#1Libroin5W.: Gian Mario Villalta. “L’apprendista” / SEM

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CHI

Fuori piove, fa freddo. Dentro la chiesa, in un piccolo paese del Nord-Est, fa ancora più freddo. È quasi buio, la luce del mattino non riesce a imporsi. Un uomo, Tilio, sta portando via i moccoli dai candelieri, raschia la cera colata, mette candele nuove. Sistema tutto seguendo l’ordine che gli è stato insegnato, perché si deve mettere ogni cosa al suo posto nella giusta successione. Parla con se stesso, intanto, in attesa che sulla scena compaia Fredi, il sacrestano. Così inizia il romanzo e la sacrestia diventa il teatro di una coppia di personaggi che intesse nei pensieri, nei dialoghi e nei racconti un intreccio vertiginoso di vicende personali, desideri, rimpianti e paure che convocano la vita di tutto un paese, in una lingua che vuole far parlare la realtà vissuta. Sullo sfondo ci sono le ombre che affollano il passato, anche recente, di un mondo che pare avviato al tramonto. In primo piano due personaggi mai visti prima: Tilio, l’apprendista sacrestano, ha 72 anni; Fredi, il sacrestano “titolare”, quasi 85. Che cosa potrà accadere? Di certo c’è che nessuna esistenza è insignificante e che la possibilità di stupirsi della vita non ha una data di scadenza.

COSA

Prima di tutto volevo capire che cosa succedeva provando a esporre una persona non devota, Tilio, che in chiesa ci arriva per caso (ma qui non dirò come), a una massiccia esposizione alla parola dei Vangeli. Volevo vedere come reagiva una persona che si era adagiata in una fede d’abitudine, prima, e poi si era allontanata del tutto, a quella inesausta provocazione che viene dalle testimonianze della vita di Cristo. E poi, altra questione, volevo portare in evidenza l’impoverimento della vita relazionale: al precipizio demografico si accompagna l’abbandono dei paesi, i nuovi stili di vita che fanno sì di poter pre-selezionare i nostri interlocutori e i nostri incontri mediante le potenze incrociate del mercato e della tecnologia. Si frequenta chi ama lo stesso cibo, lo stesso sport, chi la pensa come me e chi mi dice che gli piaccio (like) ancora prima di conoscermi. Tilio e Fredi sanno bene che cosa sia una vita di relazione che ha come riferimento una vera comunità dove tutti si guardano in faccia, come altrettanto bene comprendono che non è più così.

QUANDO

Tutti questi ragionamenti sono cresciuti insieme ai due personaggi principali (e poi anche focalizzando le trame secondarie), nel corso della scrittura, che ha chiesto un tempo intensissimo ma in fondo (anche troppo) breve: mi è dispiaciuto terminare il libro e abbandonare i miei due “amici”.
Però devo confessare che è andata così: un giorno mi sono trovato in testa la “voce” e il modo di parlare di Tilio. E l’ho visto subito in chiesa che trafficava, nessuno mi chieda perché. Il personaggio Tilio è nato così, intorno alla sua voce, solo poco alla volta è diventato una fisionomia. Mentre Fredi è stato prima di tutto un volto, un corpo, al quale ho trovato una voce un po’ alla volta, come del resto solo un po’ alla volta arriva la sua storia personale.
Non mi è mai successo prima: le prime pagine sono venute così, sono affiorate le voci e i corpi dei personaggi, l’ambiente, e ho continuato solo per il piacere di conoscerli meglio. Stavo tentando di scrivere un altro romanzo, che ho abbandonato, perché a un certo punto quello che era venuto fuori senza un perché mi ha assorbito completamente.

DOVE

Ci ho pensato molto, quando mi sono ritrovato avanti con la storia che stavo raccontando. Però anche in quel caso devo dire che tutto è venuto fuori da loro, Tilio e Fredi: dal momento in cui li ho incontrati la prima volta in sacrestia era già tutto deciso, bastava capire bene e mettersi a scrivere con umiltà, tenacia e curiosità. Ho detto che ci ho pensato. Posso dire che da Don Chisciotte e Sancio Panza fino a Ale e Franz, passando per Vladimiro e Estragone e Bouvard e Pécuchet, le coppie della letteratura e del teatro sono tante. Spesso giocano ruoli rovesciati, oppure come coppia formano un’identità stralunata. Ho pensato anche al fatto che un certo “passo”, il ritmo della narrazione, quella lingua immersa nella vita, è venuta dalla poesia, dai monologhi dei dialettali maggiori, ma anche da chi si è più recentemente confrontato con il parlato. Poi ancora: mi piace entrare nelle chiese, mi piace accendere una candela e… meditare? Pregare? Forse mi era capitato di chiedermi che cos’è una preghiera.

