Cristina Brunialti, “Disabilità-Arte-Psicologia Analitica sono strettamente legati nella mia esperienza personale come un unicum”

Genovese di origine, romana d’adozione dove vive e lavora. Laureata in Psicologia alla “Sapienza” di Roma. Psicoterapeuta, Psicologo Analista AIPA (Associazione Italiana Psicologia Analitica) con funzione didattica e socio della IIAP. Svolge attività privata presso il suo studio in via G. Gozzi a Roma. Si occupa di psicoterapia di gruppo ad orientamento analitico. Ha condotto un gruppo di Psicoanalisi Multifamiliare da svariati anni in zona Roma sud. È stata socio del Laboratorio di Psicoanalisi Multifamiliare. Si occupa di disabilità e ha collaborato con l’Università per gli studi internazionali UNINT in qualità di docente per la formazione degli insegnanti di sostegno. È referente del “Gruppo Processo Creativo” di AIPArt, per la ricerca, la sperimentazione e divulgazione della Psicologia Analitica e Arte. L’attività artistica di Cristina Brunialti si accompagna al suo lavoro di Psicologo Analista ed in particolare si intreccia e si feconda attraverso l’incontro tra il lavoro clinico con la patologia psichica severa e lo scambio culturale ed esperienziale con artisti e storici dell’arte del contesto romano contemporaneo. L’artista ha esposto in varie mostre collettive e personali, ha partecipato a concorsi d’arte online e dal vivo.

Quali sono stati i luoghi cari alla sua formazione, e quando è emersa la sua propensione per il canale espressivo dell’arte visiva?

Mi sono formata a Genova la mia città natale, dove ho vissuto fino ai 18 anni. Abitavo in una grande casa all’ultimo piano di una palazzina dei primi del ‘900. Dalla finestra della mia stanza non si vedeva il mare, ma ricordo il sibilo del vento che mi faceva paura. In cucina tramontava il sole che spesso appariva di un rosso acceso, nitido, brillante, mentre sullo sfondo si mescolavano sfumature rosa, fuxia, viola e diversi toni di giallo. I pavimenti erano di marmo decorato con arabeschi di ogni tipo con un gioco di forme e tinte diverse, mi divertivo a danzare tra questi disegni. In una stanza mio padre dipingeva per ore. Sono sempre stata attratta da quella dimensione sospesa, quasi magica. Disegnavo nella mia camera intrattenendo un dialogo inconsapevole con me stessa. All’inizio disegnavo forme di paesaggi, volti, storie inventate. Utilizzavo fogli, matite e carboncino senza colori, questi ultimi ho iniziato a sperimentarli molto più tardi arrivando a Roma. Penso che questo passaggio disegno-colore sia legato ad alcune vicissitudini personali che appartengono alla formazione del mio essere una Psicologa Analista-artista che si occupa di disabilità. Disabilità-Arte-Psicologia Analitica sono strettamente legati nella mia esperienza personale come un unicum.

Ci sono degli artisti che la hanno particolarmente ispirata? E dei soggetti, spazi, luoghi, dimensioni psichiche?

Certamente mio padre anche se mi sono differenziata dal suo stile pittorico. Ho frequentato lo studio di Giancarlino Benedetti Corcos[1], artista romano molto conosciuto e apprezzato, con il quale abbiamo portato avanti per anni gruppi di psicoterapia con pazienti a funzionamento psicotico. Sono sempre molto incuriosita dai grandi artisti del passato e contemporanei, mi affascinano, ma soprattutto mi conducono in un altrove sconosciuto in una dimensione perturbante. Sono stata molto interessata alle avanguardie[2] del secolo scorso. I miei soggetti generalmente sono moti interiori, parti di sogni, schizzi di colori che si agganciano a stati d’animo difficili da descrivere a parole, sono porzioni di immagini che mi attraversano, a volte si attivano da emozioni forti che ho bisogno di rappresentare come nel caso del lavoro dal titolo: “Primavera a Kiev” (Acrilico, bitume, olio e materiali di recupero – 80x100cm – 2025)

Cristina Brunialti

Lei è anche una psicologa analista. Quanto la sua professione, la formazione junghiana, hanno influenzato la sua opera e quanto invece la sua modalità creativa si è fatta e si fa strumento del suo sguardo di terapeuta?

