Ha labbra segnate da un rosso infettato. Una lunga linea nera su occhi socchiusi. La pelle a chiazze chiare. Una gonna stretta e leopardata, collane che pendono da un collo raggrinzito. Muove le mani Giulia, e le unghie dallo smalto infuocato oscillano davanti al suo viso devastato.
Parla un italiano quasi corretto, ha denti gialli. La saliva si raggruma agli angoli della bocca. La signora T. acconsente. Che qualcuno la aiuti. Giulia non si lava mai, Giulia ha rischiato di morire in un incendio mentre spruzzava alcool sulle fiamme di un camino in una campagna sperduta, in una casa abbandonata. Il viso è stato investito subito, e poi i seni pallidi di rumena, le braccia abbronzate. I cappelli le cadono a ciuffi nerissimi. Ride sguaiata. Il suo corpo emana l’afrore del sonno. Del caldo asciugato, dei vestiti non lavati.
Dorme sul divano, getta coperte su di se, senza usare lenzuola, guarda la tv per ore ed ore, chiude gli occhi e si gratta le gambe. Giulia esiste per caso. Giulia non prepara il pranzo. Non sa fare la spesa. Il suo respiro è un ronfo di gatto. Bisogna insegnarle tutto. Si è salvata in un ospedale in cui tutti hanno dato l’anima per ricostruire i lineamenti di un volto che non c’era più. Lei piange al ricordo, ma subito dimentica. Ha nell’armadio vestiti improbabili, borse di lucidissimo rosso, ma vive in tuta e lacca le unghie lunghissime, mette paura nelle sere di luna.
Giulia mente ma non lo sa. Non conosce la verità. Si avvolge nelle coperte e vi suda dentro. Poi si guarda allo specchio e unge di rosso il labbro che è stato ricucito, che pende irriverente. Non prepara il pranzo, non sa cosa bisogna comprare al mattino. La signora T. dimagrisce, ha una schiuma nera in bocca. Giulia la guarda e le bacia le guance lasciando un filo di saliva. Poi si attilla sul corpo una maglia argentata e sprofonda sul letto, al buio, anche quando splende il sole sulla veranda. Non guarda la vallata, non il cielo. La signora T. sembra si spenga. I medici non capiscono cosa sta succedendo. Giulia li guarda con occhi stupefatti e giura e giura di amarla e accudirla. Lascia morire la sua signora. Negando tutto.
In un pomeriggio di settembre raccoglie le sue cose, indossa un piumino di lucido nero, raccoglie i capelli scurissimi in una crocchia morbida, mette a tracolla una larga borsa rossa e cammina veloce ticchettando sui tacchi sottili. Il medico sta vicino alla signora T. Lei invece scappa trionfante. Telefona ad un amico e in mezz’ora è sul portone, trascinandosi i borsoni gonfi. Non vuol sapere, non guarda il medico che la segue allibito. Piange solo per un attimo, asciuga le lacrime tinte di nero e scappa. Giulia che non ama.