E ‘l peccator, che ‘ntese, non s’infinse,
ma drizzò verso me l’animo e ‘l volto,
e di trista vergogna si dipinse.

(Inferno – Canto XXIV: VIII cerchio, VII bolgia: i ladri)

 

La vergogna è un’emozione autocosciente e per comprenderla pienamente dobbiamo ricordare che, a differenza degli eventi semplici che possono suscitare emozioni primarie, come un odore sgradevole può provocare disgusto, quando lo stimolo delle emozioni implicano un giudizio su di sé, allora siamo nel campo dei processi cognitivi. Infatti, le emozioni dell’autoconsapevolezza dipendono esclusivamente da ciò che pensiamo di noi stessi. Per questo motivo potremmo definirla la più umana delle emozioni perché tipicamente umana, come il senso di colpa, la superbia, l’invidia, l’orgoglio, appartenente al gruppo delle emozioni definite autoriflessive o dell’autoconsapevolezza. La storia dell’origine della vergogna narrata dall’Antico Testamento, nel libro della Genesi, ha avuto una influenza persuasiva nel pensiero occidentale attraverso tre eventi cruciali: Adamo ed Eva, curiosi e tentati dall’ignoto, disobbediscono a Dio e mangiano la mela. La loro curiosità li porta a conoscenza della conoscenza di se stessi che, a sua volta, genera la vergogna. Infatti, la colpa, l’orgoglio, come la vergogna, chiamano in causa il giudizio che abbiamo del nostro comportamento in relazione agli altri e/o a ciò che abbiamo svolto. Gli psicoanalitici definiscono vergogna il sentimento della nudità dei genitali, ma è, invece, la conseguenza di ciò che pensiamo del nostro comportamento. Sono quattro i processi cognitivi che contribuiscono alla formazione della vergogna: a) Modelli, regole e scopi, b) Giudizio su azioni, pensieri e sentimenti, c) Responsabilità, d) Valutazione globale o specifica. Nel primo modello vengono racchiuse le regole, i modelli e gli scopi che ci costruiamo sin da piccoli grazie all’insegnamento della famiglia. Il sistema di valori sarà determinato dai nostri genitori, dagli amici e poi da ciò che costruiamo come obiettivi e modelli comportamentali. Il secondo nucleo di processi riguarda il giudizio che abbiamo sviluppato in base al sistema di valori acquisito secondo il quale valutiamo il nostro comportamento. La responsabilità del nostro comportamento ci spingerà a giustificarne il risultato. Ecco perché, molto spesso, arriviamo alla conclusione esonerante dal fallimento attribuendone la causa agli altri, al sistema sociale, alla cultura, al contesto. La negazione della responsabilità consente di sfuggire sia ai sentimenti di colpa, che a quelli di vergogna ed è una via di fuga oggi molto diffusa e incentivata dai media, attraverso un uso superficiale o distorto delle nozioni o delle interpretazioni della psicologia. Il quarto nucleo di processi cognitivi riguarda il modo in cui guardiamo a noi stessi, cioè se diamo un giudizio globale o specifico: per globale intendiamo il Sé totale in cui la coscienza non si concentra sull’azione ma su tutta la persona (‘Io sono violento’). Per specifico intendiamo la valutazione sul compito (‘Ho dato uno schiaffo a mia moglie’). Quando ci troviamo nella valutazione globale si sviluppa l’esperienza della vergogna che diventa così insopportabile e dolorosa da portarci a desiderare di eclissarci, allontanarci e, addirittura, morire. Quindi, la vergogna è il prodotto di processi cognitivi che comportano: un giudizio negativo sulle proprie azioni comportamentali in quanto inadeguato rispetto agli standard accettati; l’assunzione della responsabilità del fallimento; e, per concludere, un’autovalutazione globale. Alcuni studi asseriscono che già nel neonato sono presenti sentimenti di vergogna e colpa, ma quando parliamo di processi cognitivi, siamo costretti a scartare questa ipotesi, visto che il neonato non è in grado ancora di elaborare razionalmente tali sentimenti. Michael Lewis, psichiatra americano e studioso dello sviluppo emotivo del bambino, in un suo studio del 1979, avanza l’ipotesi che la coscienza emerga intorno ai due anni di età. Infatti, il bambino, verso i diciotto mesi, comincia a utilizzare i pronomi e gli aggettivi personali, io e mio, dando prova di possedere un linguaggio di autocoscienza. Inoltre, nel gioco con lo specchio, il bambino si riconosce e, utilizzando il gioco simbolico della fantasia, sa applicare al reale la finzione: quindi, sviluppa la capacità di autoreferenzialità. Per