La mia formazione coma analista junghiana ha attinto moltissimo dalla dimensione immaginifica. Per esempio il lavoro di supervisione con il mio Maestro Antonino Lo Cascio[3] si è basato sull’analisi del controtransfert attraverso le immagini. Prima ancora la mia formazione si è consolidata nel lavoro con pazienti a funzionamento psicotico nel “Progetto Immagine”[4] di Luciana De Franco.

Dalla mia esperienza le due dimensioni Analisi e Arte, alle quali aggiungerei anche la terza ossia la disabilità, si incontrano principalmente a livello sensoriale nel controtransfert. Il sentire analitico, il sentire artistico e il sentire diversamente abile, attingono alla stessa fonte sensoriale, confluendo nel controtransfert. L’uso che l’analista fa del suo sentire si differenzia dall’uso dell’artista. L’analista e l’analizzando si muovono nello spazio tempo dell’analisi e rispettano una cornice di riferimento condivisa. L’artista è solo con le sue immagini a contatto con l’assenza a volte totale di spazio- tempo senza argini se non quelle del suo corpo a tu per tu con l’immagine. L’analista sogna con il paziente in uno spazio-tempo definito, l’artista non ha limiti. Il disabile vive perseguitato dal limite, ma può portare in sé il desiderio creativo per eccellenza perché vive la frustrazione costante di essere mancante, ma anche perché – se posto nelle giuste condizioni – generalmente trova delle strade alternative per raggiungere i suoi fini e per superare le difficoltà della vita. Non è forse questa capacità di percorrere nuove vie una delle caratteristiche comuni della disabilità e dell’arte? Sono grata alla collega Patrizia Michelis, per avermi accompagnata in un personale percorso analitico con la metodica junghiana del “Gioco della sabbia”, perché ho potuto riprendere il mio lavoro artistico che era rimasto bloccato da molto tempo.

Quale importanza ha per lei il sogno in terapia come analista e il sogno in pittura come artista?

Il sogno ha molta importanza, per esempio mi sento di raccontarle un sogno che secondo me ha a che fare con la sua proposta di essere intervistata precisamente su questi temi. Ecco il sogno: “Mi trovavo una rosa tra le mani, aveva le radici ricoperte da tanti fili sottili. Liberavo le radici dai fili”. La particolarità era la forma delle radici che ho associato facilmente alla mia disabilità, erano radici simili alle dita della mia mano. Ho pensato di poter liberare le radici dai fili che impedivano alla rosa di poter respirare liberamente. Mi è sembrata un’operazione bellissima, un atto creativo, ho sentito una sensazione simile a poter affrancare un quadro, un poter mostrare il mio sentire interno così com’è. Come in due miei ultimi lavori: “Una ragnatela di menti vulnerabili” e “Sudorazione eccessiva?” – (acrilico + collage) 2025.

Cristina Brunialti
Cristina Brunialti

 

Nei suoi lavori il colore è molto presente, spesso intenso, caldo, vivido (a parte eccezioni come il dipinto La Guerra, olio su lenzuolo, 2022). Cosa rappresenta per lei l’uso del colore?

