Faccio un giro in macchina prima di rientrare a casa. Di notte il paese assume il volto di un re guerriero arrendevole che puoi avvicinare e contraddire, senza ostilità manifesta, come un dio a riposo lascia tregua ai suoi sudditi. Ho compiuto trent’anni lo scorso agosto e non conto più le volte in cui ho cambiato certezze. Rivisto volta per volta il confine delle possibilità. E senza il deus ex machina dell’amore e della fantasia direi sarebbe stato davvero microscopico. La società a cui appartengo come cittadino e consumatore (che è quel che conta) è sempre più clientelare, nel nome del padre, del figlio e del figlio del figlio. Una nazione a conduzione familiare. È questo il vero noir vissuto sulla pelle del popolo (perché c’è ancora un popolo pur seppellito sotto le riviste, le griffe e la tv) e non scritto dai tanti aitanti autorevolissimi autoreferenziali autori. Perché mentre scrivo 22 marinai sequestrati in mare somalo l’8 febbraio 2011, a bordo della petroliera Savina Caylyn, non hanno ancora rivisto i loro cari, tra il disinteresse generale e governativo (figuriamoci se poteva disturbare le nostre vacanze la vita a rischio di qualche innocente). Sfilano le vie e le insegne, e cerco, come un assetato nel deserto, una tabella vergine, non ancora deflorata dall’idolo Economia, ovunque profitto (e approfittare), mille declinazioni del verbo avere, anche in locali vuoti e decaduti, già segnati nuovamente dal marchio affittasi o in vendita, alla fine l’unico posto illeso, forse perché poco ambìto, è il cimitero (facciamo finta che non ho riflettuto sulle cappelle personali e sontuose fatte costruire all’interno). Mi fermo a fissare le scritte sui muri, traduzioni puerili di stati d’animo egocentrici e alienati, imperativi assoluti che durano una settimana, due, amori che non stanno né in cielo né in terra, son tre metri sopra il cielo infatti. E Novalis, Goethe? Cerco occhi di una curiosità gratuita, spontanea, non quelli degli adolescenti e di buona parte dei bambini, trincerati da un videogioco portatile, che dispensa i genitori dai loro doveri (e piaceri) pedagogici, né quelli di adulti che hanno sempre un cellulare a cui rispondere, una schedina da controllare, una chat da aprire e un mondo da ignorare. Cerco la vita pulsante (non nel senso di tasto del pc o del telefono), il molteplice, lo spirito dei luoghi e degli esseri umani, desidero amare ed essere amato, come tutti, emanciparmi da idolatrine e ideolozie. E ho scritto questo j’accuse consapevole dei tanti, consistenti mea culpa a cui prestare occhi, orecchie e cuore, sempre. Ammesso che, nella body building époque, riflettere non significhi soltanto fare un’altra flessione.
(l’EstroVerso Settembre – Ottobre 2011)
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