Territori di Babele. Aforismi sulla traduzione di Jean-Yves Masson

Paul Signac, Campi di erba medica a ASaint Denis (1885-86)

Riccardo Raimondo, Territori di Babele. Aforismi sulla traduzione di Jean-Yves Masson,
in «Ticontre. Teoria Testo Traduzione», III (2015), pp. 171 ̶ 180

“L’esperienza del linguaggio, come un’esperienza della coscienza, è talmente profonda che ci incatena e ci segna all’interno di ogni rapporto con la realtà. La coscienza si appropria della realtà attraverso il linguaggio, e la realtà obbliga la coscienza a questo lavorìo di perpetua semantizzazione, interpretazione, adattamento. La dinamica che ne risulta è, forse, una delle possibili definizioni dell’esistenza stessa. Ossia, la caratteristica fondamentale dell’esperienza umana è forse questo irrimediabile divario tra il sistema limitato del suo pensiero e l’ampiezza del mondo che lo circonda, fra le lente geometrie del suo linguaggio e le rapide sfumature della realtà, in altre parole fra idea e fenomeno. Questa dinamica è al tempo stesso la magia e la miseria dell’uomo, ciò che lo libera e ciò che lo incatena, ciò che lo isola dall’altro e ciò che lo mette in rapporto, attraverso un costante gioco di approssimazioni e una dolorosa sfida di conciliazione.
Una tale maniera di pensare la traduzione ci affranca dalle considerazioni puramente linguistiche ci spinge a spostare l’attenzione su una filosofia della traduzione. «Pensare la traduzione: questo è il compito». La traduzione, come funzione interiore al linguaggio e come metafora  ̶  per così dire  ̶  di tutte le sue facoltà ermeneutiche, rimane un ambito ancora inesplorato dalle discipline umanistiche, e rappresenta a tutt’oggi un terreno di conquista e di ricerca, di sogno e di evoluzione”

Si conclude con questo periodo l’ “Introduzione del traduttore” a Territori di Babele. Aforismi sulla traduzione di Jean-Yves Masson che Riccardo Raimondo ha avuto la stima e la cortesia d’inviare alla mia lettura. L’introduzione è un vero e proprio breve saggio perfettamente risolto dal punto di vista argomentativo, bibliografico e consegna, in una scrittura specialistica e mai oscura, l’elemento fusionale di diversi saperi che consentono all’autore di individuare, elaborare e proporre una prossimità nuova al problema della traduzione partendo dall’analisi delle due principali correnti della traduzione mediate dallo studio di “Sourcier ou cibliste” di J.- R. Ladmiral.
La traduzione di “Aforismi sulla traduzione di Jean-Yves Masson”, consente a Raimondo ̶ in virtù delle complessità incontrate a restituire in italiano tanto «la profondità del messaggio» quanto «la difficoltà della forma», poiché i «precetti sulla traduzione» sono espressione del lungo e composito percorso professionale umano intellettuale del loro autore ̶ di portare in luce e al tempo stesso approfondire la necessità di un processo ermeneutico che coinvolge chi traduce, e dunque è inizialmente nella posizione di lettore di un testo in cui, di riflesso, è ermeneuticamente implicato l’autore.
Tutto questo mi fa osservare che accade qualcosa di molto simile tra il testo e il lettore che legge nella lingua originale: leggere è un processo che si snoda tra il soggetto interessato al testo e il testo a capo del quale è la presenza invisibile ma incidente dell’autore. Dentro il testo – ogni testo – è il pensiero immaginale di chi lo produce, e vi convergono istanze psichiche e culturali che lo caratterizzano per essere proprio quel testo lì e non un altro, apportando il senso che ogni lettore non superficiale va cercando nel compiere l’opera di lettura e comprensione. Opera di lettura che, soprattutto in poesia, si dimostra atto ermeneutico in quanto la parola nel suo atto splendente di porgersi e sporgersi chiede di essere accolta, riconosciuta, interpretata nel suo darsi nel contesto della frase o del verso. Soprattutto ciò che attiene alla parte eccedente ̶ lo sporgersi ̶ , ciò che la parola mostra e al tempo stesso trattiene o ritrae, poiché parte della parola è evocativa, legata al simbolo e all’oscurità da cui emerge ineluttabile e seduttiva, sempre suggerendo di essere acclarata per darsi in fusione e pienezza con chi la nomina o l’intende riproducendone assonanze e dissonanze, dunque accedendo al significante che è quanto richiama il lettore nell’opera di lettura e il traduttore nell’opera di traduzione.
Non a caso Raimondo cita il primo aforisma: «Non è tanto la traduzione che comprende il testo, ma è il testo che la comprende, che comprende tutte le sue traduzioni».
Si stabilisce dunque una vera e propria relazione e come tale manifesta complessità; il rapporto biunivoco che evidenzia questa dinamica declina sia la tensione all’evoluzione della parola, sia la necessità d’equilibrio tra il dato formale e il contenuto: è proprio questo aspetto che dichiara come forma e contenuto non possano convivere senza una pur minima connotazione di contatto. È all’ “unione mistica” auspicata e mai raggiunta, al punto fusionale come idea assoluta e aderente al palpitare della tensione tra forma e contenuto, che si rivolge il traduttore e in tale avvicinamento celebra la liturgia che osserva la devozione a lettura e scrittura, poiché entrambe si pongono nello spazio creativo dove non di rado si esprimono per specchiature, giacché tanto l’autore quanto il lettore e il traduttore vi giungono con bagagli in cui sono stipate figure provenienti dal profondo e che si proiettano nel futuro.
Giustamente Riccardo Raimondo introduce il termine «dialettica» dove osserva che «ogni discorso sulla traduzione» è inficiato dalla «dicotomia fra sourciers e ciblistes»: evidenzia la problematica cruciale della traduttologia, che inerisce al “rispetto”, sottolineando così il concetto di “etica della traduzione” in quanto sia il testo originale, sia l’opera del traduttore, si pongono sul piano dialogico per fugare la tentazione di esercitare violenza al testo con una traduzione letteraria che sopprime il “senso del discorso” o con una traduzione interpretativa a scapito dei termini linguistici, dimostrando in tal modo che in fatto di traduzione sussiste il problema dell’approssimazione, non intesa come ordinario lavorìo di comprensione e resa del testo, ma come avvicinamento sorvegliato, rispettoso, che non può concludersi con il totale, esaustivo ingresso nella materia del testo, in quanto, nell’ordine della natura stessa della traduzione, ma primariamente nella natura della parola nella sua condizione di “parole” come F. de Saussure indica , sussiste “una ferita profonda”: ciò che Jean-Yves Masson illustra con «Il traduttore è mai felice? Si trova sempre accanto a San Gerolamo, non dimentichiamolo, un leone che vigila, ferito da una spina. Il traduttore non è felice perché opera nel perfettibile. Questo leone che vigila è il suo orgoglio ferito. Ma dopo tutto, non è pur sempre Girolamo che ha curato il leone, che l’ha trovato ferito e l’ha liberato dalla sua sofferenza? Il leone è inoltre la parola da tradurre, essa stessa ferita per il fatto d’essersi incarnata in una sola lingua, e che viene ad abitare la casa del traduttore poiché quello è il luogo del suo desiderio, e aspira alla gloria di dimenticare, se non la sua ferita, quantomeno la sua sofferenza, slanciandosi un po’, grazie ai misteri della traduzione, verso l’unità perduta.»

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