Questa è una domanda difficile. Il colore è tutto. Potrei dire che è il pavimento della mia casa genovese, oppure il contrasto forte tra rocce e mare, tra mare e monti della Liguria, come in “Biciclette in Liguria” (collezione privata-Acrilico su tela-2024) 

Cristina Brunialti

Potrei dire che il colore è, accade senza la mia volontà. È il colore che si dispone nella tela io eseguo. Generalmente uso solo i colori fondamentali (rosso, blu e giallo) più bianco e nero. Mi ricavo tutti gli altri colori dai fondamentali. Un mio maestro di acquarello tanti anni fa mi insegnò a partire solo dai tre colori fondamentali, era rigorosissimo sui colori e forse questa relazione con il colore è arrivata a me da quella esperienza. In molti casi l’espressione creativa nasce da un conflitto interno, da una mancanza, da un confronto costante con il senso del limite che l’artista vive con una forte tensione interna e che lo spinge a cercare di superare quel limite anche a costi psichici elevatissimi. L’atto creativo diventa non solo una sublimazione per dirla con Freud, ma come ci insegna Jung rappresenta una sintesi simbolica che trascende l’individuo. L’opera come simbolo, sintesi di opposti, agisce con carattere trasformativo su chi crea e su chi usufruisce della creazione, attraverso un dialogo tra interno-esterno, tra inconscio-coscienza, tra inconscio collettivo-coscienza collettiva. Philippe Daverio, uno dei maggiori storici dell’arte italiani (di origini francesi) da pochi anni scomparso, affermava che gli italiani sono creativi perché vivono in un territorio meraviglioso, ma molto fragile. Faceva riferimento ai terremoti, ai vulcani, alle alluvioni e come queste condizioni avverse del nostro territorio abbiano favorito la spinta creativa dei suoi abitanti.

Il tema della disabilità è uno di quelli di cui si è occupata nel suo lavoro di ricerca e nei corsi di formazione per insegnanti di sostegno. Quanto è importante la dimensione artistica come finalità terapeutica nelle disabilità e nelle sofferenze psichiche gravi e meno gravi?

Differenzierei il rapporto tra dimensione artistica-disabilità nella formazione degli insegnanti di sostegno rispetto alla clinica con pazienti portatori di disabilità. Nel caso della formazione degli insegnanti di sostegno si tratta di trasmettere soprattutto la possibilità di disporsi ad entrare in relazione con gli alunni disabili seguendo la loro strada, i loro mezzi, senza sostituirsi e senza anticipare soluzioni. Detto così sembra facile, ma è un compito difficilissimo, che richiede un grande lavoro introspettivo che l’insegnante di sostegno deve affrontare.

Nella clinica si parte da quanto detto per gli insegnanti di sostegno, con la differenza che il paziente disabile (ove possibile) deve essere legittimato ad individuarsi[5] confrontandosi con un’Ombra[6] collettiva gigantesca.

Da formatrice, si è occupata anche di un concetto molto importante in ambito junghiano, il tema dell’Ombra. Quanto è importante il ruolo dell’Ombra nell’analisi? E, come collocherebbe l’importanza dell’Ombra per un artista? Le chiederei, estendendo la domanda, se può dirci qualcosa sul ruolo dell’inconscio e dell’Ombra nei processi creativi.

Cristina Brunialti

Bacio con l’Ombra – acrilico su tela – 2024

Penso che sia fondamentale per un individuo creativo fare i conti con la sua Ombra, con la distruttività che sta dentro ad ogni atto creativo. Spesso osservandomi nel lavoro creativo mi sono accorta di un fatto preciso. Se oltrepasso un certo limite di tempo immersa nel fare creativo, il mio gesto creativo si trasforma in distruttivo. Devo sentire quando mi devo fermare altrimenti distruggo o altero il mio lavoro. Durante la realizzazione di un’opera si arriva ad un momento nel quale si percepisce un equilibrio tra tutte le parti, ecco in quel momento bisogna fermarsi.

Potrebbe dirci qualcosa in merito all’importanza dell’analisi personale e di un lavoro di ascolto di sé stessi e degli altri, in intervisione e supervisione per chi lavora nelle professioni d’aiuto. Quali sono, a suo avviso, i punti più vulnerabili e sensibili, per i quali occorrerebbe fare un lavoro maggiormente accurato, approfondito?

