Le stagioni della vita (“Ad ogni mese/ la propria biancheria”) narrate in versi attraverso l’allegoria odorosa e ridente del “bucato”. Dal principio, “poi arrivò l’uovo a rammendare/ il rammendabile”, alla “scelta del sapone”, alla “centrifuga ubriaca di panni”, ai “Giri di valzer nei giorni di festa”, alle “macchie che non vanno via”, ai “grembiulini rosso quadrettati” con i quali la nonna vestiva le bottiglie, alla “trasparenza del merletto”, ai calzini che si divertono “a mettere scompiglio/ in un comune giorno di bucato”, alla “memoria delle vesti/ smesse e ritrovate”, a “colei” che “seduta in prima fila/ ha già acquistato l’intera collezione”, non manca nulla. “Abitare gli abiti” di Lina Maria Ugolini, pubblicato dalle raffinate “Edizioni Del Foglio Clandestino”, è un originale connubio tra suono e senso. Di pagina in pagina, abitiamo sconfinati spazi di un “tessuto” sapiente, un linguaggio “resistente”; leggiamo “parole eterne in opere di bene” che candeggiano l’insidiosa atonia dell’esistenza.
Qual è stata la scintilla che ha portato il tuo Abitare gli abiti?
La scommessa nonché il bisogno di dare una forma poetica ad azioni quotidiane prettamente umane. La scintilla poi è scattata dal titolo trovato per le liriche: Abitare gli abiti, una paronomasia tra parole volta a stabilire un condotto metaforico, esistenziale.
Ho iniziato a scrivere pensando già di dividere il libro in due sezioni: Lavaggi e Abitare gli abiti. Pagine per consigli poetici su come lavare e stendere la biancheria, togliere macchie difficili da vari tessuti, per passare poi a un guardaroba d’abiti d’occasione ed eleganza, giacche sdrucite dal tempo. Accessori vari per parvenze d’esistenze, le mutande portate in testa da un matto, il bavaglino di un vecchio tornato bambino. Stoffe affidate al vento della vita da un Sarto creatore e paziente dopo un fiat di seta.
Con i tuoi versi, “Ci furono telai di solitudine/ nella musica dei sospiri”, ti chiedo: la poesia può colmare la pensosa solitudine del poeta?
La poesia è un abito da abitare, come scrisse anche Anne Stevenson. L’accostamento induce la parola poetica a farsi casa quanto stoffa. Nella solitudine il poeta trova dimora, un armadio con il quale vestire ogni uomo nonché se stesso nella consapevolezza d’una nudità comune e fraterna.
In che modo la (tua) vita diventa linguaggio?
Sono nata e vivo per mestiere nella poesia e nella musica, linguaggio proteiforme e universale. Credo d’aver ereditato proprio dalla musica l’attitudine a sentire d’istinto il suono delle parole per comporre, plasmare sensazioni, sentimenti, immagini. Il vissuto di chi scrive è fondamentale nella creazione letteraria. Porto sempre con me una penna, un quaderno di scrittura, un libro di lettura. Sono sempre in viaggio, osservo e annoto senza mai (giogo lieve quanto annoso) distrarmi. Il reale così si trasforma, la vita in ogni poesia addita la Speranza.
Vero è, come scrivi, che “S’impara a vivere nella piega di un orlo/ in un bottone, nel progetto di un modello di carta.”, altrettanto lo è che la poesia è (anche) la lingua dell’invalicabile?
Ho scritto una breve postfazione alla raccolta per chiarire la poetica della scrittura: Senza orlo, le sfilature del poetabile. «Per me la poesia non traccia mai recinti, non innalza muri, non segna linee che siano rette marcate. Il poeta vive nel tratteggio, nell’indefinito, nello sfumato, in un bottone smarrito, in un’asola socchiusa, in un buco da sarcire, in un orlo che non c’è, in una piega che per grazia di pagine si fa abito da abitare, dimora di una sfrangiatura in affitto da lasciare a tempo debito.»
La forma e il “suono” quanto incidono sulla “verità” della parola poetica?
La forma per me è il guscio necessario al nutrimento dell’uovo, indispensabile a contenere la rivelazione della parola. C’è poi un momento in cui l’uovo si schiude. La parola esiste in quanto suono desiderante nel conoscere e nominare il mondo. Atto purissimo d’amore e verità.
