#1Libroin5W
Chi?
Le donne impareggiabili del mito classico: eroine indomabili che si ribellano ai limiti entro cui la società vorrebbe imprigionarle, ma anche le loro sorelle avvedute, che ne sostengono il portato rivoluzionario e allo stesso tempo introducono nei loro riguardi un punto di vista critico, capace di liberarle dalle deformazioni con cui la tradizione ne ha talvolta distorto l’essenza. Ogni creatura del mito, nelle inquietudini e negli slanci, rappresenta una stagione dell’esistenza, un luogo a cui tornare per sentirci completi nelle nostre inguaribili imperfezioni.
Cosa?
Un tentativo di sovvertire quegli stereotipi che ancora oggi vorrebbero ridurre la figura femminile alla sua funzione. Tra le pagine di Pensare come Medea, grande spazio trovano gli elementi perturbanti della tradizione: il tabù del materno abusante, lo scandalo della disobbedienza delle figlie rancorose, l’ipocrisia del disprezzo verso le sorelle che scelgono di stare alla larga dal destino eroico della propria famiglia; e ancora, l’inconsistenza del giudizio netto con cui crediamo di poter distinguere tra vittime e guerriere, e la posa anacronistica in nome della quale consideriamo una creatura cantata da un poeta solo una musa e non una protagonista della sua avventura e dei suoi desideri.
Quando?
Nel passato mai passato del mito e nella più vibrante attualità. Le favole antiche, che sollecitano tuttora la fantasia dei contemporanei che le riscrivono, ci invitano a entrare in una sorprendente galleria di specchi, all’interno della quale troviamo riflesse le nostre contraddizioni e le domande che ancora ci tormentano. Ogni volta che riapriamo il libro dei miti, ritroviamo parti di noi che per qualche motivo si erano smarrite e ne sentiamo risuonare altre che neppure conoscevamo; dopo aver accolto segreti e interrogativi inesauribili che da quelle storie promanano, voltando pagina possiamo infine andare incontro alla pienezza della nostra vita.
Dove?
Nella Corinto atemporale della favola antica, nella Germania riunificata dopo il crollo del Muro di Berlino, nell’America schiavista di metà Ottocento e in quella di fine Novecento che comincia a fare i conti con il suo passato rimosso – e in centinaia di altri luoghi in cui il suo mito, il più frequentato, è stato disambientato –, Medea resiste. Con il suo gesto oltraggioso e smisurato tutti sentono l’urgenza di cimentarsi, per spiegarlo, ridimensionarlo o addirittura negarlo. E finché ci sarà qualcuno disposto a confrontarsi con l’oscenità del suo scandalo millenario, questa donna senza confini continuerà a librarsi in volo sulle scene dei teatri, sulle pagine di libri ancora non scritti, nell’immaginazione di chi non ha paura di stare in piedi sulla soglia del proprio abisso.
Perché?
Per ribadire che il femminile non può essere ridotto a vaghe generalizzazioni. Per ogni Antigone eroica e intransigente, c’è una Ismene pacata e avveduta; per ogni Andromaca costretta a denunciare l’insensatezza della guerra, c’è un’Amazzone pronta a ricominciare la battaglia. Sognatrici di naufragi, streghe capaci di rivelare l’invisibile, regine esiliate dentro la vertigine della solitudine, instancabili tessitrici del loro epico destino. Ruoli e definizioni vincolanti ci rinchiudono dentro un labirinto ambiguo e opprimente, dal quale si può evadere soltanto pensando come Medea, attingendo cioè alla sapienza antica che ognuno di noi custodisce in eredità, e trovando l’audacia necessaria per aderire a se stessi, anche a costo di mettere in crisi le certezze acquisite e di suscitare il biasimo altrui.