Se fa riferimento al mio libro sulla “Motivazione dell’insegnante di sostegno”, devo dire che ho riflettuto molto sull’analisi dei vissuti personali che spingono un insegnante a formarsi e a svolgere questa particolare attività professionale. Secondo la mia ipotesi l’insegnante di sostegno si farebbe carico inconsciamente di alcuni aspetti profondi ponendosi come portavoce dell’alunno disabile, consapevolmente o meno, offrendosi come una sorta di collegamento tra l’alunno disabile e il resto del mondo scolastico (altri alunni, insegnanti…). Il lavoro introspettivo consentirebbe all’insegnante di sostegno di poter svolgere la sua professione mantenendo anche un’attenzione al suo mondo interno e quindi alla sua salute psicofisica, prevenendo forme di stress lavoro correlato, che sappiamo essere molto comuni in tutte le professioni di aiuto. Se l’insegnante di sostegno avesse accesso ad un processo di presa di consapevolezza, condurrebbe presumibilmente sé stesso e la collettività verso un gradino di sviluppo psico-sociale e culturale rispetto alla disabilità e al concetto di diversità in generale. Ad oggi penso che uno tra gli aspetti più importanti e delicati da affrontare sia la possibilità individuale e collettiva di entrare in relazione con l’immagine della disabilità. Una domanda che mi sono posta è quanto questa immagine agisca autonomamente dentro di noi, facendoci assumere atteggiamenti che derivano da sovrastrutture che si sono formate nel corso della storia dell’umanità. Siamo sicuri che oggi non abbiamo più paura del diverso ? Non sono le contaminazioni che hanno permesso la trasformazione delle correnti artistiche e allo stesso tempo che definiscono l’identità di un singolo artista ? Per dirla con le parole di Daverio il risotto allo zafferano, tipicamente piatto che appartiene all’identità della cucina milanese, in realtà il suo ingrediente principale – lo zafferano – è stato importato dal mondo arabo. Questo piccolo fiore violaceo importato dal mondo arabo entrando in contatto con la cultura della terra lombarda ha prodotto il tipico risotto alla Milanese. Si potrebbero dire tante altre cose ma mi fermo qui.

Mi ha molto colpito uno dei suoi recenti lavori, un collage dal titolo Volti di donna, mi piacerebbe chiederle che importanza ritiene abbia a suo parere il ruolo del femminile in quest’epoca, sia a livello creativo che sul piano sociale.

