legati all’immaginario fiabesco come il Gigante Pramut, il folletto Io Cucchia, e la civetta parlante Betta. E sono anche presenti personaggi che praticano la cattiveria come il Re Pingitore di Isub, città in cui vive Giacomino, e Gerardo del Contrabbando.

Cosa?

“Un luogo chiamato Varietà” è la storia fantastica della scoperta di tre oggetti ritenuti familiari ovvero: il coltello, il cucchiaio e la forchetta.

Dove?

Attraverso le vicende di alcuni personaggi principali che vivono in regioni differenti di questo immaginario luogo chiamato Varietà, le storie si sviluppano intersecandosi convergendo poi ad Adesso, ovvero la capitale del Regno dove si tiene il Salone delle Invenzioni.

Quando?

La prima bozza del libro risale a circa otto anni fa, iniziai a scriverlo come regalo per il mio unico nipote Nicholas, figlio di mio fratello che vive a Ibiza. Infatti ad esergo è dedicato a lui. Successivamente tramite molte stesure ed un ottimo lavoro di editing da parte della dott.ssa Essa Vanessa Leonardi abbiamo deciso di pubblicarlo.

Perché?

Ho scritto il libro che forse da bambino, avrei voluto leggere.

 

scelti per voi

 

Non molto tempo fa, c’era un Mondo chiamato Varietà.

Era un posto ricco e vasto, vario appunto, proprio come dovrebbe

essere ogni terra che incoraggia nuove scoperte e accoglie ogni

possibilità. La forza di Varietà stava nel suo estro, nella sua infinita

creatività, ma soprattutto nella sconfinata accoglienza che,

come vedremo, darà vita a tre invenzioni all’apparenza banali, ma

che banali non sono affatto. Qui furono, infatti, inventati tre oggetti

ai quali ancora oggi non riusciamo a rinunciare: il Coltello,

il Cucchiaio e la Forchetta.

La storia parte dal giorno in cui fu inventato il Coltello.

O meglio, da quella notte d’inverno…

NOTTE D’INVERNO

Era una di quelle notti che è meglio stare in casa, magari accoccolati sul divano, con una tazza di latte caldo e dei biscotti da sgranocchiare. Non tutti, però, hanno una casa accogliente e una coperta soffice da tirarsi fin sul naso quando il freddo gela le ossa. Rubertino, per esempio, non le aveva. Strano nome il suo. Sua madre avrebbe voluto chiamarlo Rubens, ma suo padre insisteva per Roberto e allora finì che litigarono così tanto che quando il bambino nacque il loro matrimonio era già finito. Perciò Rubertino, appena nato, fu trovato dietro la porta di un convento da una suora uscita di buon’ora per comprare della lana. Se ne stava silenzioso dentro una cesta, con al polso un laccetto di filo rosso da cui pendeva un bigliettino con scritto: “Rubens o Roberto”. Doppio nome, caso bizzarro. La suora, per non far dispetto a nessuno pensò bene di combinarli in un terzo, per cui adesso sappiamo perché il nostro protagonista si chiama così. Torniamo piuttosto a quella notte: notte di luna fioca, cielo fermo e tanto, troppo freddo, anche per le ossa di un giovanotto vigoroso come Rubertino, che camminava su e giù lungo la banchina del Porto Grande, a tal punto furioso da non sentire il gelo. Che ci faceva lì, al buio e con quel tempaccio? Era arrabbiato. Arrabbiatissimo, perché era stato tutto il giorno a cercar lavoro e nessun armatore, capitano, mozzo o pescatore, nessuno aveva voluto assumerlo. E dire che era un ragazzo così volenteroso! Allora camminava senza meta e borbottava come una pentola a pressione: «Non mi vogliono! Nessuno mi vuole dare un lavoro! Ma come accidenti è possibile!? E adesso? Devo tornare a casa a sentire altre storie… maledetto me e tutti loro!». Dal mare intanto saliva una nebbia fitta e pungente, ma a Rubertino non importava. Se la sarebbe mangiata la nebbia, piuttosto di tornare alla locanda del suo patrigno! Era stufo di lavorare in quella topaia per due soldi! Stufo di portare valigie, servire ai tavoli, lavare stoviglie. Voleva un lavoro vero! Un lavoro da uomo. Voleva imbarcarsi, avere una bella paga, viaggiare, vedere il mondo e soprattutto allontanarsi il più possibile da quella locanda! Più rimuginava e più la rabbia lo pungeva, era ferito, ferito dentro: «Maledetti, maledetto… » continuava a borbottare. Più di tutti c’era stato un tizio, il grasso Capitano di un mercantile che trasportava bestiame, che insultandolo l’aveva mandato su tutte le furie: «Ma dove vuoi andare? Tu? Che ti perderesti dentro una vasca da bagno? Sulla mia nave non voglio femminucce! Le donne in mare portano male! Ti conviene restare da tuo padre e tenerti stretto il grembiule!». Così gli aveva detto. Neanche a farlo apposta, mentre rimandava a mente a quell’episodio ancora e ancora, senza riuscire a liberarsene, quasi fosse un ossicino che ti giri per la bocca e che non riesci a masticare, alzando la testa si accorse di essere a pochi passi proprio dal mercantile di quell’arrogante. “Ah, se sapessi come liberare gli ormeggi e mandargli la nave alla malora! Staccherei subito la fune e domani vorrei proprio vedere la faccia di quel prepotente!”, pensò, fissando l’imbarcazione con sguardo torvo. Appena questo pessimo desiderio fu generato dalla sua voglia di vendetta, da dietro le sue spalle gli sembrò di avvertire qualcosa, un suono o una presenza. Si girò di scatto e si guardò attorno trattenendo il respiro. Poi dal muro di nebbia uscì una voce che diceva: «Bravo, bravo! Fai bene a essere così arrabbiato!».

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