Qual è stato, ad oggi, il dono più prezioso ricevuto in dono dalla poesia?
Il poeta è colui che preserva e mantiene bianco il cuore. Questo il mio dono, la mia gemma segreta.
Quali possibilità hai potuto “abitare” grazie alla poesia?
Infinite quanto il dolce naufragio dell’immaginare.
Oggi – in un tempo martoriato dall’assenza di ascolto quanto da una certa ‘afasia’ – ovvero incapacità sempre più diffusa di chiamare le ‘cose’ con il loro nome con gravi ripercussioni sulla “salute” della parola – cosa può la poesia?
La poesia è clorofilla, ossigeno, vita della parola. Il pensiero poetico muta e si rinnova, non conosce mai stanchezza. È perpetua fanciullezza, disordine nell’ordine, essenza e seme. Niente e nessuno può distruggerla, violarla. La poesia è istinto ragionato, sorgente e mare.
Per concludere salutando i nostri lettori, ti invito a scegliere una tua poesia dal tuo libro “Abitare gli abiti” – (riportandola gentilmente) – e, nel contempo, ti invito a portarci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere.
Prima di tutto devo ringraziare Gilberto Gavioli delle Edizioni Del Foglio Clandestino, un piccolo grande editore di Milano Sesto San Giovanni, rigidissimo nella selezione dei testi da pubblicare. Un editore che non chiede denaro all’autore ne obbligo d’acquisto copie. La vera poesia è rara quanto una perla (non coltivata) in un’ostrica. Mandai la raccolta alla redazione nel 2017. Gilberto Gavioli mi scrisse che vi vedeva un libro felice, leggibile da tutti, anche da chi abitualmente non segue la poesia. Poi siamo rimasti tutti chiusi in un tempo sospeso…
Rispetto alla prima stesura ho solo aggiunto due testi. Il primo quasi in appendice, dedicato al tessuto non tessuto delle mascherine: Il filtro toglie caffeina alle parole/porge alla voce una museruola. Solo il poeta vi affida pause di silenzio/per meglio masticare semi e noccioline/a ruminare emozioni private. Il secondo, In vane pose i vestiti nel vento… ispirato alla splendida copertina di Monica Auriemma.
stoffe
In principio ci furono le stoffe
tramate da fusi di fiaba
un fiat di seta
avvolto in zucchero filato
per dire di farfalle
tornate in vita in ali di foulard.
Ci furono telai di solitudine
nella musica dei sospiri
intrecci di fibre naturali
raccolte tra i campi
all’origine dell’uomo
quando nudo seppe
che doveva essere vestito.
Stoffe in merceria
stoffe in sartoria
in attesa avvolte
stoffe segnate dal gessetto
liscio e appena azzurro
misurate dal metro di legno
tagliate da forbici splendenti
in un solo affilato fiato.
Stoffe che furono argilla
per forgiare indumenti nelle varie taglie
a ciascuno la propria misura
così come volle un barbuto
Sarto paziente, dimenticato dal mondo
il Sarto con l’indice in un ditale proteso
nel contatto verso l’uomo
ditale all’uomo consegnato
dopo un ago e una croce.
S’impara a vivere nella piega di un orlo
in un bottone, nel progetto di un modello di carta.
Le stoffe furono abitate
quando abitati gli abiti
dissero di noi.
***
l’ammorbidente
non permette al bucato di spugna
di restare al dente
piuttosto lo fa scotto
cedevole per la carezza
specie l’accappatoio
che nel dopobagno
tampona le gocce
lasciate dalle docce
umido poi giace sul pomo che lo regge
sciolta la cintura da ogni laccio
nell’attesa di ripetere l’abbraccio.
Presenteremo “Abitare gli abiti” il 25 novembre (alle 19.00) da Open a Catania per l’allestimento registico di Paola Greco, con un reading in passerella. Insieme a me ci saranno gli attori Gianni Salvo ed Emanuela Pistone, gli abiti di Elisabetta Censabella. Sfilerà in gesti di danza Grazia Cernuto. Canterà Anna Al Contrario con Riccardo Privitera alla chitarra.
(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 20.11.2022 pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).