tre domande, tre poesie
Un uomo, senza apparente motivo, abbandona la festa di matrimonio di due amici per raggiungere l’Antro della Sibilla Cumana, comincia così un itinerario visionario tra ricordi, pensieri, sogni, che lo porterà a fare l’esperienza di un vero e proprio vaticinio e un moderno viaggio nell’oltretomba. “Profezia blu” è il nuovo libro di Valerio Grutt, un poema, un racconto in versi, in cui l’autore ripercorre le strade familiari di Napoli e dei Campi Flegrei, addentrandosi nel mistero della morte attraverso il mito, con una lingua nuova, diretta e contemporanea.
Valerio Grutt – nella foto in copertina di Simone Martelli – è nato a Napoli nel 1983. Ha pubblicato Una città chiamata le sei di mattina (Edizioni della Meridiana, 2009), Qualcuno dica buonanotte (Alla chiara fonte editore, 2013), la plaquette Andiamo (Pulcinoelefante, 2013), Però qualcosa chiama – Poema del Cristo velato (Edizioni Alos, 2014), Dammi tue notizie e un bacio a tutti (Interno Poesia, 2018), Tutto l’amore nelle mani (VG, 2019), L’amuleto – Appunti sul potere di guarigione della poesia (AnimaMundi, 2021) e Profezia blu (Interno Libri, 2024). Le sue poesie sono tradotte in inglese, spagnolo, catalano, russo e greco moderno. Alcuni suoi testi sono presenti nei volumi Subway – Poeti italiani underground (Ed. Il saggiatore 2006), Centrale di Transito (Perrone Editore 2016) e Fuoco. Terra. Aria. Acqua (Terra d’ulivi 2017), Poesie dell’Italia contemporanea (Il Saggiatore, 2023). È stato direttore del Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna dal 2013 al 2016. Collabora con Interno Poesia, blog e casa editrice.
Pariamo dal titolo: qual è stata la scintilla che ha portato il tuo “Profezia blu”, meglio: in che modo la (tua) vita diventa linguaggio?
Profezia blu è nato da una bugia e da una serie di segni che si sono uniti tutti in un momento: un sogno che feci anni fa in cui il principe Antonio De Curtis mi consegnava un ramo d’oro, il matrimonio di due amici – più di recente – che sono andati a vivere in una zona vicina all’antro della Sibilla Cumana, la volontà di scrivere qualcosa sul tema della morte e di ciò che viene dopo, e infine appunto una bugia: aver detto a una persona, così dal nulla, che stavo scrivendo il poema della Sibilla Cumana. Non era vero ma improvvisamente, da quell’istante, le parole sono arrivate, una cascata, due giorni di scrittura senza sosta. Scrivo poesia per dire quello che non si può dire, per dare voce a un sentire sconosciuto attraverso il canto dei versi. Mi offro come tramite, canale, del mistero e lavoro cercando l’accordo con qualcosa di antico e sempre presente.
Ad oggi, dove sei stato condotto dalla poesia, qual è stato l’insegnamento, la poesia è un destino?
La poesia sa sempre più cose di me. Io la seguo mettendomi a servizio. La poesia, mia e quella degli altri – soprattutto quella degli altri – mi ha offerto un porto dove tornare quando mi perdo in mare aperto. Un rifugio di senso. Mi ha dato la possibilità di investigare il mondo, di addentrarmi nel mio abisso alla ricerca delle pepite d’oro della verità. Con la sua libertà, la precisione, la fedeltà alla vita, è stata ed è uno strumento nel cammino di ricerca interiore e un modo per incontrare, sperimentare, condividere.
La poesia è un talento che può avere a che fare con il destino, non si stanca di chiamarci. Possiamo comprenderlo da giovanissimi o anche dopo una vita a fare altro, è una possibilità di scoperta. Ma ci chiede ascolto, allenamento, amore.
Le parole bastano alla poesia?
