Andrea De Alberti, “la poesia è come un tanare in una pozzanghera una carpa dorata”.

«Come è temporanea questa gioia / che mai ci aveva e ci prendeva sul serio. / Ho consumato anniversari con altre cose / più importanti, l’indolenza delle sere, / con le tracce di un carbonio senza prove. / Alla fine come potremo definirci? / Esseri o prodotti di esistenze / a un minuto dall’abisso? / Qualcosa ci sostiene. Non so se è il nostro scheletro comune, / o un’idea di essere all’interno di ogni specie». S’intitola Il vuoto questa poesia scelta dal nuovo (peregrino) libro di Andrea De Alberti, Dall’interno della specie, edito da Einaudi. Leggerlo equivale a immergersi «nello scandalo innaturale che ci trattiene», a «camminare verso un altro sdoppiamento», a intuire che «chi vive abbastanza rimane per sempre», che occorre «pensare all’evoluzione della specie / come a una ramificazione cerebrale / che lotta sottoterra per difendersi dal tempo», che «quanto si è figli è sempre la prima / parola quella che conta», un po’ (forse) come quando si è poeti. Versi dettati da un pulsante desiderio antropologico che ne delinea nettamente i tratti somatici. Versi, nell’eco voluto (e aperto) di alcune letture, animati da umana animalità.

Qual è il ricordo legato alla tua prima poesia?
La prima vera poesia la scrissi il giorno stesso in cui morì mio padre. Era il 13 ottobre del 1999. Volevo metterla sulla sua tomba. Lo dissi a mia madre: mamma ho scritto una poesia per papà. Invece poi andò in un libro, nel mio prima libro di Interlinea del 2007, Solo buone notizie.

Quali i poeti (e, più in generale, gli autori) significativi per la tua formazione?
Direi Montale, Caproni, Luzi, Sereni, Giudici e poi Baldini. A Baldini ci arrivai tardi, all’Università. Me lo consigliò il mio professore di Storia della Lingua italiana Angelo Stella.

Qual è – nell’arco della giornata – il momento ideale per dedicarsi alla poesia (o, più genericamente, alla scrittura)?
Quando inizio a scrivere il momento ideale è la mattina presto oppure nel pomeriggio, dalle 15 alle 18. Di notte a volte, quando torno dal lavoro, mi vengono dei dubbi su quello che ho scritto di giorno e che appunto su un quadernetto per riprenderlo il giorno successivo.

Qual è la tua ‘attuale’ spiegazione/definizione di poesia?
Ne ho due. Una ricavata da un ricordo della mia infanzia: la poesia è come un tanare in una pozzanghera una carpa dorata. La seconda è legata al mio lavoro in osteria e a un piatto di Adrià. Si tratta di una sfera bianchissima fatta col gorgonzola ma che sembra un dolce al cioccolato. Il cliente l’assaggia convinto di mangiare cioccolato ma poi si rende conto che è gorgonzola. La poesia è un gioco di magia fatto con materiale grezzo della realtà. Provoca stupore in chi l’assaggia e lo riporta poi con i piedi per terra.

In che misura una poesia ‘somiglia’ al poeta che l’ha scritta?
C’è lo stesso respiro del poeta, il suo ritmo interiore, la sua biblioteca, le sue radici, il suo percorso tutto condensato in un tracciato. Storia e geografia si uniscono in una passeggiata dove senti il battito del polso e il respiro del poeta.

La forma quanto incide sull’essenzialità della parola poetica?
Forma e contenuto devo coincidere in un’unica cosa, in un’unica struttura. Magrelli cita come esempio il nastro di Moebius.

Quando una poesia può dirsi compiuta?
Quando finisce di parlarti insieme alle altre poesie. Si mettono d’accordo tutte insieme e per un po’ non ti parlano più.

La poesia può (e se può in che modo) restituire ‘purezza’ alla parola?
La poesia spesso compie un’appropriazione indebita delle parole, lo fa per restituire alle parole una dignità, svelarne potenzialità, punti ciechi a volte. La purezza sta nello sguardo che una parola riesce ad offrire una volta scritta sulla pagina, nella capacità di aprire nuove immagini da un’immagine iniziale.

Oggigiorno, qual è (ammesso ne abbia uno) l’incarico della poesia?
Quello che ha avuto da sempre: creare miti, ampliare la vita, comunicare un’esperienza, condividere storie, unire persone.

Riporteresti una poesia o uno stralcio di testo nel quale all’occorrenza trova rifugio/conforto?
“Detto alla neve: ‘Non mi abbandonerai mai, vero?” Andrea Zanzotto da Sì, ancora la neve in La Beltà.

Per concludere, ti invito a scegliere (riportandola) una tua poesia (dal libro “Dall’interno della specie”, Einuadi, 2017) per salutare i nostri lettori.
Quella che dà il titolo alla raccolta:

Eppure nel frammento di ogni memoria,
nella natura di un sorriso che supera a volte il nostro
sguardo
accarezziamo la vertigine con una mano
nello scandalo innaturale che ci trattiene,
eppure, dall’interno della specie,
ognuno tenta di lenire il proprio male con una scheggia,
con le prove concepite fuori da ogni possibile
orizzonte di stupore.

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(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 29.05.2017, pag. 23, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”, Cultura).

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