– in chiusura della trilogia I POSTERI DEL MODERNO –
Vivere il tempo nel mio tempo. Attraverso un tempo non misurabile, tentare un percorso all’indietro per comprenderne l’arcana natura, l’Origine nostra profonda – che già vive postuma. E così, tornare a un presente che è vuoto da riempire, un vuoto che necessita d’essere disturbato e provocato affinché riaffiori pieno allo stato di coscienza. Ciò che emerge è apparentabile a detriti, residui: sono avvenimenti fossili che in genere ci conducono al dolore e alla sofferenza. Spesso li rimuoviamo senza sapere che nell’antivenire e nell’antivedere della nostra esistenza, come delle civiltà, erano decifrabili nei segni, nei sogni, negli archetipi collettivi, nel manifestarsi sintomi. Noi veniamo sommersi ogni volta da un’onda di pietrisco, ed è quando l’inconscio predomina sull’Io. Quando il dolore non è sopportabile. Quando permettiamo, a nostra insaputa, che parte di ciò avvenga.
È un cammino sul quale incontriamo mine vaganti.
Fossile lanceolato fossi le foglie rilasciate ossa tornerei clorofilla.Se ogni azione che sfugge alla ragione è un’intenzione antica che il vuoto e il pieno contiene, dovrò insistere nel decifrare quell’intenzione. Soltanto allora avrò il coraggio necessario per far saltare le mine – consapevolmente. Accuserò ferite nell’Anima e nel corpo, nella psiche e nella mente, ma poi riuscirò a chiudere un pertugio della storia, mia e perfino degli altri.
Questo è il mio “mondo”.
Lo vivo quotidianamente, ogni giorno. Ed è una continua ricerca, un’esplorazione che si avvale della scrittura e dell’arte quali viatici per accedere all’inconoscibile. Il mio ultimo libro, Malestremo – Sedici viaggi nell’Altrove è una silloge di racconti: l’Altrove e l’Ignoto sono gli aspetti che lo caratterizzano. Ma direi una bugia se non dicessi che questi temi sono fortemente presenti in ogni mia opera. Dal primissimo libro per la City Lights Italia Il Carro di sonagli, del 1999, sino ad arrivare alla trilogia Illacrimata | Animamadre | Malestremo – e siamo nel 2013! Con tutto il coraggio possibile di una piccola casa editrice come Tracce che ha fortemente creduto in me, in libri non facili, e per questo sarò infinitamente grata a Nicoletta Di Gregorio.
Si è frantumata la montagna. Tace il corpo – tace l’anima – tutto tace. Tacito è il tempo, fedele al corpo. Ignorando il pericolo – il pericolo venne a me. Ignorai avvisaglie per suprema ignoranza. La Montagna Sacra, barbaramente calva nella dinamica dell’essere, tramortì all’indirizzo sbagliato. Ma forse quel suo positivo linguaggio, espressione di capriole sdrucciolevoli, sposò l’intento d’un granitico bastone di roccia: e furono percosse, botte, mazzate dolenti. Ecchimosi, lividi, desideri estinti. “Spero di averti resa migliore” disse la montagna. “… E rammenta: puoi abitare luoghi solo abbandonandoli…”.[dal racconto “In viaggio”, Malestremo]
In un certo senso mi muovo tra reperti archeologici. Un’archeologia dell’interiorità, così mi piace denominarla. I fossili fanno il resto: sono le mine, come i miei libri, come anche quest’ultimo… Il “malestremo” chiamato identità. Il Faust contemporaneo che soffre. L’attraversamento del tempo e dello spazio. La storia di un puledro cristologico in “Nitrito d’Argento”; “Musidora”, Musa del surrealismo francese, donna che ho scelto di narrare per la sua spregiudicatezza e genuino candore. La denuncia e la poetica animale nel racconto “I cani di Pavlov”. E ancora, i bambini di Beslan nel ricordo, “Il Giorno della Conoscenza”; una parte interamente dedicata a figure di donne, “Jeanne”, “Annette”, “La Devozione”.
“L’altrove della scrittura” – rileva Marco Palladini in prefazione, salvando forse insieme il Malestremo gnomico, sorta di filosofema tantrico, e quello che ci corrode dentro, per mimesi linguistica e anche riflesso [e condizionato: vedi “I cani di Pavlov”], sfibramento psicologico – “è un sogno di altrove che si risveglia in un altro sogno. Maroccolo attraversa il territorio del fantastico per deterritorializzarlo, per sottrarlo al segno del banale, del consolatorio, del rappacificante. Le sue quasi féeries si mostrano in una luce straniante, inquietante, dietro la gentilezza del tocco c’è la crudeltà di uno sguardo meduseo che trafigge e pietrifica. Come nel prosimetro “Jeanne” dove frammentari versi si muovono tra picchi di sublime e catabasi tanathofile.”
In sedici racconti tento di portare il lettore a dialogare intimamente con me; è proprio al dialogo che aspiro. Penso moltissimo a chi mi leggerà: come poeta, prosatrice, oppure come pittrice che ama comporre quei “poemi visivi” che sono i Mandala. Malestremo è fonte di un arcaismo lirico che diventa “moderno” nella sua accezione migliore: onesto, direi. “La modernità come l’autrice la intende” – osservava Paolo Lagazzi già prefando Illacrimata (2011) – “è anzitutto il rischio di un’impasse linguistica… D’altra parte il processo ad Eichmann evidenzia come si possa ‘morire d’una morte/lessicale’, come, cioè il linguaggio, strumento di ogni ideologia, possa distruggere la vita, terribile e ottuso come un’arma senz’anima.”
Non si può non essere leali, o non tentare – almeno – di essere etici e un po’ più giusti. Non abbiamo il diritto di prendere in giro nessuno – e oggi, purtroppo, la mistificazione dell’arte/nell’arte è palpabile all’inverosimile.
Fossile lingua, letteralmente eonica. Fossi epistolario stellare, senza accumulo d’inquinanti o particelle migratorie, tornerei a più caratteri -universale.
Paolo Lagazzi, con grande finezza e anche sottigliezza ha rilevato assai bene quest’impasse auratica, ma anche questa deriva fertile: “Attraverso un intreccio, spesso fitto come una selva oscura, ciò che riusciamo anzitutto a cogliere è l’emergere, nel cuore del magma, del mistero e del caos, di alcuni nodi di senso aguzzi come punte, pietre, rocce, scogli o frammenti d’osso. Queste punte assumono la forma di coppie oppositive, di parole, immagini o idee in contrasto reciproco… Tutto è se stesso e altro da sé: le parole fiottano come frecce, gridi, invocazioni, squilli, preghiere o paure… Per cercare di dire qualcosa che non è contenibile in nessun linguaggio, e che potremmo, forse, indicare come il cuore stesso, infinito del sacro”. C’è scarsa poesia perché i poeti veri, puri, sono pochi: vorrei ricordare la cara Giovanna Sicari, Maria Angela Bedini, Mariangela Gualtieri, Rosaria Lo Russo, la passionalità di Assunta Finiguerra, il tormento di Massimiliano Chiamenti. Tre di loro non ci sono più, purtroppo. Nessuno me ne voglia se rifuggo la glacialità di tanta poesia Neo-Neo-Sperimentale-Modernista. Vorrei il cuore, ogni tanto. Il Sublime. La Visione. Lo Stupore. Questo mi aspetto dalla scrittura. Soprattutto, questo, aspetto da me.
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