Le parole non bastano mai o ne può bastare anche una sola. La parola poetica è una super parola, deve saper chiamare l’energia del proprio elemento, sorgere dal lago bianco della pagina, farsi illuminare da ogni luce, mostrare il mondo nudo, non temere di sporcarsi, saper stare al punto giusto nell’architettura musicale. Le parole bastano e non bastano mai.
scelti per voi
due frammenti dal poema:
Ho chiamato
ma non mi hanno sentito
– Chiama ancora, esplora –
mi dice la voce alle mie spalle
io chiamo mamma
ma niente
vedo la cesta con i giochi
He Man, un mostro verde,
il poliziotto grasso del wrestling
ma cosa sono?
Grande e bambino
la luce è forte
dalla finestra
rumore del mare
e voci del quartiere.
Sbatte la porta
papà è uscito
non l’ho fermato
mia madre canta
ma non la vedo
la cucina è infinita
un chilometro di stoviglie
in salita
e io salgo seguendo la voce
canta De André, Murolo, Carosone
la cucina è una montagna
di piatti rotti
ma non mi taglio.
Piazza del Plebiscito è piena di macchine
suonano i clacson
– Mamma – chiamo ancora
ma non sento più la sua voce
e sono al centro e sono solo
una signora mi chiede
se voglio un ghiacciolo
ha una lunga gonna verde
capelli neri fino alle spalle
i denti spezzati come colonne
e gli occhi furiosi
di chi è nato nella pancia del vento
scappo
mi vuole rapire questa signora
mi vuole dire qualcosa di brutto
lei mi insegue nella folla
nessuno mi vede
io sono non visto
– Aspetta, Valerio! –
Conosce il mio nome
mi fermo terrorizzato
gli occhi dei pedoni
le vetrine dei negozi
brillano di una luce d’ambulanza
– È morto tuo padre
ti ha lasciato un orologio –
Me lo mette al polso
e se ne va.
*
C’è stato un terremoto
o sono i miei occhi
che non stanno fermi?
Scendiamo mamma
andiamo in Villa Comunale
guardiamo luccicare le navi
Capri stesa sul mare
dicono che il tufo
convochi il sonno
un tepore visionario
da deserto
come una spugna
prende la rabbia e la tiene
in questi muri
ma poi evapora di notte
sulle strade.
A Napoli l’alba è una messa
gli angeli si radunano
attorno al golfo
e celebrano l’arrivo del giorno.
Agli spiriti è concesso
fare un giro
nelle vie incasinate del centro
rivedere parenti e amanti
costruirgli preghiere che proteggono.
Vulcano tu
che vegli su di noi
a fuoco spento
concedi a questa terra
la gloria serena
la luce piena
che il mattino sprigiona
dal cristallo del momento.
Mia madre mi guarda adesso
conosce la pazienza che non ho
sto con la giacca aperta
e prendo vento
lei è bellissima
il sole ne fa un monumento
vivo e sorride
mentre scorge le mie debolezze
sa i miei errori
ma l’amore tutta l’avvolge
la sua voce scroscia
da una sorgente
– Gli ultimi giorni sono stati difficili
dover dipendere da voi, da te
e poi capire
che da lì a poco vi avrei salutato…
ma ora sto bene
sono leggera
devi sapere che ho lasciato
all’imbarco i bagagli pesanti
non te li fanno portare
è permesso solo tenere l’amore
come bagaglio speciale
e su quello non ci sono problemi di grandezza.
Perché l’amore vero
è un carico leggero
quando si lascia il corpo
il corpo se ne prende il peso
la sua luce invece resta.
Sono belle le poesie
che hai scritto per me
le leggo sempre –
– Mamma, alla fine
ti dicevo che saremmo andati a Venezia
quando ti saresti alzata
un treno io e te.
Ma ti ho mentito
non era vero… -.
Lei sorride
come si fa con un bambino
– Vai lo stesso a Venezia
io verrò con te -.