#1Libroin5WPoesia.: Paola Loreto, In quota e altre ascese, Interlinea.

#1Libroin5WPoesia

 

Chi? 

Un soggetto umano che è individuale, storico, nel presentare la sua esperienza particolare, ma anche rappresentativo di un’ipotesi dell’umano e delle sue relazioni. La natura e la montagna come ambiente originario e di destinazione. Tutti i loro elementi e le loro creature. Le emozioni del corpo e della mente in un’idea dell’esperienza del mondo che possiamo recuperare, che li coinvolga come una cosa sola (un corpo-mente) nella relazione con l’altro-da-sé.

Cosa? 

La natura, specialmente in montagna. Il mio rapporto con gli elementi naturali e l’ambiente. Il nostro rapporto con la natura: il mio corpo come il nostro corpo (o almeno quello di alcuni di noi, in atto e in potenza) a contatto del corpo (cioè i corpi) della montagna: cosa sentiamo, cosa potremmo sentire salendo, con i passi e con i gesti. Le sensazioni, le emozioni, le idee. La conoscenza di noi che è al tempo stesso la conoscenza dell’altro. L’amore di entrambe le cose.

Quando? 

La “levatrice” di In quota (che nella nuova edizione accresciuta è In quota e altre ascese) è stato Derek Walcott. Durante un workshop di scrittura creativa all’Università di Milano ci raccomandò di scrivere di quello che conoscevamo bene e amavamo, come aveva fatto lui con i suoi Caraibi. Anche se non fosse stato di moda. Che quella era la scommessa con il futuro di un poeta. Allora ho fatto “coming out” sul  materiale della mia poesia che andavo accumulando in quel momento—che a quei tempi non andava così di moda—e ho deciso di uscire con un libro sulla montagna e il mio rapporto con lei, invece di nascondere le mie poesie sulla montagna e il mio rapporto con lei in altri libri.

Dove? 

Senza dubbio ai Tezzi Alti di Gandellino, in Alta Val Seriana, specialmente nella prima sezione, più comunitaria, in cui nomino i luoghi e i personaggi del luogo (veri e fittizzi). E poi nelle mie orobie, in generale, nelle sezioni Il libro di Tobia (che adombra una storia d’amore) e A te (la sezione più metafisica). Ma anche le Dolomiti, nella vagabonderia finale (il Libro delle ore). E San Vigilio e i colli di Città Alta, dove amavo camminare quando ero ancora bergamasca.

Perché? 

Perché credo che la vita del corpo-mente che siamo, a contatto con il corpo e la coscienza agente degli “altri della terra” (gli earth others di Rosi Bradoitti), sia una dimensione originaria da recuperare. Abbiamo deviato in una direzione non etica e autodistruttiva, che ci separa e ci rende infelici (e stolti, e cattivi). Dobbiamo ricordarci di chi siamo, e di un mondo possibile che possiamo abitare eticamente—vedendo e ascoltando l’altro-da-noi e convivendoci—tornando a essere quello che eravamo e che possiamo portare a compimento: creature rette e serene, intere. La poesia è l’espressione della sapienza materiale, fisica, delle cose. Potrei descrivere quello che voglio che sia la mia poesia con le parole di William Carlos Williams per la sua “La sassifraga è il mio fiore, che spacca in due | la roccia”.

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Ubiquità d’alpeggio

Vorrei proprio sapere, adesso,
perché devo essere là, dov’è
la baita del pastore che sale
ogni anno ai Prati di Vigna.
Il suo nome è Il Santì.
Mi fa un cenno lento con la mano
di lontano ogni sera che mi vede
passare a distanza dalla mandria
che cura e guardare. Un giorno
mi diede del latte. Ma ciò che
si impone ora alla mia mente
che cerca di vedere le parole
che scrivo è quel quadro di sentiero
dove arrivi alla curva che monta
e si apre la valle e vedi la casa
il tubo dell’acqua e la strada
che ancora ti manca a esser là, a bere,
a osservare i panni stesi ad asciugare.

***

Io la neve non la conosco
non so com’è quando ti toglie
il respiro, ti entra nel torace
e nel naso, diventa il tuo corpo
e tu il suo. Io la neve non la so
quando è così più tanta di me
quando mi invade, totale,
riprende quello che è suo
era lì un secondo fa e pareva
bianca, distesa, soffice
leggera. Mia.
Io la neve quando cede
non mi regge
mi scende a valle.
Io la neve
se mi copre mi
capovolge mi schiaccia.
Io. La neve.

***

Era così: un’aria
che torna e porta
tutto. Odore di
tenero di terra
muffa
l’appena nato.
Occhi da chiudere
per continuare a vedere
l’abbaglio
la polvere di luce
l’anima radente il suolo.
Sempre più tardi.
Sempre ancora un po’.
Mai basta, adesso. Più.
L’aperto. La paura.
Forme d’amore nelle dita
liberate, bianche. Sbucciamenti.
Riduzioni per accrescimento.
Guardare. Osare. Cedere.
Assecondo il tempo. Lo ricevo.

 

Paola Loreto è nata a Bergamo e insegna Letteratura americana all’Università degli Studi di Milano. Ha pubblicato Miei lari (Marcos y Marcos, 2024), case | spogliamenti (Aragno 2016), In quota (Interlinea 2012), La memoria del corpo (Crocetti 2007), Addio al decoro (LietoColle 2006), L’acero rosso (Crocetti 2002), le plaquette Spiazzi dell’acqua e Ascesa (pulcinoelefante 2008 e 2018), e Avola (Volo) (Il ragazzo innocuo, 2018), le sillogi Conoscenza della neve (Poesia, gennaio 2012) e Transiti (Almanacco dello Specchio Mondadori 2009), oltre a una silloge di poesie sulla montagna (Premio Benedetto Croce 2003) e numerosi testi in rivista e in volumi collettanei. La sua poesia è stata tradotta in inglese, spagnolo, portoghese e polacco. Una plaquette è stata pubblicata negli Stati Uniti a cura di Lawrence Venuti (houses | stripped, Toad Press, 2018). Traduce i poeti americani.

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