Partito da Catania per il secondo anno consecutivo il tour dei dodici semifinalisti del Premio Strega, grazie al Catania Book Festival, evento ideato e organizzato da Simone Dei Pieri e dallo staff di giovani e qualificati promotori culturali al suo seguito.
Presso l’auditorium G. De Carlo del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania, ex Monastero dei Benedettini, sabato 20 aprile u.s., oltre 400 persone hanno potuto incontrare quasi tutti gli scrittori in lizza e apprendere importanti aspetti e particolari di ogni trama dalla viva voce di ciascuna/o, dietro intervista di Mattia Insolia e Lorena Spampinato, entrambi giovani scrittori già affermati. Assente Paolo Di Paolo, autore di “Romanzo senza umani”, edito da Feltrinelli e proposto da Gianni Amelio, che non è potuto intervenire.
«L’Università è di tutti e di chi si spinge a immaginare un mondo diverso, che è quello che fa chi scrive». Con queste parole d’accoglienza ha aperto l’incontro la direttrice DISUM, Marina Paino. L’evento ha registrato infatti anche la collaborazione dell’Università di Catania, della Fondazione Federico II- Regione Siciliana, del Comune di Catania e della società di consulenza Balena Bianca, rappresentati sul palco, oltrechè dalla direttrice DISUM, Marina Paino, da Giuseppe D’Ippolito in rappresentanza della Fondazione, dall’assessore comunale alla Pubblica Istruzione, Andrea Guzzardi, per il Comune di Catania e da Valerio Valzelli per Bper Banca, sponsor nazionale del Premio Strega.
Romanzo storico, biografico, autobiografico, insieme al tema degli affetti e delle relazioni familiari sono in gran parte presenti come lo scorso anno, in una sorta di continuità che però cambia approccio all’approfondimento e muove da altri angoli visuali, mentre la cronaca giornalistica di decenni non troppo l’ontani è fonte d’ispirazione narrativa di più testi.
Il romanzo storico di Sonia Aggio, autrice di “Nella stanza dell’imperatore” (Fazi), proposto da Simona Cives, porta i lettori nell’Impero romano d’Oriente alla corte dei Basileus di Bisanzio e racconta l’ascesa al trono e la parabola di vita dell’imperatore bizantino Giovanni Zimisce, cercando di ricostruirne le fragilità. «Ho pensato alla situazione sovrannaturale, alle streghe, per creare una situazione d’incertezza e dare umanità a una persona esistita più di mille anni fa».
“Adelaida” (Nutrimenti) di Adrián N. Bravi, romanzo proposto da Romana Petri, è il ritratto lucido e appassionato di Adelaida Gigli, una delle figure femminili più sorprendenti dell’Argentina del secolo scorso, che va tuttavia oltre la biografia. Pronta a nascondere armi e dissidenti nella sua casa, a ridere in faccia al potere, la donna «Adelaide era una di quelle figure che hanno segnato la mia vita dopo che l’ho conosciuta alla fine degli anni ‘80 – dice Bravi, suo connazionale. Una protagonista della vita argentina che non avrei mai pensato di trovare. Frequentare lei era per me come riscoprire le mie radici».
Donatella Di Pietrantonio con “L’età fragile” (Einaudi), proposto da Vittorio Lingiardi, rappresenta un dialogo a tre, tre generazioni diverse, e richiama un episodio di cronaca accaduto negli anni Novanta nel cuore dell’Abruzzo appenninico. La vulnerabilità è compagna di tutti i personaggi e tratta anche un duplice femminicidio avvenuto in un bosco, che la Di Pietrantonio dice dimenticato inspiegabilmente, considerata la piccola comunità abruzzese. «Non avevo mai pensato di scrivere sulla violenza di genere perché temevo che potesse diventare un’operazione programmatica. L’avevo escluso».
Tommaso Giartosio in “Autobiogrammatica” (minimum fax), proposto da Emanuele Trevi, narra di un’esistenza intrecciata con la sacralità del linguaggio del lessico famigliare. Se le parole sono importanti, per Giartosio lo sono ancor di più nell’accezione acquisita all’interno dei rapporti familiari. «Ginzburg racconta benissimo il lessico famigliare da cui ciascuno di noi può riconoscersi. Il rapporto con i genitori è solo accoglienza ma anche conflitto. I genitori, e i genitori dei nostri genitori, ci consegnano un mondo al quale ci possiamo riconoscerci anche no. L’unico modo per raccontare la propria vita senza cadere nell’auto referenza per me è stato proprio passare dal linguaggio».
