Tratesto
«Il tempo guarisce col tempo / e non conta andare o chiedere / perché ci siamo ritrovati soli? / Restare è un verbo che si impara tardi». Così si conclude il testo di apertura di Non ero preparata (La Vita Felice, 2018, p. 11) di Melania Panico, senza ammiccamenti al lettore, senza false promesse di pacificazione, ogni parola come un’incisione, fredda, precisa, inconfutabile, dura. E su questo tono continua tutto il libro, la cui compattezza tematica e stilistica si avvita attorno al dolore dell’io poetico per un tempo perduto. Niente di più lontano da Proust, però, niente madeleines né riscatti affidati alla scrittura; la Panico, benché appena trentenne, è già autrice scafata che dimostra di sapere bene cosa fa la lingua della poesia esattamente: «Avevamo la nostra lingua / eravamo lì a raccontarci le paure / la nostra lingua era il codice dei rimorsi» (p. 43).
La poesia di Non ero preparata nasce infatti come racconto di un rimorso, o meglio di un ritorno impossibile: «[…] ripetere che tutto torna tutto torna / e mai come prima» (p. 16); «ti aspetto e tornerai / tornerai radice / o erba scomposta» (p. 18); «non ho saputo darti una risposta / se non che il ritorno non è mai ritorno / senza peso da portare» (p. 19). Peso, questo, che è quello proprio della scrittura. Ma la Panico, dal punto di vista della tenuta poetica, ha spalle abbastanza larghe per portarlo su di sé e offrirlo all’interlocutore-lettore come attestazione di senso di una vicenda umana ricostruita per mezzo di contorni vividi, per oggetti e dettagli marginali che la parola poetica sa mettere in luce.
Se la voce poetante si presenta come una che «abita la stazione dei ritorni» (p. 20) è perché, ora, essa ha maturato la consapevolezza che «restare è un verbo che si impara tardi». All’origine, cioè prima che fosse ‘tardi, ci deve essere stato quindi un evento traumatico che ha comportato una demarcazione netta nella percezione soggettiva del tempo. Da qui la confessione del titolo, che mette a nudo una inadeguatezza del soggetto di fronte a tale evento. Se seguiamo questa via ermeneutica, Non ero preparata si configura allora come una sorta di Bildung rovesciata, di racconto in versi di una formazione mancata. Alla fede razionalistica relativa a un’idea di tempo come progresso lineare, la Panico oppone «la ragione degli arresi» (p. 61), ovvero la parola e il pensiero di coloro che ritornano, continuamente e ossessivamente, su un certo momento – una «data» specifica, direbbe Celan – che rappresenta uno snodo significativo dell’esistenza. Così il lessico del rimpianto e del rimorso che attraversa tutto il libro viene declinato nell’ottica di una pedagogia della ferita e del dolore su cui converge tanto il momento dell’insegnamento che quello dell’apprendimento: «ho insegnato al dolore una nuova via» (p. 33); «senza una stretta senza dolore / piano è il modo che abbiamo imparato» (35); «La linea gialla separa il passo dal treno / è il limite della giornata / mi sta insegnando il conto, la strada» (p. 39).
Ma, benché il soggetto di Non ero preparata abbia imparato «tardi» la lezione della vita, a esso si chiede comunque di costruire à rebours un senso, di riconoscersi in una aderenza/appartenenza alla realtà circostante: «appartengo alle cose come alla città / che si muove nei vetri / di nuovo le cose si aggrappano al braccio / chiedono conferma del loro esistere» (p. 39). In questo libro Melania Panico risponde dunque a questa urgenza fisica, alla chiamata di una realtà che le si aggrappa al braccio, perché la poesia non è in grado di concepire l’insensatezza, la fuga del senso e il fallimento della parola.
Calcola il ritorno
calcola gli sfoghi a perdere
la storia del nostro fallimento raccontata in un libro
calcola la clinica
il sangue prestato alla scienza la sala d’attesa
devi essere paziente
devi essere paziente
l’antidolorifico splendente
luci anche di notte artificio della calma
affrontare il giorno a occhi aperti la solitudine
gli spiragli nella solitudine il misticismo
calcola il respiro camminare a testa alta salire su un treno
non fuggire
calcola non fuggire confondersi con le cose
mai appassire