Теснота, ovverossia vicinanza intesa come limite. Il nome dell’opera prima di Kantemir Balagov, regista russo appena ventiseienne, è una splendida pennellata che suggerisce immediatamente un colore dominante. Il colore famigliare, privo di calore, che macchia (ed è a sua volta macchiato da) la vita che lo circonda. Presentato allo scorso Festival di Cannes nella sezione “Un Certain Regard”, il film dell’allievo di Aleksandr Sokurov, passato poi dal Torino Film Festival, ha riscosso in entrambi i casi le attenzioni che merita; divenendo, a stretto giro, un piccolo cult da non perdere assolutamente.
Anzitutto, la collocazione geografica. La storia – basata su fatti realmente accaduti – si svolge nella città di Nal’čik, nel Caucaso, capitale della Repubblica Autonoma di Kabardino-Balkaria. L’anno è il 1998. Ilana, ragazza ventenne, lavora nell’autofficina del padre, mostrandosi immediatamente un maschiaccio agli occhi dello spettatore. Dalla prima scena, ciò che sappiamo è che sono ebrei. Ciò che intuiamo, invece, è il rapporto di complicità tra i due membri della famiglia. A questo punto – ed è il caso di sottolinearlo – l’autore fa irruzione sullo schermo, mentre le immagini del capoluogo riempiono un azzeccatissimo formato 4:3. «Il mio nome è Kantemir Balagov. Sono un cabardo» – appare in sovraimpressione. È lui a introdurci, per direttissima, nel mondo delle comunità etniche che popolano il luogo in cui è nato e cresciuto. I cabardi, i più numerosi. Gli ebrei, i più silenziosi.
Il fratello di Ilana, David, ha deciso di convolare a nozze con Lea, annunciandolo in una cena di circostanza ad entrambe le famiglie e al rabbino, entusiasti. Ila (così la chiamano tutti) sembra al contempo felice per lui e scocciata, specialmente dalla madre. La nostra protagonista ha una relazione con Zalim, un ragazzone cabardo, che tiene il più possibile nascosta. Il rapimento improvviso e inaspettato dei due promessi sposi da parte di alcuni cabardi segna la svolta drammaturgica della narrazione. Costruito sapientemente attorno all’evento pocanzi menzionato, “Tesnota” è un affresco molto più generale e profondo di una regione drammaticamente segnata da rivalità mai sopite, un’accusa nei confronti di nuclei sempre maggiori e fondanti delle società civili: da quello familiare a quello religioso, da quello periferico a quello nazionale.
Il riscatto chiesto dai rapitori per la liberazione dei due ragazzi è un pegno figurato, un debito che l’opera non estingue mai con i suoi drammi. Il regista, che ama stare addosso alla bravissima Darya Zhovnar, non redime alcun personaggio: ognuno esaspera la sua natura e peggiora la sua condizione iniziale, succube delle proprie, medesime scelte. Soltanto Ila, la cui sconsideratezza è pari al suo coraggio, sceglie un sacrificio autentico e si elegge, nel popolo degli eletti, da sola. Scritto e girato con un’energia invidiabile, il film non è esente da difetti, sia tecnici che relazionali. Le dinamiche che coinvolgono Ila e Zalim (Nazir Zhukov), ad esempio, tendono a reiterarsi mordendosi la coda, creando insieme ad altri canovacci di regia alcune ridondanze probabilmente evitabili. Eppure siamo, è il caso di dirlo, nel regno del peccato veniale: sono troppe le note di merito, a partire dalle eccellenti interpretazioni di Olga Dragunova (una magnifica maschera di madre) e Atrem Cipin (un padre in balìa degli eventi).
Premiato soltanto con un piccolo riconoscimento un anno or sono, il FIPRESCI, “Tesnota” segna senza alcun dubbio qualcosa di ben più grande: la nascita di un cineasta nel pieno delle sue forze e in controllo della propria esuberanza. C’è un momento, nel lungometraggio, in cui una cassetta mostra senza censure le terribili rappresaglie dei militari ceceni, forzandoci ad assistere a qualcosa che non avevamo minimamente preventivato. Nell’epoca della scelta dei contenuti, del voyeurismo dell’orrore sotto controllo da ingerire quando ci pare e piace, Balagov ci ricorda che la disperazione non bussa: irrompe. Una lezione sufficiente per attendere, con grande entusiasmo, i prossimi passi di un autore già in marcia.
Voto: 7,5 / 10