Giuseppe Frazzetto
Mercuriale
Romanzi (Le Farfalle, Valverde, 2025)
Giuseppe Frazzetto è un critico e uno storico dell’arte, uno studioso di estetica con sofisticate competenze pluridisciplinari, attento alle tematiche filosofiche, antropologiche e sociologiche che attraversano il tempo presente. Ha insegnato per vari decenni a Catania, presso l’Accademia di Belle Arti e l’Università degli studi. Ha scritto saggi (il più recente è Nuvole sul grattacielo. Saggio sull’apocalisse estetica, Quodlibet 2022) che investigano le forme dell’esperienza artistica e i mutamenti che l’atto creativo subisce ai nostri giorni, contraddistinti dalla pervasiva e sempre più efficiente tecnologia informatica, tra social media e intelligenza artificiale, la quale, con riguardo alla produzione di immagini, rende (ingannevolmente) tutti capaci di gesto artistico, sì da formarsi come un pulviscolo di esperienze estetiche, destituite di autorevolezza ma che mettono in crisi lo stesso principio di autorialità, tanto da rendere incombente la liquidazione di quelle pratiche dell’arte quali le generazioni del ‘900 avevano concepito. Adesso Frazzetto consegna alle stampe questo romanzo, Mercuriale. Dal saggio al romanzo il salto non è né agevole né breve: la scrittura d’invenzione è radicalmente diversa da quella, per così dire, di servizio impiegata nella compilazione dei lavori scientifici. L’esperienza letteraria, a ogni modo, non è mai stata del tutto estranea all’autore, anzi, si direbbe che è stata sempre presente nelle sue pagine, alla stregua di una tentazione a stento trattenuta, come l’ombra di un’eleganza stilistica: difatti i suoi scritti (tanto i saggi brevi quanto quelli estesi, o le presentazioni in catalogo o le curatele) si caratterizzano, tutti, seppure con gradi diversi, per una meticolosa attenzione ai costrutti concettuali, analitici fin quasi all’impersonalità nel metodo, ma formalmente curatissimi nel dettato, e non di rado composti alla maniera di una narrazione a sviluppo non lineare ma avanzante per gruppi di frasi minime e traslucide, ricolmi di pensiero, come politi aforismi, o come asserzioni al tempo stesso ermetiche e indiscutibili, come raffinati assiomi veritativi. Si rileva in Frazzetto una tendenza alla sperimentazione, dunque, che se è finora rimasta in penombra nella sua attività scrittoria, con questo Mercuriale viene pienamente allo scoperto.
La narrativa, è ovvio, rappresenta il campo elettivo di ogni scrittore il quale, insofferente delle usate formule o dei codificati generi, intenda cimentarsi nell’esplorazione di maniere, se non inedite perlomeno innovative, di comporre narrazioni, trascurandone o avversandone gli elementi tradizionali (trama, intreccio, punto di vista, stile di scrittura). In estrema sintesi, lo scrittore “sperimentale” mira a elaborare specifici mutamenti, o sul versante della lingua, o su quello della struttura narrativa, o su entrambi: accordando maggiore preferenza all’uno oppure all’altro. Ma su questo genere di pratica letteraria grava il rischio di un essiccato cerebralismo: di una presenza assidua, sulla pagina, dell’intelligenza scrivente, a tutto danno di quegli aspetti che, con rischiosa approssimazione, potremmo definire intrisi degli umori della vita.