questo motivo Lewis sostenne che nel bambino, intorno ai 15/18 mesi si sviluppa una vita emotiva ricca di emozioni definite esposte, come l’imbarazzo, l’empatia, l’invidia. Queste emozioni, però, non conservano il giudizio che si rivela solamente intorno ai tre anni, periodo in cui si presentano modelli, regole e scopi e che consentono ai sentimenti di vergogna e di autovalutazione, di fare il loro ingresso. È da tener presente che la vergogna è un’emozione che dipende, soprattutto, dalle esperienze di socializzazione, per questo motivo ci sono differenze individuali. Infatti, coloro che hanno avuto genitori proponenti modelli troppo alti, nel corso del tempo, assumono emozioni e sensazioni molto più forti rispetto ad altri. Per esempio, quando ci sono modelli troppo esigenti, il bambino che torna a casa e dichiara di aver preso un buon voto, non riceverà un elogio, ma gli si dirà che deve fare meglio per prendere un voto ancora più alto. La reazione del bambino è una risposta concentrata sulla personalizzazione del fallimento, perché il proprio concetto globale di Sé è stato ferito dall’osservazione del genitore. I fattori di socializzazione subentrano anche quando si dovrebbe accettare la responsabilità personale degli insuccessi (malattie, morti, fallimenti economici …) Il sesso è una variabile che mostra quanto si possano avere reazioni diverse: le femmine, secondo gli esperimenti, raccontano di alimentare sentimenti di colpa e di vergogna più dei maschi tendendo a sviluppare un’attribuzione di responsabilità interna e globale con reazioni depressive anziché aggressive. I maschi, invece, si concentrano maggiormente sul compito specifico e meno sull’immagine globale di sé. Alcuni esperimenti hanno dimostrato che l’influenza della socializzazione determini il sentimento di responsabilità nei bambini. Infatti, alcuni bambini di tre anni sono stati sottoposti a test, alcuni semplici, altri complicati. Davanti all’insuccesso, i genitori delle bambine assumevano giudizi più negativi che non verso i maschietti. Questo e altri studi dimostrano che i sentimenti di colpa e vergogna possono essere orientati e sviluppati in base al contesto sociale di appartenenza. I modelli educativi possono sviluppare reazioni di tipo globale – interno. Se, infatti, una madre ritirasse il suo amore, cioè allontanasse il suo amore dal bambino (per esempio, una madre di fronte alla trasgressione del bambino mostra un comportamento freddo e di disapprovazione rifiutandogli l’amore, il sorriso, l’affetto) procurerà, come reazione nel piccolo, un sentimento di attribuzione negativa interna globale. Al contrario, ricorrere al dialogo cercando di spiegare l’errore, solleva la questione del sé e permette al piccolo di concentrarsi sull’accaduto e non sulla sua interiorità. Se già all’età di tre anni sviluppiamo le emozioni autocoscienti, dobbiamo tener conto che l’elaborazione di questo processo, dura tutta la vita. Certo, bisogna sottolineare che laddove l’emozione naturale della vergogna, mostrasse uno sviluppo (come per le altre emozioni che implicano un giudizio di valore) per eccesso o per difetto, veniamo a trovarci di fronte a una patologia. In conclusione si può asserire che la cultura influenza la crescita e la vita emotiva degli esseri umani. Molte culture e religioni sono giudicanti, dominanti e umilianti, perché tendono a far sviluppare il sentimento della vergogna e della colpa. Va anche aggiunto che molti sminuiscono il campo di studi della psicologia che diventa, nelle mani dei media, uno strumento di deresponsabilizzazione dell’individuo nei confronti del crimine e della violenza, ricorrendo, così, a interpretazioni disinvolte e gratuite della libertà di scelta dell’essere umano. Dunque, non è la scienza che sta proponendo, in questa epoca storica, la società degli irresponsabili (Silvia Bonino). Chi studia le emozioni autocoscienti, sa perfettamente quanto sia complicato e complesso questo percorso che riguarda il sentire e il comportamento umano. Molte variabili si influenzano e si modificano a vicenda facendo i conti con l’inafferrabile io, come viene definito da Hart, dotato di cognizione, capacità di autoanalisi e di autoreferenzialità.

Bibliografia – ‘Il sé a nudo’ (Michael Lewis, Alle origini della vergogna,  Giunti)

In copertina, opera di Alfio Giurato.

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