Suggestioni evocative e atmosfere avvolgenti di “Dionysos e Ariadne. Danzare il labirinto.”

di Pia Vacante 

 

“Nulla è.
Solo immagini siamo,
riflessi di vicende eterne,
specchi divini,
nella cui esperienza prendono corpo
i decreti del Fato.

Colui che nasce nella morte,
Dionysos Kresios,
Dioniso il cretese,
il mito eterno che si ripete
incessantemente,
intessuto
nelle umane vicende.
Tutto è Teofania.
Mistero impenetrabile mai svelatosi interamente,
come l’oracolo di Apollo a Delfi,
<che non dice e non nasconde ma accenna>”.

Parto dalle ultime parole del testo che io e Laura Liberale interpreteremo in teatro, per narrarne la genesi, un atto dionisiaco ancora in fieri, forse per sempre o perlomeno per un lungo tempo.

Non ho mai scritto un’opera di teatro né ho mai calcato un palcoscenico, ma i piani del fato seguono strade spesso inizialmente incomprensibili, che solo il tempo svela alla nostra percezione e comprensione, trasportandoci in esperienze assolutamente imprevedibili.

E penso a Jung, alla sua porta d’ingresso, su cui sta scritto: “Vocatus atque non vocatus Deus aderit” (chiamato o non chiamato il dio ci raggiungerà).

Questa frase, tratta da un responso dell’oracolo di Delfi, rappresenta perfettamente la situazione che sto per narrare.

Comincerò col dire che, nella visione greca arcaica, ogni cosa che accade nella cosiddetta “realtà” ha un topos archetipico che le corrisponde, siamo e viviamo sempre dentro un mito, anzi, in vari miti intersecati tra di loro, in cui le differenti condizioni dell’esistenza sono proiezioni del costante e sempre diverso mescolamento dei pianeti-archetipi che abitano il cielo stellato.

Circa un mese prima di un faccia a faccia con la possibilità che esclude tutte le altre, in senso heideggeriano, mi aveva raggiunta il desiderio di leggere Dioniso, di K. Kerenyi. Lo acquistai, insieme a diversi testi di letteratura giapponese, sublimi celebrazioni della bellezza della caducità, alleati preziosi in vista di ciò che stava per accadere.

Subito dopo un salvifico intervento chirurgico, il dio in qualche modo arrivò a me, indicandomi il cammino.

In questa storia, dall’inizio ad ora, tutto si è svolto con sincronie continue e molto significative, che hanno aperto la possibilità di vivere gli eventi su due livelli paralleli, quello cosiddetto “reale” e quello archetipico.

Avvenne la scoperta di un mondo arcaico, Creta del 2000 a. C., Dioniso, Ariadne-Aridela, il maschile e il femminile archetipici, il culto, la danza del geranos nel Labirinto, da cui si può uscire, a patto che la dea infera non richieda il contrario, al centro del percorso.

La danza era una sorta di circumambulatio, attraverso la quale veniva rappresentato il ciclo di Dioniso: vita, morte, rinascita.

Dioniso e Ade sono speculari, anzi, originariamente, erano la stessa divinità, come lo sono Eros e Thanatos.

Suggestioni fortissimamente evocative, che mostravano il senso del sacrificio del corpo, intrinseco al mito di Dioniso che, smembrato dai Titani, ogni anno rinasce, “la nascita nella morte”, per l’appunto.

Atmosfere avvolgenti, patrie perdute e ritrovate, culti e riti riportati in vita dal tempo arcano, appassionanti visioni del mondo emergevano inaspettatamente.

Una sera la mia amica Laura Liberale mi suggerì di dare la parola a tutto ciò che si agitava dentro di me e, con maieutica risonanza, quella stessa sera cominciai a scrivere un racconto mitologico-alchemico, di getto, quasi aspettasse soltanto di essere scritto.

Non sapevo ancora che sarebbe stato l’inizio di un’avventura ancora in corso, scaturita gradualmente nell’arco dei mesi successivi.

Riflettevo spesso sul fatto che mi sarebbe piaciuto vedere rappresentati i culti e i miti di cui avevo scritto e, dopo qualche mese, con i preziosi consigli di Laura, ho “tradotto” il racconto in testo teatrale. Sebbene non avessi mai scritto in quello stile, sentivo un’ispirazione potente, il fluire del pensiero era più veloce della mano, le parole uscivano dal nulla senza nessuno sforzo da parte mia, se non l’inquietudine della creazione stessa.

Ma del culto è incompleto solo scriverne, per quanto importante e fondamentale.

Il culto, per riemergere dal tempo arcano, ha bisogno di essere rivissuto, percepito, messo in atto, interpretato.

Per tale sacra esigenza, abbiamo lavorato per ri-creare la nostra rivisitazione del culto stesso.

La dialettica ErosThanatos, ha sempre costituito per me un focus interpretativo importante, ma l’averlo esperito come evento fisico e psicologico ha aperto nuove prospettive.

“La nascita nella morte”: questo epiteto descriveva una delle molteplici facce di un Dioniso arcaico, questo era il mito che mi aveva raggiunta attraverso la lettura, l’Eros creativo che emerge dal Thanatos, l’istinto di vita che si afferma insieme e in contrapposizione al suo opposto.

In questo senso scrivevo di sincronia e compenetrazione di eventi e archetipi, di eventi come proiezioni degli dei nelle umane vicende, personali e collettive.

Questa è la vita simbolica, in cui la “fantasia” psichica è ancor più reale della “realtà”, perché la sublima, la trasfigura, la ammorbidisce, la modella, e tale la rende nella memoria.

La Bellezza, di cui l’Eros ci circonda, non vince il Thanatos ma crea uno sfondo di trasparenza speculare in cui il plumbeo Saturno, la Nigredo, viene temperato da Venere verderame che, catapultandoci fuori dalla buia notte dell’anima, ci restituisce al mondo e alle cose che in esso abitano. Tutto ciò nell’alchimia viene rappresentato dalla cauda pavonis, la ruota del pavone, in cui tutti i colori indicano simbolicamente la ricostituzione della relazione con le cose del mondo, non più avvolte nel grigio-nero saturnino.

“La bellezza è una necessità epistemologica; è il modo in cui gli dei toccano i nostri sensi, raggiungono il cuore, e ci attirano nella vita. La bellezza è anche una necessità ontologica, che fonda le particolarità sensibili del mondo. Afrodite dà uno sfondo archetipico alla filosofia della “singolarità”, e consente al cuore di trovare l’intimità con ogni evento particolare in un cosmo pluralistico. Per il mondo pervaso di anima anche noi siamo oggetti dell’aisthesis, inspirati esteticamente dall’Anima Mundi, da lei percepiti, forse persino espirati esteticamente, come immagini, da un himma ardente nel cuore.”[1]

informazioni spettacolo qui

 

[1] J. Hillman, L’anima del mondo e il pensiero del cuore, Garzanti Editore s.p.a., pag. 71-72

in copertina Moneta con la rappresentazione del labirinto, V secolo ac Museo nazionale romano (Roma) 

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