PERCHÉ

Ci sarebbe infatti poi una questioncella non di poco conto, che mi balena da tempo nella zucca: se tutto si appiattisce nella comunicazione e si risolve in una spalmata generale di emotività, da dove prendiamo l’indirizzo per dare alla nostra vita un senso e una meta più alti? Non ci basterà davvero postare una stupidaggine e ricevere un like per essere soddisfatti? Da dove lo prendiamo, allora, questo senso? E già siamo pieni di senso, pure troppo: non ci mancano esperienze d’arte, filosofia, spiritualità, ginnastica, cucina, viaggi estremi. Troppo pieni di senso. E scoprire che il senso si misura in relazione a ciò che, invece, manca, può essere interessante?

L’apprendista è tra i 12 semifinalisti del Premio Strega 2020

 

Dall’Inizio del libro

Zitto io, mi sto zitto, non sono affari miei, pensa Tilio mentre conta le candele, le poggia una vicina all’altra, finisce la prima riga, tra sé ripete non sono affari miei, occhio che va a finire come quell’altra volta. Una sola, un’unica volta ha detto la sua, ha dato l’idea, ma vedi poi, dice tra sé, come è andata. Attento che, se cade, la candela si rompe. Ha concluso la seconda riga. Adesso la terza, una sopra l’altra. A quest’ora c’è luce fuori, mica granché, con queste giornate che non fa che piovere. Da settimane. Pure un gran freddo. Maggio sembra novembre.
Come hanno fatto sempre va bene – dice Tilio dentro di sé, come parlando a qualcuno –, se continuano è perché va bene. Poi non importa se non va bene a nessuno, perché non ci sarà neanche un cane alle sette, con una giornata così, come domenica scorsa. Però, allora, la finisci di chiedermi: “Tilio, lo vedi?”, “Tilio, è possibile?”. Benissimo così. A me va bene, dice senza un soffio, solo muovendo le labbra.
Adesso conta i soldi. Tante monete, tante candele. Qualcosa in più, a volte, non tutti sono così ragionieri. C’è scritto Offerta. Lasciamo stare. D’accordo anche 1 euro c’è scritto – vedi tu perché, se è un’offerta… – ma insomma, se hai una moneta da due, cosa fai, torni fuori a cambiare? A Pordenone la prima messa è alle otto. Ma chiamami matto se glielo dico. Ecco, tre euro in più. Qualcosa avanza sempre. Ride. Ci hanno scherzato, lui e Fredi, facciamo la cassa comune e al sabato viene un aperitivo con il rinforzo. Ma figuriamoci loro due, lui e il Fredi, ancora un po’ si spiacevano di avere scherzato. Trecentomila ce ne vorrebbero, non tre, di euro. La caldaia, per cominciare. Appena ci pensa, Tilio si alita sulle mani. Ha dei mezzi guanti, che lasciano fuori le dita per lavorare. La caldaia parte dopo mezz’ora. Stride, stantuffa e non pare avviarsi. Per graziadidio poi cammina. Ma ci vorrebbero dodici ore per il caldo vero. Il piumino è chiuso fino al mento, intorno alla testa un paraorecchie con il marchio Nike. Era di suo figlio. Non vanno più, gli ha detto, lui ha comprato un berretto con il pompon. Da ra- gazzino, ha ammesso il figlio, mi sarei sentito un deficiente, ma ora va così. E se va così, si porta il pompon da deficiente, ha chiuso lì Tilio.
Lo ha pensato, a dire il vero, non gliel’ha detto. Ci sono almeno tre, quattro gradi in meno dentro la chiesa, e fuori fa già freddo abbastanza. Una ghiacciaia. Voglio proprio vedere chi viene alle sette, pensa Tilio. Ma non si accorgono che la mettono storta, quando accendono una candela, ché poi sgocciola tutta di sotto? Palpa le tasche del piumino, trova la spatola. Comincia a raschiare. Guarda qua, ha fatto una stalagmite, dice sottovoce. Si dice stalagmite? Da sotto in su, certo, una stalagmite. È sicuro che si dice così, quell’altra, dall’alto in giù, è una stalattite. Ma è meglio controllare. Prende il cellulare, va su Google. Sorride. Aveva ragione. Meglio ripassare ogni tanto, però. Non sarebbe la prima volta che gli pareva di essere certo di qualcosa e poi Google lo ha sbugiardato. Fredi lo prende in giro. Dice che sembra un ragazzino, sempre lì a tocchignare l’aggeggio. Imparo delle cose, gli ha risposto. Controllo. Non ha detto a Fredi che da qualche tempo perde i nomi. Di persone, di cose che conosce, restano lì dietro un muro e farli uscire è una pena. Ogni tanto dà una controllatina, per vedere se il mondo è ancora al suo posto.
Fredi lo ha lasciato a casa. Con questo tempo a maggio c’è un’umidità che ti slega le ossa. Se esce per servire all’altare è già abbastanza. Ha la sua età, Fredi. E poi lui dice che non riesce a coricarsi presto, e così la mattina gli pesa di alzarsi. A Tilio no, ché si sveglia alle cinque, e se rimane a letto le ossa a lui gli si slegano ancora di più. Per le candele, del resto, e i soldi e i libretti sui banchi Fredi non si preoccupa più. Ha capito che è preciso. Conta e segna via via sul registro. È un quadernone a quadretti, di quelli di scuola. Fredi ci ha incollato un’etichetta davanti e ha scritto “registro”. Però quelli che mettono le candele potrebbero essere un po’ più ordinati anche loro. Se la metti storta la candela si consuma prima. Sorride: ma che cosa vuol dire, non è che il pensiero vale di meno. Si fa per devozione, e allora cosa importa se brucia male. Non è come una moneta nel pozzo, rimugina Tilio, che accendi la candela e pensi il desiderio. Allora sì che gli dovrebbe importare se la fiamma si mangia la cera in quel modo. Come se butti giù un euro e non senti il glug che lo inghiotte, poi guardi e ti accorgi che sta su una pietra. Tilio s’immagina l’acqua che fa specchio sul fondo, le cento lire rimaste sul mattone sporgente, è il pozzo di casa sua, quando era bambino. Però monete lì dentro non ne ha mai gettate nessuno, poco ma sicuro. Che cosa pensa uno che accende una candela? Offre un pensiero. Ma cosa vuole in cambio? Niente, lo fa volentieri. Tilio si chiede perché è bello accendere una candela, piace anche a lui, e gli piace vedere quando ce ne sono molte, fanno una luce che non ce n’è uguale. Si immagina la chiesa piena di candele accese, candelabri, bugie, piatti con i lumini sui banchi, sugli altari, sul pavimento, una luce viva che trema verso l’alto fin sopra le colonne. Una grotta, una caverna illuminata dal palpitare di mille stelline di luce, che in alto diventano un merletto, un soffione luminoso, e più su c’è la tenebra. Ma un mese di pioggia e ’sto freddo, altro che candele!

