Velázquez, Las meninas

Osservando un dipinto, una scultura o più semplicemente, una pianta fiorita il più delle volte ci si sofferma sull’oggetto più vicino e centrale, magari “vestito” con particolari colori. In una rappresentazione grafica l’osservatore è portato a guardare un determinato momento della scena in funzione proprio di come questa è costruita. Quindi, vuoi che il protagonista sia un essere animato o meno, l’artista ci “suggerisce” cosa guardare. E i personaggi secondari o le comparse? Tre esempi per tre epoche diverse: Las meninas di Velázquez; la Stele di Naram-Sin e l’affresco giottesco a Padova, Fuga in Egitto.

Dipinto nel 1656 e conservato nel museo El Prado, Las meninas è la magnificazione dei personaggi di sfondo. Citando l’invenzione scenica di van Eyck, con i Coniugi Arnolfini — oggi a Londra ma allora nelle collezioni reali spagnole — Velázquez ci mostra l’illusione della riflessione di uno specchio in cui sono presenti i reali Filippo IV e Marianna d’Austria, che diventano così sia spettatori che protagonisti della scena. Questa duplice funzione invece si rispecchia, non a caso, nei protagonisti della tela. Qui c’è da sbizzarrirsi in quanto a personaggi secondari. Tutti sono protagonisti ma nessuno è l’attore principale. Oltre che allo stesso pittore, all’infanta Margherita e le sue damigelle e ancor più oltre ai nani Maribárbola e Nicolás di Pertusato, vorrei soffermarmi sulle figure in posizione ancora più arretrata: Marcela de Ulloa con don Diego Ruiz de Azcona e José Nieto Velázquez. I primi due, rispettivamente l’addetta al servizio delle dame di corte e il funzionario per l’accompagnamento delle gentildonne, si trovano appena dietro i due nani, in penombra, non curanti della scena. Donna Marcela, vestita a lutto per la scomparsa del marito, parlotta gesticolando con il suo vicino che sembra sì interessato ma non distoglie comunque lo sguardo dai reali, forse per non indispettirli. L’altro personaggio, sullo sfondo, che apre la porta dello studio di Velázquez è il ciambellano di palazzo che guarda la scena scostando con una mano una tenda. I tre personaggi sono inseriti in un’aura più scura rispetto agli altri, ma ciò non toglie l’importanza all’interno della scena: Velázquez mira a rappresentare la quotidianità. Interessante è notare, infine, una ulteriore specularità nei dieci protagonisti, non di carattere espositivo ma concettuale: se solo in cinque guardano verso lo spettatore/i reali, altrettanti volgono lo sguardo altrove, non curanti dell’evento.

Se Velázquez si è occupato minuziosamente di ogni personaggio della scena, quindi anche di quelli secondari; l’anonimo scultore della Stele della vittoria di Naram-Sin, per la rappresentazione delle comparse, ha soppesato la scena e le ha suddivise tra “buoni” e “cattivi”.

Il trattamento subito dai vari personaggi non deve stupire, si tratta infatti di una Stele, connessa al ricordo, all’esaltazione. Nella nostra stele, datata al 2250 a.C., si vuole “santificare” la vittoria del monarca Naram-Sin sui Lullabiti. La rappresentazione si riferisce al momento conclusivo dell’avenimento: mentre il re sale verso la montagna, i soldati del re sono distinti sul volto uno ad uno ma hanno tutti la stessa posizione. Discorso diverso per i nemici, questi sono a terra, alcuni trafitti alla gola da una lancia e scolpiti ancora più piccoli dei soldati vittoriosi — “giustamente!” si giustificherebbe il re. La stele è quindi saggiamente suddivisa in due parti, non più suddivise da listelli, ma dal movimento stesso dell’azione: nella parte più alta c’è il sovrano con le divinità — simboleggiate da astri — mentre nella parte inferiore c’è tutto il turbinio dei due eserciti. Curioso è osservare come la potenza del movimento, l’inarrestabilità dell’evento, è maggiore nella seconda parte: coprendo, infatti, prima l’area superiore e poi quella inferiore è facile notare come il drammatico viavai sia più marcato nel racconto degli eserciti. Ancora una volta, i personaggi secondari non sono poi così marginali.

Arriviamo a Padova con Giotto. Databile intorno al 1303, questo affresco ci mostra al centro e su di un asino Maria con Gesù bambino e a destra Giuseppe ed un giovane. In alto svolazza un angelo che indica loro la strada mentre sullo sfondo vediamo un paesaggio arido e desolato. Appena dietro l’asino, a sinistra, troviamo tre figure, una femminile e due maschili, forse accompagnatori e aiutanti del gruppo. I primi due parlano tra loro mentre il terzo, più arretrato, ascolta silenziosamente. La loro presenza è esclusivamente di contorno, non hanno un ruolo ben preciso, quindi sono effettivamente delle comparse; anche l’altro personaggio, quello che accompagna più avanti Giuseppe non è rilevante, ma inserito tra Maria e suo marito è quindi “incastonato” nella scena. Proviamo l’esperimento precedente coprendo i secondari: facendolo col giovane accanto a Giuseppe non si spiegherebbe perché quest’ultimo stia guardando in quella direzione; per il gruppo a sinistra, invece, il cambiamento è nullo, nessuno dei “principali” interagisce con loro quindi, essendo slegati, la loro presenza è poco rilevante. L’unica spiegazione plausibile è che siano stati inseriti da Giotto per bilanciare la raffigurazione. Se Maria e Gesù se li avesse spostati nella zona del gruppo a sinistra, i due avrebbero perso l’enfasi perché non più in posizione centrale: mettendo invece Maria e il Bambino al centro, per completare la composizione triangolare Giuseppe-montagna-gruppo a sinistra, è stato necessario inserire il “peso” del gruppetto. Queste tre figure non sono poi così essenziali al racconto, ma una sorta di espediente per un “tavolo traballante”.

Giotto, Fuga in Egitto

 

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