Italo Testa, “Se non sarò più mia”, esprime in versi una condizione radicale: “essere altro da sé, esporsi al mondo”.

tre domande, tre poesie

 

“Pensato come nuovo frammento del poema in divenire La divisione della gioia (Transeuropa Editore, 2010; Industria&Letteratura, 2024), Se non sarò più mia ne approfondisce i solchi, a partire dalle persone interscambiabili e dal mescolarsi di natura e manufatto. Nelle quattro sezioni del libro lo sguardo si protende avanti e indietro nel tempo e nello spazio, facendo spostare il lettore tra le varie scene (il tram – con quello splendido inizio sospeso (“se un giorno, senza guardare, attoniti, / salissimo invisibili su un tram / […] vivi nel leggero dondolio”) –, una stanza d’albergo, la stazione, le facciate dei palazzi) che scorrono nel flusso del vissuto. Le scene a loro volta sembrano rinviare a qualcos’altro che resta fuori e al tempo stesso ci attraversa mentre parliamo. Siamo dove vediamo, ma i contorni si dissolvono, l’esterno visita la mente e la mente ci porta ovunque. A prendere parola nelle sezioni sono io e tu, che finiscono negli altri, o un noi che parla a nome di due; tutte queste persone tendono a farsi esterne e a mostrare un ibrido percepire, comune a tutti: l’occhio e le cose del mondo, gli altri con i loro occhi e i loro mondi “come il fondale mobile, cangiante / dove odiamo, amiamo, ci lasciamo”. Ciò che tiene legate le persone si inscrive dentro una storia più vasta di ciò che le tiene in vita. Dentro una lingua non più di nessuno.”

Parliamo dal titolo: qual è stata la scintilla che ha portato il tuo Se non sarò più mia? Meglio: in che modo – ribadiamolo – la (tua) vita diventa linguaggio?

Il titolo è emerso da uno dei passaggi centrali del libro, e si è imposto come nucleo latente dell’intera raccolta. È una frase in bilico, interrogativa, una soglia tra identità e apertura. Se non sarò più mia non esprime tanto una perdita, quanto una condizione radicale: essere altro da sé, esporsi al mondo, farsi attraversare, decentrarsi. E sta su una soglia interrogativa: cosa accade quando smettiamo di appartenere a noi stessi? Quando ci sfugge l’identità?

La mia vita diventa linguaggio quando smette di appartenersi, quando abdica a una forma chiusa per accogliere l’alterazione. I versi non trascrivono l’esperienza: ne sono la trasmutazione. La poesia, allora, non è autorappresentazione ma disidentificazione fertile. Una possibilità di dire senza dire sé, ma dalla propria fragilità.

Se non sarò più mia non rivendica un’appartenenza, ma si apre al rischio di non sapere più a chi o cosa si appartiene. In quel “mia” c’è una tensione tra desiderio e diserzione.

Nel libro, la soggettività non è mai unitaria, ma sfalsata, in attrito, attraversata da pronomi che slittano, che si cercano. C’è un io che si frantuma, un tu che si allontana, un noi che si sogna e si dissolve. E se qualcosa della vita diventa linguaggio, è solo perché non riesce più a coincidere con sé. Solo perché qualcosa eccede il vissuto e chiede forma — non per essere posseduto, ma per essere condiviso senza proprietà.

Ad oggi, dove sei stato condotto dalla poesia, qual è stato l’insegnamento?

La poesia mi ha condotto fuori dal dominio del soggetto. Mi ha insegnato che l’io è sempre un’intermittenza. Mi ha mostrato che la lingua non è uno strumento per possedere il mondo, ma una pratica per perderlo meglio.

Scrivere poesia è un atto carnale. È un modo per stare dentro il tempo senza possederlo, per sostare nell’intervallo, nell’oscillazione.

La poesia mi ha portato dove non pensavo di poter reggere lo sguardo: in luoghi interni ed esterni in cui il linguaggio trema, e proprio per questo resiste.
Mi ha insegnato che la forma non è una gabbia, ma un modo per reggere la vertigine.
E che la verità, se esiste nella poesia, non sta nei contenuti, ma nel modo in cui la voce si espone alla possibilità del fallimento.

La poesia mi ha portato dove non sapevo si potesse stare: in una zona in cui non si sa bene chi parla, né da dove. Una zona di passaggio, una frontiera sempre aperta tra il pronome e il corpo, tra il dire e il non poter più dire. Non è necessario sapere “chi si è” per scrivere. Anzi, la poesia inizia proprio quando si smette di saperlo.