Cristina Brunialti

A questo proposito mi viene in mente un libro dal titolo: “Sul sangue mestruale” a cura di M.C. Barducci, S. Massa Ope, G. Spagnolo- edizioni Alpes 2024. A mio avviso è un testo che tende ad esplorare e valorizzare lo sviluppo del femminile anche nei suoi aspetti creativi. Ho avuto il piacere di partecipare ad una tavola rotonda per la presentazione del libro, mi sono soffermata sulla relazione tra padre e figlia. Riporto un passaggio del mio intervento: “Mi sembra che si possa ritenere che in un certo senso il padre possa percepire la vera differenza tra un figlio maschio e una figlia femmina nel momento nel quale la figlia ha la prima mestruazione. (…) Questo cambiamento che avviene nel corpo della ragazza è un qualcosa che lui, il padre, sente di aver creato. (…) Attraverso lo sguardo paterno la figlia alla prima mestruazione a volte si sentirebbe catapultata da una dimensione di idealizzazione ad una di svalutazione.  Se il padre da un lato sente di amare la figlia questo amore a volte si trasformerebbe – dopo le prime mestruazioni – in un sentimento di possesso verso la figlia, vissuta come oggetto di gratificazione narcisistica. Inizia qui una fase di grande ambivalenza verso la figlia. Da un lato la vuole tenere a sé per paura di perderla, mentre dall’altro sente il bisogno urgente di allontanarsene in seguito a fantasie incestuose. Durante l’infanzia della figlia queste fantasie probabilmente erano rimaste sullo sfondo, adesso si attivano perché il corpo si fa donna. Così il padre prende le distanze dalla figlia a volte anche con atteggiamenti di disprezzo, di svalutazione, di rifiuto. La ragazza si disorienterebbe fino a sentirsi persa, senza riferimenti. Forse vivrebbe un senso di abbandono. Se si identificherà con il rifiuto paterno forse entrerà in una dimensione masochistica, depressiva, autolesionistica. Se si identificherà con la fase idealizzante si sentirà sempre la bambina speciale e unica. Da adulta forse non sentirà di essere amata e sarà alla ricerca continua di un uomo che possa confermare questa sua grandiosità. Il mio pensiero viaggia veloce e penso alla violenza sulle donne come forma di possesso da un maschile che a volte è anche padre. Penso alla strutturazione di alcune relazioni tra uomo e donna e mi chiedo se a volte non possano anche dipendere da questo nucleo-grumo relazionale-mestruale che può avere la sua origine tra padre e figlia al momento delle prime mestruazioni. La figlia, futura donna, come fa ad uscire da questo invischiamento? Rischierebbe di rimanere impigliata nelle trame di una relazione idealizzante/svalutante per tutta la vita senza potersi definire. Anche se incontrerà un maschile in grado di riconoscerla e amarla, difficilmente potrà accettare di vivere quella relazione, perché non si sarà definita, sarà ancora del padre. Sentirà il suo corpo come estraneo, come un oggetto da desiderare o da rifiutare. Cercherà di appropriarsene con sintomi diversi come ad esempio i disturbi del comportamento alimentare. Una riparazione potrà nascere dal poter vivere il vuoto e l’angoscia senza esserne sopraffatta. Potrà farlo solo se si riconoscerà come la figlia amata e non amata, idealizzata e svalutata dal padre, presa e abbandonata, voluta e non voluta. Quando non dovrà più compiacere al suo padre interno potrà scegliere di camminare da sola. Solo allora potrà sentire di essere stata la figlia di suo padre, ma anche di essere libera, potrà così recuperare il paterno dentro sé stessa. La creatività del femminile allora si gioca a partire da questa forte tensione tra opposti: la figlia idealizzata o svalutata, principessa o servetta, santa o puttana, bella o brutta, giovane e vecchia. L’immagine del sangue mestruale, che spesso nel libro è stato definito come sacro e profano, diventa il perno concreto e simbolico dal quale la donna può guardare sé stessa per definirsi. Una ferita che sanguina come un fiume che scorre, come la vita che fluisce ciclicamente. La donna parte da questa immagine di sé stessa per differenziarsi dalle proiezioni paterne.”.

Quali sono i suoi progetti in cantiere come artista e quali i temi privilegiati al momento nella sua ricerca clinica? (Sta scrivendo o prevedere di scrivere qualche nuovo saggio o articolo in merito a uno dei suoi temi di lavoro?)

Al momento lavoro con i miei pazienti a studio e dipingo molto (sempre meno di quanto vorrei). Quando dipingo molto scrivo pochissimo, perché sono in una dimensione sensoriale a contatto diretto con l’inconscio. Quando dipingo non sono interessata a farmi comprendere dagli altri, non mi pongo questo problema. Se scrivo necessariamente devo sforzarmi di essere comprensibile. Generalmente queste due forme si avvicendano, ma è sempre il lavoro artistico che anticipa quello di scrittura così detto scientifico. Per esempio questo lavoro di intervista mi richiede un grande sforzo di risalita ad un livello di pensiero. Il lavoro artistico in questo momento della mia vita è un flusso continuo di immagini in trasformazione, ci sono stati anni di blocco creativo e forse ce ne saranno altri.

Spazio per riflessioni personali su qualche tema che le sta particolarmente a cuore e non è emerso attraverso le domande.