In questo Mercuriale, tutto è posto sotto il segno dell’enigma. Alcuni dati del paratesto lo indicano visibilmente. Per primo, desta curiosità l’impaginazione di copertina: titolo e illustrazione sono riportati verticalmente. Al titolo, inoltre, si associa un sottotitolo: romanzi. L’immagine, dal canto suo, è ambigua se non indecifrabile. E il sottotitolo propone una sorta di rompicapo. Perché un plurale, romanzi, e non un più comodo e usuale singolare? Evidente l’intenzione dell’autore di muoversi controcorrente. E dico subito, senza rigiri, che la lettura di questo libro mette alla prova le abitudini e l’intelligenza del lettore sprovveduto – ancor meglio: dà una benefica scossa alla sua pigrizia intellettuale. Intanto: mercuriale. Il termine pone un problema interpretativo: è polisemico; quale tra le diverse accezioni prediligere? Uguale incertezza richiama il sottotitolo, romanzi. E pluribus unum? Cioè: molteplici romanzi (personaggi, destini, fatti, vicende, storie) in una sola narrazione? Mise en abîme? La curiositas è il motore primo di ogni profittevole lettura; se un manufatto letterario non suscita interesse, l’agone con il lettore è perduto ancor prima che cominci.
Questo di Frazzetto è un ordigno narrativo eccentrico però sofisticato. Vi si apprezza una scrittura affabile, che spesso simula un linguaggio ordinario, sempre tuttavia meticolosamente curato nel lessico e nella sintassi (anche le forme espressive più banali impongono all’autore di rappresentarle nella loro sincera fattualità); le frasi attraversano la pagina con grazia sottile e tagliente. Il flusso delle storie è ordinato in sequenze narrative che non obbediscono a una temporalità lineare ma si scompongono in più piani dove le vicende dei personaggi assumono una valenza prismatica. “E i fatti?” “Non esistono” (p. 86). A dibattere sono due tra i personaggi più importanti di Mercuriale, Marco e il Professore, impegnati in un serrato confronto sulla possibilità di ricostruire, ex post, la verità storica di eventi accaduti nel passato, persino nella cronaca recente; si tratta della citazione smezzata di un aforisma nietzschiano (“Non esistono fatti, solo interpretazioni”). E a me sembra che se ne possa ricavare una sigla apponibile in esergo a questo Mercuriale. Se non esistono fatti, cosa rimane disponibile al discorso narrativo, nella sua originaria pulsione di immaginare/creare eventi intorno al destino dei personaggi? Risponde Frazzetto: un “accumulo incongruo di dettagli disorganizzati” (p. 132), insomma: fattoidi e circostanze minime, o addirittura infime. Possono le esistenze di confusi balordi o di soggetti dall’identità malcerta costituire la base di un conte philosophique? Certamente, specie se la materia è affidata alla penna agile e saggia di un intellettuale scaltrito nel mondo della post-contemporaneità qual è Frazzetto.
Ad apertura di romanzo, ci imbattiamo nel capitolo zero, dal titolo che richiama il Faust di Goethe: Prologo in cielo. Se non che, dopo la virgola, si apre una frattura ironica: anzi al sesto piano. Siamo avvertiti pertanto; qui ci si muove tra altissima Kultur e bassa esistenza, tra le sfere ormai inattingibili del Mito e le aspirazioni inconcludenti di gente meccaniche, e di piccol affare. Una rapida scorsa ai titoli di capitoli e paragrafi ne darà l’esatta misura; citiamo, alla rinfusa: Eschaton, Eterogenesi dei finali, Il Fato al posto delle Fate, Due eroi dei nostri tempi, Loplop. E le scale di Léger, Bestiario. Maleducazione sentimentale. Balza evidente come la volontà qui espressa sia quella di far parodia – di ripercorrere, ironicamente, alcuni topoi del panorama culturale novecentesco.
La vicenda, anzi le vicende narrate si svolgono nel 1994. C’è questo Marco o Marcello o Emme, tabaccaio, che scrive (fantastica di scrivere? Filosofeggia? Inventa sul momento?) una o più storie (è quindi, in questo caso, il narratore interno) e le riassume al cospetto del Professore Novati (intellettuale svanito, perplesso, di intermittente memoria ma vigile e acuto, al bisogno), in una serie di stravaganti incontri che sono come la parodia delle sedute psicoanalitiche. Marco compare ora come narratore ora come oggetto della narrazione. Rappresenta, forse, l’eterna maschera dell’homo fictus? Il Professore, dal suo canto, potrebbe raffigurare la coscienza critica dello scrittore/autore: istanza che ascolta e giudica, ricorda ma si confonde, doppio dello stesso scrittore (in questo caso, l’autore reale: Frazzetto), in un processo di travaso da un piano narrativo all’altro. Poi c’è Iuri (uno e bino), mandatario di una misteriosa congiura; ma è congiura vera o è l’effetto di un delirio? Torna a taglio, a questo punto, citare Philip Dick (Un oscuro scrutare, ma soprattutto La trilogia di Valis) con la sua filosofia in cui le apparenze sono inganni e la verità è meno saggia della follia.