Scelti per voi
Madri che tolgono la vita, figlie che disobbediscono, sorelle che non sono all’altezza: abbiamo ripercorso, attraverso le vicende di Medea, Elettra e Ismene, aspetti del femminile che la società rifiuta o disapprova, spiegando perché la loro condotta disallineata sia necessaria affinché la nostra pace venga turbata, per abbracciare i dilemmi della vita anziché caderne vittime. Il mito non si accorda a una concezione lineare del tempo: i suoi eroi non muoiono una volta sola – e forse non muoiono mai davvero –, e non si esaurisce né scolora il gesto immortale compiuto dalle sue eroine. Antigone cospargerà in eterno con la terra di Tebe, bruciata dal sole, il cadavere del fratello, per assicurargli la sepoltura vietata dal re Creonte; Alcesti non si sottrarrà mai al destino che la vuole soccombente, in un sacrificio estremo al posto del marito Admeto; persino il riprovevole figlicidio commesso da Medea non potrà smettere di accadere senza che la vicenda perda il suo significato. I miti fondanti sono anche quelli da cui prendiamo le distanze; il teatro serve a mostrarci le nostre nefandezze proprio perché è nell’esperienza della catarsi che riusciamo ad affrancarci dai nostri lati più oscuri: se Medea non uccidesse i suoi figli, la sua parabola non trasmetterebbe agli spettatori un significato di portata altrettanto pregnante. Privare un archetipo del suo nucleo essenziale equivale infatti a snaturarlo, defraudarlo, sottrargli la sua potenza di simbolo. Accade così per le Medee redente, per le Vergini in preda al furor, per le Carmen che puntano la pistola contro il loro carnefice. I miti potranno agire sulla nostra intelligenza poetica fintantoché non li trasformeremo confusamente nel loro contrario. Otello non avrà più niente da insegnarci se smetterà di credere alle menzogne invidiose di Iago.
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Nonostante i conflitti di vasta portata che premono alle porte dell’Europa, oggi celebriamo il rito della guerra ogni sera, mentre ceniamo, sugli schermi delle nostre smart tv; siamo talmente anestetizzati rispetto al dolore, che lo trasfiguriamo in un passatempo alla consolle, quello dei war game; in onore del postmoderno, dislochiamo l’apocalisse nei romanzi di fantascienza e poi ci ritroviamo impreparati quando siamo costretti a fronteggiare quell’orrore nella realtà. Abbiamo così tanta paura delle giornate vuote e sempre uguali, che ci inventiamo battaglie da combattere pur di sentirci vivi, ci autoproclamiamo vittime anche se agiamo da carnefici, ci nascondiamo dietro futili etichette rassicuranti. Quando leggiamo le favole antiche, invece, i millenni si rovesciano su di noi per interrogarci e per scrollarci dalla nostra indolenza. Saremo capaci come Ecuba di dare parole al nostro rancore? Ci faremo contagiare dall’esultante follia di Cassandra, imparando a danzare sulle rovine? Conserveremo la dignitosa compostezza di Andromaca quando tutto sembrerà crollare? Potremo spingerci oltre i sentieri della rivolta, come le Amazzoni del nuovo millennio? Le Cassandre e le Pentesilee, pur sgusciando fuori dal Tempo, in ogni tempo riaffermano la loro verità di creature vulnerabili e contemporaneamente libere, visionarie e irrazionali, indipendenti e furiose. Vittime di una storia scritta dagli uomini per gli uomini e protagoniste vincenti di un riscatto millenario, ci hanno aspettato pazienti sulla via della rinascita. È ora di andare loro incontro.
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Bianca Sorrentino (Bari, 1988), studiosa del mondo classico, si occupa del rapporto tra il mito e le arti contemporanee e cura cicli di incontri sulla poesia. Attualmente lavora in Rai. È curatrice di Mito classico e poeti del ’900 (Stilo Editrice, 2016) e autrice di Sempre verso Itaca (Stilo Editrice, 2017). Nel 2021 il Saggiatore ha pubblicato il suo saggio Pensare come Ulisse.
La foto di copertina è di Fabrizio Intonti