«Dicono che esiste un Dio dei bambini // Sono sicura che esiste. // Il Dio dei bambini / che non cancella le loro parole / che non dice che sono / bugie». Versi da “Le voci dei bambini. Poesie 2007 – 2017” di Margherita Rimi, poetessa e neuropsichiatra infantile, riuniti in cinque colori (bianco, nero, blu, rosso e verde), a scandirne le emozioni. Versi nati, come dichiara l’autrice, da un profondo sentimento di sconforto in cui ha sentito forte ingiustizia e senso di impotenza verso i più piccoli, evocando, tutto per loro, un “Dio speciale”. Versi robusti che nascono dal sodalizio tra fiducia e intendimento. Versi intonati al vero che “dicono” il dolore contenendolo nell’abbraccio vitale dell’ascolto. Versi, editi da “Mursia”, che, come scrive nella nota introduttiva Guido Oldoni, preservano un linguaggio che la Rimi (nella foto di Dino Ignani) «fa germogliare in un infantile e adulto quanto potente canzoniere, effetto collaterale umanissimo della presente catasta umana».
Qual è stata la scintilla? Come nasce questo tuo nuovo libro – Le voci dei bambini (Mursia, 2019) – di originalissimi versi?
Il libro è nato dalla necessità di dare voce a bambine e bambini senza l’intermediazione degli adulti: ho dato a loro la parola, per esprimere direttamente i loro sentimenti, il loro mondo e i loro pensieri. Ho voluto che l’infanzia avesse una sua voce, una voce corale. Ho voluto mettere in scena fisicamente, come in un teatro, i piccoli che parlano, raccontano, dicono. Stanno lì a narrare, come su un palcoscenico, le loro esperienza di abuso e violenze, di sfruttamento nel lavoro, nelle guerre, nel sesso, ma anche a rappresentare la giocosità e l’ inventiva.
Dalle loro parole esce fuori e si compone un’ immagine di adulti cinici, maltrattanti, violenti nella manipolazione e nella sopraffazione anche sessuale. Adulti incapaci di comprendere la vera natura e la delicatezza dell’infanzia. Incapaci di averne cura.
Nella mia idea originaria questi testi, che sono stati scritti in un arco di tempo che va dal 2007 al 2017, dovevano costituire una sezione di un libro più grande. Poi da uno scambio di opinioni avuto con il poeta Guido Oldani, responsabile della collana di poesia Argani della Mursia, è nata l’idea di fare un libro solo con queste poesie. Qui il dato tecnico. Anche per questo penso che un libro non nasca mai da solo.
“Non posso guardare più / voglio diventare cieco”. Con i tuoi versi per chiederti: cosa può la poesia contro il dolore? Cosa può contro la diffusa “cecità” degli adulti? Contro l’indifferenza?
Questo nel libro lo dice un bambino, l’ho immaginato come un sopravvissuto mentre sta guardando gli orrori dalla guerra: i corpi dei genitori e dei fratelli uccisi, le case e la sua scuola distrutte dalle bombe, le macerie della natura. Un bambino con vissuti drammatici di dolore e di morte, di devastazione e annientamento del proprio sé, della sua identità. Per questo desidera non avere più gli occhi, per non guardare più, come a mettere in atto una forma estrema di difesa. Come ad indicare una soglia oltre la quale è impossibile guardare: pensare, soffrire.
Rappresentare questi orrori guardando con gli occhi di una bambina/un ambino non è facile. Non è facile porsi nel loro corpo ferito, nella loro psiche e affettività traumatizzate, devastati dall’ azione mortifera degli adulti; di quanto è capace l’essere umano disumanizzato. Una vera e propria personificazione del male.
Le guerre, la violenza, l’abuso sessuale sono espressione della morte, mentre i bambini aspirano alla vita, al bene. Hanno tante potenzialità ed entusiasmo di crescere, di giocare, di conoscere e imparare nel mondo, per loro tutto è “nuovo” e di tutto fanno esperienza.
Nel libro le voci degli adulti, quando sono presenti, sono voci crudeli, seduttive, minacciose che interferiscono, creano una scissura: è come se parlassero con un’altra lingua, proveniente da un mondo che ha dimenticato i piccoli: una lingua infernale, la lingua del male.
Adulti “abitatori abusivi”, abusivi nei corpi di bambine e bambini, come dice Oldani.
La poesia cosa può fare? Aprire gli occhi dell’adulto proprio dove il bambino li ha chiusi perché non ne può sopportare tutto il dolore.