pag. 101

Fredi è andato dal barbiere. Lo sapeva che oggi sarebbe stata una giornata di lusso. Guardalo là come tiene la testa alta. Ieri sera era a pezzi, le pulizie, i fiori, i libretti nuovi, ha lavorato tutto il giorno e per lui è troppo. Si è messo anche la camicia bianca. Chissà se pensa che potrebbe essere lui il padre dello sposo. Fredi non ci pensa affatto, è lui invece, Tilio, che ci sta pensando.
Il fatto che non avesse mai pensato al divorzio non vuol dire però che avesse capito bene quello che si promette in chiesa: un matrimonio che unisce fino alla morte. C’era sempre la vita presente, piena di pensieri, e c’era quella che ci sarebbe stata più avanti. Anche alla vecchiaia non ci pensava sul serio. Con Irma o no. Sarebbe arrivata anche quella e ci sarebbe stata anche Irma. Basta. Perché pensare che uno muore e quell’altro no. Invece il matrimonio è questo. L’amore è l’amore, ma quando tu vuoi legarti a una persona sul serio è questo che stai facendo, lo sai, se pure non sei capace di pensarlo: fino a quando uno dei due morirà. Come la vuoi vedere? Una barzelletta? Ecco: un atto di crudeltà, ti leghi a una persona per vederla morire o perché lei veda morire te. Invece, se la rigiri, vedi qualcosa che non ti sai spiegare. Che cosa c’entra l’amore col veder morire la persona che hai unito a te per la vita? Non lo sai. Però c’è qualcosa, che Tilio prova a dire a se stesso ma non ci riesce, c’è qualcosa di più grande di lui, gli pare di sentire. Qualcosa di così perfetto e ingiusto che ti verrebbe da gridare. Irma lo sapeva, invece, lo voleva. Lo aveva sposato per quello. Tilio era attraente, guadagnava, erano anni così pieni di novità che gli pareva una disgrazia di stare fermo. Con le donne era uguale. Qualcuna ne aveva combinata, anche grossa. E l’ultima più grossa di tutte, tanto che era sicuro che Irma non lo avrebbe voluto più. Invece lei aveva detto poche parole, qualcosa come: «So chi sei e voglio restare fino all’ultimo giorno con te, non c’è nessun altro che io voglia vicino tra dieci, tra venti anni, tu non ci pensi mai?». No, Tilio non ci pensava, tra vent’anni poteva viaggiare su Marte, per come la vedeva lui, sarebbe potuto succedere di tutto. Come si fa a pensare a questa ragazza tra vent’anni, perché non trenta allora, quando è già vecchia, che senso ha? Però la faccia seria di Irma, quando gli ha detto che da vecchia voleva averlo vicino, gli aveva scavato qualcosa. Gli pareva una cosa da donne, troppo sentimento, ma sapeva che non era così. Non direbbe che aveva pensato proprio a quello che lei aveva detto, ma quello che gli aveva detto lo aveva costretto a pensare a lei tutto il giorno. Un mese dopo le ha chiesto di sposarlo.

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