Dopo due anni da Cronache della restanza, il giornalista Savino Monterisi (nella foto di Antonio Secondo) torna in libreria con una nuova raccolta di testimonianze e riflessioni, a metà tra la nota diaristica e il saggio narrativo. Infinito restare (Capistrello, L’Aquila, Radici Edizioni, 2022) si differenza dal volume precedente per una struttura più solida e una più attenta selezione, oltre che distribuzione, degli scritti contenuti. Il titolo stesso ribadisce il tema dominante del racconto, da riconoscere nel fenomeno antropologico che Vito Teti, nome caro all’autore, ha definito “restanza”. Restare per Monterisi significa “abitare” consapevolmente un paese, una città, una regione, conoscerne i limiti e le risorse, intraprendere progetti comunitari per rivalutare un luogo, magari soggetto a spopolamento (una piaga tipica dei paesi dell’Appennino, o, come lui lo chiama affettuosamente, “Appennino casa”), e farne uno spazio vivo e condiviso. Più che calzante la citazione, riportata nel libro, del geografo francese Armand Frémont: «La regione, se esiste, è uno spazio vissuto. Vissuta, percepita, amata o rifiutata, modellata dagli individui, la regione proietta su di loro delle immagini che li modellano. È un riflesso. Riscoprire la regione significa quindi provare a coglierla proprio dove essa esiste, vista dagli individui».
In realtà la “restanza”, fenomeno tutt’altro che sedentario, può essere di diversi tipi: è restante chi non ha mai abbandonato un luogo, chi vi ritorna dopo esserne stato lontano e chi, pur venendo da fuori, decide di abitarlo. «Se volessimo farci mitragliare a freddo da un accademico della Crusca potremmo dire: restanti, ritornanti a arrivanti». Ed è con carattere indomito e spirito gioviale, sempre pronto allo stupore, che Monterisi (fiero “ritornante”) accompagna il lettore nella scalata verso la grotta di Sant’Angelo, dalle cui altezze riflette sull’industrializzazione scellerata in Val Pescara (la Montedison di Bussi), negli antichi rituali di festeggiamento della notte di San Giovanni a Raiano, con tanto di salto propiziatorio sul fuoco, nella raccolta di sedanina d’acqua insieme a Nonna Lenuccia presso l’argine di un ruscello al Bagnaturo (frazione per metà di Pratola Peligna e per metà di Sulmona), luogo natio ritrovato come patria d’elezione.
Confessa Monterisi che durante le presentazioni di Cronache della restanza le persone, «a metà fra il desideroso e la rassegnazione», gli chiedevano: «Sì, ma quindi? Cosa possiamo fare noi? Siamo ancora in tempo?» (come nell’ultimo capitolo di Fontamara in cui il «primo giornale dei cafoni», rifacendosi al romanzo di Lenin, era intitolato: Che fare?). In questa nuova opera sono riportate numerose esperienze che suggeriscono cosa fare, come organizzarsi, e che testimoniano quali progetti abbiano già restituito dignità al territorio e alla sua popolazione. Si pensi a Gagliano Aterno, dove Raffaele Spadano e la sua associazione “Montagne in Movimento” hanno creato una comunità energetica che coinvolge gli stessi cittadini, i quali, oltre ad investire nella “transizione ecologica”, risparmiano notevolmente sulla bolletta elettrica, o a Pescocostanzo, dove il Maestro mandolinista Francesco Mammola ha fondato l’Accademia musicale dell’Alto Sangro, permettendo a cinquanta ragazzi di studiare senza lasciare il paese. Oltre a sottolineare l’importanza della cooperazione tra abitanti, Monterisi ribadisce la necessità d’intraprendere un progetto turistico assennato, messo in pratica nel rispetto del territorio e di chi lo abita: «Dobbiamo stare molto attenti se non vogliamo diventare dei luoghi finti e fatati senza più veri abitanti e senza una comunità, paesi a disposizione di soli investitori e turisti».
Ciò che più salta all’occhio comunque è il modo in cui l’autore sia riuscito a riappropriarsi del suo ambiente, di ogni minima pianta e del più raro uccello che popolano la terra e i cieli d’Abruzzo, nei confronti dei quali ha sviluppato una sensibilità “musicale”: «Il ritorno in paese ha aiutato a leggere la natura come spartito, riconoscere animali, piante, raccogliere erbe». È un suggerimento per tutti, perché niente di quanto ci abita accanto passi inosservato ai nostri occhi i quali proprio di stupore e di conoscenza devono tornare a nutrirsi.