Da circa due anni in AIPA sono referente di un Gruppo che si occupa dello studio e della sperimentazione sul Processo Creativo. Si tratta di un piccolo gruppo di colleghe, alcune molto giovani e altre più anziane di età e di esperienza, realizziamo insieme opere artistiche contaminandoci profondamente. Abbiamo creato tre opere esposte per un periodo in AIPA, attualmente è allo studio l’opera n. 4. Stiamo mettendo a punto un elaborato con le prime riflessioni teorico-cliniche sui possibili collegamenti tra processo creativo nell’espressione artistica e nella relazione analitica. Spesso ci siamo trovate a confrontarci con una forza, interna al gruppo e in ciascuna di noi, che ricollegherei al tema della creatività in relazione alla distruttività e anche al concetto junghiano di Ombra. Sappiamo che solo attraverso il confronto con l’Ombra (il negativo, l’oscuro, l’inferiore, ecc…) troviamo la fonte creativa autentica che ci permette di riconoscerci nella nostra interezza e complessità. Tutto sta nel poter reggere questo confronto. Desidero nominare le mie compagne di viaggio per tenerle con me anche in questa intervista inaspettata e stimolante. Grazie a Dolores Carli, Fabiana Liso Simona Massa Ope e Paola Parisio.

Concludo con un mio ultimo lavoro dal titolo Nascere 2025, in esposizione allo Spazio “La Vaccheria” di Roma.

Cristina Brunialti

[1] https://www.etirviaggi.it/wordpress/biografia-2/

[2] Le “avanguardie” (dal francese “avant-garde”) sono movimenti artistici, letterari e culturali che si caratterizzano per l’innovazione, la sperimentazione e la rottura con le tradizioni del passato. Sono movimenti che si propongono di anticipare i tempi, di cambiare il modo in cui si guarda all’arte e alla cultura, e di esprimere la realtà in modi nuovi e inaspettati. 

[3] Antonino Lo Cascio, allievo di Bernhardt, è stato uno dei primi analisti junghiani in Italia e uno dei pionieri che hanno contribuito allo sviluppo e alla diffusione della Psicologia Analitica nel nostro Paese. https://www.ibs.it/quali-regole-per-relazione-analitica-libro-cristina- brunialti/e/9788865429464?inventoryId=632375676&queryId=8f9f890be5e0de6a484974e11e9f7c38

[4] Le immagini artistiche come attivatori permanenti nel trattamento terapeutico dei pazienti gravi. Il progetto immagine nasce nel 1995 su iniziativa di Luciana De Franco (psicologo analista e membro didatta aipa) Esperienza terapeutica di gruppo del tutto innovativa, centrata sulla relazione con l’immagine artistica, il progetto opera con una metodologia che ha i caratteri della brevità e della intensità.

[5] In riferimento al processo di individuazione Jung (1934) definisce: “La vita è un fluire di energia. Ma ogni processo energetico è irreversibile per principio e quindi diretto in modo univoco verso una meta (…) la vita è quanto vi è di più teleologico; essa è di per sé tendenza a un fine; e il corpo vivente è un sistema di finalismi che tendono alla propria realizzazione.” (pag. 436).  In Jung C.G. (1934), Il divenire della personalità, in Opere Vol. 17, Bollati Boringhieri, Torino

[6] Trevi (2016) trattando di Ombra e male, scrive: “(…) nel suo aspetto personale l’Ombra può essere considerata la somma del negativo nell’individuo, nel suo aspetto sovrapersonale l’Ombra è il negativo tout court, è il male. Nell’opera di Jung si nota appunto questo progressivo passaggio da una concezione personale dell’Ombra a una concezione sovratemporale, universale della stessa. Non è possibile esaurire sia pur sommariamente questo aspetto del problema dell’Ombra: come in sede etica e metafisica il problema del male è in realtà il problema di fondo se non il problema unico, così nella psicologia del profondo esso costituisce un polo inevitabile di orientamento di ogni ricerca.”

 (http://circolarmente2.blogspot.com/2016/02/studi-sullombra-mario-trevi-augusto.html).

 

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