Spesso nella poesia di Grünbein tutto parte da un’immagine colta al volo: un gruppo di migranti sdraiati in un prato, due moto incastrate dopo un incidente, una barca rovesciata da un’onda. Ma poi da quell’immagine nascono altre immagini, per associazioni a volte sorprendenti, sempre illuminanti. E riflessioni che coinvolgono le più varie branche del pensiero, non ultime le neuroscienze e la fisica quantistica. Queste connessioni improvvise e impreviste sono espresse in maniera lucida, non sentimentale, ma a partire dallo spiazzamento mentale toccano poi corde sempre più profonde e coinvolgenti. Oppure, se non da immagini, si parte dalle parole: da metafore come quella del cervello-ripostiglio in Umanista misantropo, una delle poesie più emblematiche; o da serie di parole legate tra loro da nessi fonetici e semantici, come nei Verbi bianchi. E si procede di lí, introducendo anche elementi autobiografici, in un argomentare a briglia sciolta, sempre sul filo delle analogie e delle evocazioni. I versi di Grünbein sono quanto di più ambiguo si possa pensare. Da un lato, con la loro lunghezza e la sintassi articolata, dànno l’impressione di un ragionamento logico e controllato, dall’altro propongono salti sfrenati in universi di senso a cui è possibile accostarsi solo con l’intuizione. È l’ambiguità dei grandi poeti-filosofi, categoria alla quale Grünbein appartiene ormai con piena sicurezza.
Schiuma di quanti raccoglie poesie dalle ultime tre raccolte di Grünbein pubblicate in Germania, più una serie di versi ancora inediti.
Tre poesie da “Schiuma di quanti” di Durs Grünbein, Einaudi 2021. Traduzione di Anna Maria Carpi.
Sempre al tuo fianco il nulla baluginante,
quel muto migrante secondo
che canta sempre un meno – mai un piú.
Andando per le piccole città
il vuoto del sottopassaggio, poi la piazza.
Eccoti, ma non ci sei, non ci sei mai stato.
Quando il sole è al culmine, in tutto
si fa la conta: un due tre,
ombra indiscreta, ed è già finita.
«L’origine del mondo»
Per poco non sarebbe mai venuta. La voluta tanto
era lí, un misero mucchietto, rossoblú e senza voce.
Il capo molle in avanti, il corpo accartocciato,
manteneva l’ultima posizione, la copilota fetale.
Non voleva. E non poteva. Si era rassegnata,
appena fuori, pista d’atterraggio intrisa di lisolo,
giú ai piedi del mondo, un liscio specchio sporco di sangue.
Silenzio in ambulatorio, fruscio di strumenti, tenevano tutti il respiro
quasi mancasse l’aria – a lei che doveva respirare.
Ed ecco l’afferrarono, la percossero cosí appesa come un pollo
a capo in giú, ai piedi rattrappiti. Ma non successe niente.
La rabbia che ti detta: Se lei non vive, la vita mi fa schifo.
E poi non c’era piú. Ma come una scintilla nell’inconscio irruppe
un grido nella stanza accanto, di cessato allarme: sono qui.
Assenze pericolose
Ognuno è pieno di mormorii. Spinge un barile
colmo di stranezze, segreti, debolezze, un po’ fuori
di traccia, è perché non è in sé.
Pericolose sono queste assenze. Lasciano
il corpo fuori, nella pioggia. Lo consegnano
alla posta coi pacchetti, alla stazione del bus.
Sequenze della nostalgia, onde radio, che tolgono
i contorni al singolo.
E mai piú forte
che nei tempi del piú folle amore, della gelosia.
Allora giochiamo a Tarzan, ci libriamo dai fili della corrente
traverso le città, diventiamo maestri di telepatia.
Poi nell’aria appare un viso, in bolle di parole
balzano su le idee, da ultradistanze. Che razza di sguardi profondi
son questi, che voci sull’orlo del prender sonno?
Durs Grünbein è nato nel 1962 a Dresda, allora Ddr. Vive a Berlino. Da Einaudi ha pubblicato tre libri di poesie: A metà partita (1999), Della neve ovvero Cartesio in Germania (2005), Strofe per dopodomani e altre poesie (2011); e una raccolta di saggi: I bar di Atlantide (2018).