Antonella Lattanzi con “Cose che non si raccontano” (Einaudi), proposto da Valeria Parrella, dice di aver tratto il titolo da una frase de “La camera azzurra” di Simenon. Un romanzo autobiografico molto intenso, dove sono protagonisti il corpo e il dolore, anche di altre donne, osservati durante la propria esperienza. «Ho visto attorno a me tutto un mondo di gente che ha paura di raccontare. Ho pensato a tutti i corpi medicalizzati devono avere una voce e ho pensato che dalla rabbia poteva nascere un romanzo».
Valentina Mira è autrice del romanzo “Dalla stessa parte mi troverai” (SEM), proposto da Franco Di Mare, e riesamina la storia di Mario Scrocca, un giovane ingiustamente arrestato per due omicidi nell’ambito della strage di Acca Larentia e che venne trovato morto impiccato in una cella del carcere di Regina Coeli. Il romanzo è stato al centro di molte polemiche da parte del centro destra italiano. «La pacificazione può esserci ma solo se c’è una presa di responsabilità. – ha detto- C’è differenza tra essere state vittime e fare del vittimismo, e legittimare posture aggressive che portano ad essere carnefici».
Melissa Panarello in “Storia dei miei soldi” (Bompiani), proposto da Nadia Terranova, racconta sé stessa con la creazione di un doppio letterario, sul tema del denaro. «I soldi rivelano quello che tu sei e raccontano la tua storia; così come il sesso sono trattati come un tabù, come fossero qualcosa di sporco.» Melissa – protagonista – dopo anni incontra Clara, l’attrice che la interpretò nella trasposizione cinematografica del suo romanzo (Panarello è autrice del bestseller datato 2003 “Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire”). Lo ha ambientato a Roma perché «Roma è una città dove ognuno è nessuno. La città della gloria eterna che però chi la vive lo fa solo per un momento.»
Approccio letterario a un dramma ecologico e sociale è quello di Daniele Rielli, autore del romanzo a più voci “Il fuoco invisibile. Storia umana di un disastro naturale” (Rizzoli), proposto da Antonio Pascale. Partendo dalla Xylella, il batterio che nel mondo ha causato la più grave epidemia delle piante e che in Puglia ha distrutto ettari di ulivi, con tutta la tradizione che racchiudono, ha voluto dare voce a tutte le persone che fin qui non l’hanno avuta, pur avendo perso l’uliveto e la propria storia familiare. «Mio padre e mio nonno sono salentini; la xylella è una normale malattia delle piante ma da questa si scatena una caccia alle streghe, con tanto negazionismo. Negazionismo che funziona perché offre ingredienti semplici ma ben scritti: il cattivo straniero, e gli ulivi, creature molto simboliche». Un romanzo che è anche biografia familiare.
Con “Aggiustare l’universo” (Mondadori), proposto da Lia Levi, la scrittrice Raffaella Romagnolo descrive l’Italia del dopoguerra dove regnano le macerie e narra di una giovane insegnante, Gilla, che ripara oggetti segnati dal tempo e vite segnate dal dolore. E poi c’è Francesca, che proviene dall’orfanotrofio e che non parla mai. Il suo vero nome è Ester ed è una “vittima della difesa della razza”. Ambientato a Genova. «Genova fu la città più bombardata dalla seconda guerra mondiale e partecipò in massa alla Resistenza. Per la protagonista passare di lì non ha nulla di eroico, semmai è doloroso».
Chiara Valerio in “Chi dice e chi tace” (Sellerio), proposto da Matteo Motolese, offre un ritratto di donne in costante mutazione, un’indagine tra silenzi e dicerie di provincia ambientata a Scauri, sul Tirreno. La protagonista si muove in un ambiente dove la diversità non è ben vista. «Non si fa la gradazione degli amori. L’amore non è buono né cattivo anche se misuriamo la lunghezza dei matrimonio come misura dell’amore. Ebbene la mia protagonista, Lea Russo, mi sta simpaticissima perché lei non ci sta». Così Chiara Valerio alla domanda dell’intervistatrice, se nel suo romanzo ci siano solo piccoli amori, anziché i consueti grandi amori.
In “Invernale” (La nave di Teseo), di Dario Voltolini, romanzo biografico sul padre, proposto da Sandro Veronesi, c’è un protagonismo della carne. L’autore rievoca l’immagine del padre di mestiere macellaio nel mercato torinese di Porta Palazzo; un padre scomparso prematuramente che ispira una preghiera nata dal ricordo e dall’amore filiale. La malattia diventa trasformazione del corpo ma anche l’occasione per fare esperienza di un nuovo linguaggio. «Ho impiegato 40 anni a scrivere questo libro, perché volevo essere certo di poter maneggiare lo strumento della scrittura per raccontare mio padre».