La forma poetica può ospitare soggettività non stabilizzate, corpi non normati, voci che non trovano un’identità fissa a cui aderire. Se non sarò più mia mette in atto questo spostamento, anche grammaticale.

“e l’esterno ci visita nel sonno / abbatte muri, le protezioni, / gli alberi crescono da dentro”. Con i tuoi versi per chiedere: la poesia è (forse) un destino?

Questi versi nascono da una visione: quella di una soglia abbattuta, del fuori che penetra nel dentro. Il confine non è più difesa, ma porosità.

La poesia come destino? Non saprei. Forse è un’insistenza, una chiamata che non si sceglie. Ma non è qualcosa che “accade a noi”: accade con noi, attraverso di noi, spesso senza che lo vogliamo. Una chiamata somoda: non arriva nei momenti di forza, ma nei momenti in cui si è disarmati, disposti a non sapere più chi si è.

L’io non è mai bastione, ma sempre porosità, e la scrittura vera avviene quando ci si lascia perforare. L’esterno — il mondo, l’altro, il desiderio, la morte — ci entra dentro anche quando dormiamo, ci modifica, ci innesta. Gli alberi crescono da dentro: è la lingua che ci cresce addosso, che ci altera, ci riconfigura.

Più che destino, parlerei di disponibilità. Disponibilità ad essere attraversati, modificati, resi irriconoscibile a se stessi. In Autorizzare la speranza, sostengo che la poesia è una forma di esposizione senza garanzie. in Se non sarò più mia quella esposizione prende corpo in immagini che disarmano la centralità dell’identità: non c’è più un genere, un confine, un luogo stabile da cui parlare.

La poesia non è vocazione: è vulnerabilità assunta fino in fondo. E forse è proprio da lì che può germogliare qualcosa: non dalla forza del pronome, ma dal suo cedimento fertile.

Per concludere, ti chiediamo di scegliere alcuni versi tuo libro. Di una, raccontaci cosa “è accaduto” prima della stesura.

Se non sarò più mia è un unico lungo poema, di più di 1000 versi, diviso in quattro parti. Ne estraggo allora tre quartine, a campione.

[A]

se non sarò più mia, o di nessuno,
noi solo un’ombra nella notte,
una sagoma oscura tra tante
nel rumore indistinto del traffico

[B]

quando leggo, ferma, estraniata
da te, dal giorno, dal tuo corpo
che si muove da una stanza all’altra
sposta gli oggetti, apre gli armadi
esce, entra, scompare per ore

[C]

ora tornano sui loro passi,
scendono per sempre quelle scale
bloccati in un’altra esistenza
sono ancora dietro quella porta

Scelgo la seconda quartina  [B] perché mostra bene lo spazio intermedio da cui il libro prende voce: non più un io stabile, non ancora un tu accessibile. È un testo che nasce da una scena di distanza quotidiana, non eclatante: la convivenza, il corpo che si muove nell’altra stanza, la presenza dell’altro che diventa quasi fantasma. Uno spazio intimo che diventa un paesaggio estraneo.

Scrivendo, ho capito che quella distanza non era solo affettiva o relazionale. L’altro era lì, eppure irriducibilmente altrove. Un’esperienza di straniamento piccolo ma profondo, in cui il corpo dell’altro — abituale, amato — diventava improvvisamente alieno, opaco, mobile senza accesso. Nel riscriverla, ho capito che quella distanza non era solo relazionale, ma linguistica: c’era una soggettività che non sapeva più dire se stessa né l’altro con un solo pronome.

Italo Testa è nato nella provincia emiliana e vive a Milano. Ha pubblicato i libri di poesia Se non sarò più mia (Pordenonelegge – Samuele editore, 2024), Onda statica (Zacinto Edizioni, 2022), quattro (oédipus, 2021), Teoria delle rotonde (Valigie Rosse, 2020); L’indifferenza naturale (Marcos y Marcos, 2018); Tutto accade ovunque (Aragno, 2016), i camminatori (Valigie Rosse, 2013), La divisione della gioia (Transeuropa, 2010; nuova edizione aumentata, Industria & Letteratura, 2024), canti ostili (Lietocolle, 2007), Biometrie (Manni, 2005), Gli aspri inganni (Lietocolle, 2004). Tra i suoi saggi, Autorizzare la speranza. Giustizia poetica

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