Non c’è solo letteratura nella stiva di questo Mercuriale; vi si incrociano elementi di varia natura, dalla musica alla cinematografia, dall’arte alla filosofia, dalla commedia alla drammaturgia: una sorta di panopticon con vista sull’appena tramontato Novecento. Proprio a questo si alludeva poc’anzi quando si avvertiva che questo libro richiede un lettore ben fornito di mezzi culturali. Di ciò, cioè del rischio che ci si possa smarrire nell’intrico di simboli ed emblemi allestito dall’autore, è ben consapevole egli stesso, tanto da situare in finale una sorta di giustificazione apocrifa, una lettera (o un messaggio) a firma del Professor Novati e indirizzata a un fantomatico Dottore, in cui si compendiano le figure del critico/lettore e dello stesso autore in veste di critico di se stesso. Tale messaggio scioglie i dubbi e le riserve che il lettore (persino quello navigato) può avere nutrito, specialmente circa l’assenza di un ordine narrativo, a causa della quale il piacere del testo rischia di limitarsi alla delibazione di squisiti frammenti narrativi. Per il temperamento intellettuale di Frazzetto, raccontare con ordine e sistema non è possibile, perché l’idea stessa di ordine è un costrutto, un’idea pattizia che si stabilisce tra il produttore di storie e il loro consumatore. Talché, in Mercuriale, è come se un nucleo narrativo unitario e denso deflagrasse e dall’esplosione si producesse una nuvola di frammenti che ora fluttuano sospinti da una superstite volontà di dire comunque ciò che fu, ciò che sarebbe stato, ciò che sarebbe. La narrazione, quindi, non può ubbidire a una disciplina conformistica, ma può consistere nel montaggio veloce di una successione di quadretti ognuno dei quali ha una sua evidenza figurale. L’esito è un pulviscolo di situazioni e personaggi mosso però da un soffio che spira dalle profondità del Mito e che, in fine, illustra la radicale problematicità del nostro essere nel mondo.
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Giuseppe Frazzetto ha insegnato Stile, storia dell’arte e del costume presso l’Accademia di Belle Arti di Catania e Storia dell’arte contemporanea presso l’Università degli studi di Catania. Dedica la sua attività di storico e teorico alla delineazione dell’ambito complessivo (culturale, sociale, estetico, antropologico) in cui si determina la crisi dell’arte e la sua eventuale “guarigione”.
Propone un metodo orientato alla ricerca dei frammenti di senso dispersi nelle pratiche artistiche nonché negli usi delle tecnologie digitali e nelle immagini che accompagnano la vita quotidiana. Critico d’arte e organizzatore di mostre, è collaboratore di quotidiani e riviste d’arte. Ha pubblicato fra l’altro i volumi: Solitari come nuvole. Arte e artisti in Sicilia nel ‘900, Maimone ed., 1988; Museo. Aporia dell’immagine, De Martinis & c., 1994; La questione siciliana. Temi della cultura artistica del ‘900, Maimone ed., 1997; Gibellina. La mano e la stella, Fondazione Orestiadi, 2007; Molte vite in multiversi. Nuovi media e arte quotidiana, Mimesis, 2010; Epico Caotico. Videogiochi e altre mitologie tecnologiche, Logo Fausto Lupetti, 2015; Artista sovrano. L’arte contemporanea come festa e mobilitazione, Logo Fausto Lupetti, 2017; Nuvole sul grattacielo. Saggio sull’apocalisse estetica, Quodlibet, 2022.