E, ancora, oggigiorno, qual è l’incarico della poesia?
Esprimere l’umanità, rappresentarla anche negli aspetti più tragici come quelli dell’infanzia violata. Per la sua funzione la poesia ne è capace, dando più forza e potenza etica alle parole.
Dell’infanzia hanno scritto grandi autori, maestri della letteratura, senza cadere nella retorica né nell’enfasi né nella mistificazione. Ho detto “maestri” perché alcuni scrittori, anche contemporanei, scrivono di bambine e bambini senza averne un’idea, senza conoscerne l’essenza. È un dovere e una condotta etica, per chi scrive sui bambini, conoscerli bene. Alcuni inconsapevolmente, altri anche in mala fede manipolano la loro natura, i loro sentimenti, la cognizione, gli atteggiamenti, falsificando le loro vite: “adultizzandoli” nel campo dell’abbigliamento e della moda; e anche nel sesso arrivando a colpevolizzarli per l’abuso sessuale. Come è nella ideologia della pedofilia.
I grandi scrittori, che hanno scritto dei bambini, lo hanno fatto con competenza, grande attenzione e cura: tra questi Tolstoj che in La saggezza dei bambini ne rappresenta la disarmante innocenza: i piccoli parlano spontaneamente, fanno domande, rispondono mettendo in ridicolo guerre, religioni, e le tante convenzioni e convinzioni degli adulti. Egli ha conosciuto direttamente i piccoli creando per loro delle scuole. Il grande gioco di Collodi con Pinocchio: la festa della vita di un burattino/bambino nel mondo degli adulti, critica anche alla borghesia partendo dall’infanzia. L’infanzia che rimane tale: gioiosa e fantasiosa, vivace e piena di esperienze, in cui si corrono anche dei pericoli, irregolare e poco controllabile da parte dei grandi che tentano di “regolarizzarla” in un contesto borghese senza riuscirci (cfr. D. Marcheschi, Il naso corto, EDB, 2016). L’infanzia di due gemelli violata da azioni crudeli e distruttive degli adulti, di cui narra Ágota Kristóf in La città di K, che per sopravvivere si auto-educano con durezza. E poi ancora Dostoevskij che ci descrive i terribili sadici abusi e maltrattamenti punitivi di genitori e padroni. E poi c’è Sciascia che, in Cronache scolastiche, tratta in modo poetico lo stato dell’infanzia nel dopoguerra nelle scuole dove ha insegnato. E osservando i suoi alunni poveri, senza scarpe, malnutriti e costretti a lavorare, si mette dalla loro parte, cogliendone anche gli aspetti più giocosi, come quello delle lamette da barba infilate nel legno dei banchi e fatte vibrare e suonare «come chitarre». Ma anche maestri della fotografia come Letizia Battaglia, che dona alle figure dell’infanzia una grazia reale e una bellezza pur nel degrado sociale; una collocazione universale che supera l’aspetto cronachistico, trasformando Palermo in tante possibili altre città del mondo.
E, in particolare, quale incarico ‘senti’ per la tua poesia?
I temi della mia poesia sono vari ma alcuni, come quello dell’infanzia, li avverto più pressanti. Sento un profonda ingiustizia storica verso i bambini. Se lo considerassimo un popolo è quello che ha subito forse più sopraffazioni e violenze: senza alcuna colpa. Penso che ci debba essere qualcuno che parli di loro e per loro, ma è necessario anche che li faccia parlare direttamente con le loro parole, come ho cercato di fare nel libro Le voci dei bambini.
Questo si ricollega anche al mio lavoro di neuropsichiatria infantile che svolgo ormai da parecchi anni; ai miei studi, agli approfondimenti di letture scientifiche, letterarie, e anche alle mie riflessioni su fatti storici e di cronaca riguardanti i bambini. Ho visto e sentito tante/i bambine/i con diverse patologie, ho ascoltato tanta sofferenza, ma anche tanta vitalità e gaiezza. Ho inoltre ampliato la mia esperienza in campo giudiziario minorile perché sono convocata spesso, per motivi istituzionali, anche dai Tribunali per i Minorenni, con i quali si collabora strettamente per la tutela dei piccoli.
Adesso penso che sia un mio dovere restituire quello che ho appreso da loro. Penso che sia un imperativo etico far sentire, alte e forti, le stesse voci che ho ascoltato: rivivendole, rivelandole in termini di espressione e creazione poetica.
