editoriale
Questo pezzo non sta in piedi. Come un burattino senza burattinaio. Si svolge e involge su se stesso. Autosmantellato. A brandelli. Articolo disarticolato. Avanzi di scrittura. Anche il grido recita dissonanze, sfasa di volume e intensità. Ricoperto da voci sonanti compatte e allineate. La voce del padrone. Il discorso del padrone. È ovunque. Non si può rispondere agli slogan con anti-slogan. Cifre soppiantano parole. Disarcionare il cavallo galoppante delle paure mediatiche inoculate senza ritegno. Bisognerebbe. (Mentre scrivo mi sento derubato dei significanti. Della loro solare potenzialità). Non è tempo di giochi di parole, Le parole hanno fatto il loro corso1, i linguaggi, gli alfabeti no. Strumenti, strutture e codici del potere. Per tenere un segreto basta esibirlo. Vedasi La lettera rubata.
Esercitarsi. Fare i vocalizzi sulle tragedie. Crocodile tears.
La bambina del barcone muore. Bambina. Barcone. Muore.
La verità è nel suo rovescio?
XI
“Generalmente si ritiene che quelli che hanno dimostrato la massima incapacità in fatto di logica sono proprio coloro che si sono proclamati rivoluzionari. Questo rimprovero ingiustificato proviene da un’epoca anteriore, in cui quasi tutti pensavano con un minimo di logica, con la palese eccezione dei cretini e dei militanti; in questi ultimi la mancanza di logica si accompagnava spesso alla malafede, voluta perché ritenuta efficace. Ma oggi non è possibile trascurare il fatto che l’uso intensivo dello spettacolo ha, come c’era da aspettarsi, reso ideologica la maggioranza dei contemporanei, per quanto solo a tratti e a sbalzi. La mancanza di logica, ossia la perdita della possibilità di riconoscere immediatamente ciò che è importante e ciò che è secondario o non pertinente; ciò che è incompatibile o che al contrario potrebbe essere complementare; tutto ciò che una data conseguenza implica e ciò che, nello stesso momento, vieta; tale malattia è stata deliberatamente iniettata a dosi massicce nella popolazione dagli anestesisti-rianimatori dello spettacolo. I contestatori non erano affatto più irrazionali dei sottomessi. Solo che in loro questa irrazionalità generale è visibile più intensamente, perché ostentando il loro progetto hanno tentato di effettuare un’operazione pratica, si trattasse anche solo di leggere certi testi dimostrando di capirne il senso. Si sono assegnati vari obblighi di dominare la logica e perfino la strategia, che è precisamente il campo completo dello spiegamento della logica dialettica dei conflitti; mentre al contrario, proprio come gli altri, anche i contestatori sono privi della semplice capacità di orientarsi con i vecchi strumenti imperfetti della logica formale. Non se ne dubita riguardo a loro, ma non ci si pensa affatto a proposito degli altri.
Così l’individuo, impoverito e segnato nel profondo da questo pensiero spettacolare più che da ogni altro elemento della sua formazione, si mette subito al servizio dell’ordine costituito, mentre la sua intenzione soggettiva poteva anche essere completamente contraria a tale risultato. Egli seguirà essenzialmente il linguaggio dello spettacolo, perché è l’unico a essergli familiare: quello in cui gli è stato insegnato a parlare. Magari vorrà mostrarsi nemico della sua retorica; ma userà la sua sintassi. È uno dei punti più importanti del successo ottenuto dal dominio spettacolare.
La scomparsa così rapida del vocabolario preesistente è solo un momento di questa operazione, e la favorisce”.2
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1 M. Benedetti, Tersa morte, Mondadori, Milano, 2013, p. 14, v. 3.
2 G. Debord, Commentari sulla società dello spettacolo, in La società dello spettacolo, Baldini&Castoldi, Milano, 2013, cap. XI, pp. 208-209, trad. it. di Fabio Vasarri.