Il tema dell’infanzia non può essere confinato solo in branche specialistiche scientifiche come la neuropsichiatria, la psicologia, la pediatria, la pedagogia. Sarebbe un limite. La poesia e l’arte danno la possibilità a questi temi di arrivare e diffondersi anche in altri campi: quelli dei “non addetti ai lavori”, con una forza che trascende anche l’aspetto scientifico contingente. Ma c’è un punto in cui arte e scienza si rincontrano: nel valore dell’umanità. Ed è lì che diventano una sola cosa.
In che modo credi possa trovare ascolto nell’adulto sempre più diseducato all’ascolto, e persino all’ascolto di se stesso?
Attraverso le parole, le parole quelle vere, quelle dette non a caso, quelle del “non una parola in più”, che arrivano con verità anche tragica. Quelle della poesia e della bellezza. Quelle che dopo avere fatto lunghi giri arrivano cariche di umanità.
Quale (e per quali ragioni) poeta e relativi i versi (riportali gentilmente) che non dovremmo mai dimenticare?
Se devo scegliere, scelgo idealmente tutti quei poeti e scrittori che ho letto e anche studiosi di scienza che hanno scritto testi di medicina, psicologica e pedagogia, pediatria, e che insieme hanno contribuito alla mia formazione e mi hanno educato a valori etici.
Ma qui devo dar conto di un poeta e di versi, dunque devo rispondere con disciplina alla domanda:
la poetessa è Ana Blandiana (Romania), i versi sono tratti dalla poesia L’armatura: «Il mio corpo/ non è che l’armatura/scelta da un arcangelo/ per traversare il mondo/e, così travestito, / […] si getta nella mischia,/ si lascia accostare dalla feccia/ infangato di sguardi/ […] e sotto, il disgusto cova/ l’angelo sterminatore» (Un tempo gli alberi avevano gli occhi, Donzelli, 2004).
In questa poesia ho sentito una grande forza e bellezza. Mi ha dato coraggio. Mi ha fatto immaginare come farebbero bambine e bambini in un gioco: un corpo-guerriero-angelo sterminatore dei “cattivi”. Un angelo sterminatore della sordidezza e della corruzione, che difenda e preservi l’innocenza di piccoli e grandi.
Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori a scegliere una tua poesia da Le voci dei bambini e, nel contempo, ti invito a portarci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere.
Da tempo annoto parole, frasi ispirate dai bambini e dalle mie riflessioni. Osservo i loro comportamenti, i giochi, li ascolto con empatia. Si sono accumulate tante cose dentro di me, e sui fogli: testi che poi ho revisionato nella creazione poetica. Non è una copia, una semplice trascrizione o imitazione di quello che dice una bambina o un bambino. Non è un semplice spostamento della esperienza di vita nella scrittura, ma una continua ricerca, un confronto tra se stessi e la parola, una metabolizzazione: una creazione.
In particolare la poesia che presento qui, ai lettori, è nata da un profondo sentimento di sconforto in cui ho sentito più forte l’ingiustizia verso i bambini e il mio senso di impotenza. Allora ho pensato che era necessario un Dio speciale. Un Dio tutto per i bambini.
La poesia è Il Dio dei Bambini, già inserita nell’ antologia Mille anni di poesia religiosa (EDB, 2017, a cura di Daniela Marcheschi) e che poi è stata riveduta in occasione della pubblicazione in Le voci dei bambini:
Il Dio dei bambini
Perché hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti
e l’hai rivelate ai piccoli
Mt II, 25
Dicono che esiste un Dio dei bambini
Sono sicura che esiste.
Il Dio dei bambini
che non cancella le loro parole
che non dice che sono
bugie:
I
Sono arrivati hanno ucciso mio padre
e mia madre
hanno portato via mia sorella
Hanno bruciato tutte le case
Sono arrivati
hanno tolto i bambini alle madri
II
– Perché siete andati nelle case
dei bambini
Perché avete appoggiato i gomiti sul pane
Perché avete abbandonato le leggi
delle madri
Avete fatto il male
più che avete potuto –
III
Dio dei bambini se esisti ti racconto una storia
la più brutta storia
Di quello che ho visto
posso farti un disegno
Di quello che hanno fatto i grandi
una bambola che parla
Sono stata venduta ai bordelli
bambina
senza il mio nome
Bambina
senza più il mio nome
(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 22.03.2020, pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).