Angelo Santangelo, “La poesia è una creatura screziata di porcellana, sempre sulla soglia di un altrove e di un oltre”.

«Nella goccia di un assolo/ immobile rimarrà la fronte/ sepolta da pietre aguzzine./ La pozzanghera/ due occhi bambini scavati/ sarà quel silenzio sparpagliato:/ diniego d’acqua/ su mani abbrustolite dal dolore». Versi di Angelo Santangelo (nella foto di Rosa Lauria), schiudono “Screziature della porcellana”, la nuova raccolta pubblicata da “Le farfalle” di Angelo Scandurra al quale è dedicata. Un volume ricco di rimandi e accese metafore, organizzato in cinque sezioni (“Stille di un abisso”, “Mentre lava la pioggia”, “Burrasca in triplice variante”, “Postille del diluvio” e “Quadrivio in una scia di luce”), nelle quali zampilla, come scrive Rosalba Galvagno nella nota introduttiva, “un’originale semantica della liquidità sovente commista ad altre sostanze naturali o culturali”. Santangelo reclama «cura e ascolto» spingendosi negli affondi della complementarità, tra «perdersi e rinsavire», «stringersi e fuggire», «vivere e morire». Punta a «far emergere l’assolutezza», indaga «zone inquiete/ friabili», indaga l’esistenza «sparigliata e manomessa/ nei fili della speranza», «lo slancio gracile di prua». Indaga il «cielo trascurato in ore/ ed ore chilometriche»., fino alla «contiguità con l’oltre».

Qual è il ricordo (o un aneddoto) legato alla tua prima poesia?

Il mio primo approccio con la poesia è legato ad un aneddoto particolare che risale all’età dei dieci anni: ero solito spulciare e rovistare in maniera felicemente caotica nella libreria dei miei genitori; trascorrevo ore ed ore all’avanscoperta di mondi nuovi, insperati ed inattesi. Un giorno mi imbattei in una raccolta poetica di Angelo Scandurra, dal titolo Urlo di gabbiani (Biancamartina Editrice, 1975) e lessi questi versi che mi colpirono maggiormente: Nell’oasi della speranza/ sventola una bandiera/che ha conosciuto /il maestrale e lo scirocco./ “Non fiori ma opere di bene. Fu una scoperta straordinaria: fino ad allora, nella mia percezione di bambino, i poeti erano delle creature mitiche e leggendarie che vivevano in non so quale universo parallelo. L’aver appreso che una persona che conoscevo e che ammiravo – ai tempi Scandurra era il sindaco del mio paese, Valverde – era un poeta in carne ed ossa, fu una vera e propria rivelazione entusiasmante.

Quali i poeti (e, più in generale, gli autori) significativi per la tua formazione?

Oltre a Scandurra che ha rappresentato la mia iniziazione poetica, potrei annoverare Whitman, Kavafis, Rilke, Mandel’štam, Brecht, Strand come poeti stranieri; sicuramente gli italiani Montale, Pasolini, Fortini, Cappello sono stati molto significativi nella mia formazione; inoltre, tra le poetesse italiane, ho amato particolarmente Amelia Rosselli e Jolanda Insana. Ma faccio torto ad innumerevoli altre ed altri. Senz’altro, tra gli autori in attività, non posso fare a meno di citare De Angelis, Magrelli e la conterranea Maria Attanasio.

Quale (e per quali ragioni) poeta e relativi i versi che non dovremmo mai dimenticare?

Itaca t’ha donato il bel viaggio.
Senza di lei non ti mettevi in via.
Nulla ha da darti di più.

E se la trovi povera, Itaca non t’ha illuso.
Reduce così saggio, così esperto,
avrai capito che vuol dire un’Itaca.
Costantino Kavafis

Il viaggio per raggiungere l’isola, e non l’isola in cui si arriva, è il dono più prezioso. Così per la poesia: non l’approdo a verità consolanti e definitive, ma il tragitto della conoscenza, l’esercizio itinerante del dubbio, come tensione perenne allo svelamento di noi stessi nell’atto stesso della ricerca.

Qual è la tua ‘attuale’ spiegazione/definizione di poesia?

Definire la poesia, ovvero tracciarne i confini, è senz’altro un’operazione abbastanza complessa, tanto che lo stesso Montale, nel suo discorso alla premiazione per il Nobel, asserì che essa è “una entità di cui si sa assai poco”, nonché “un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo”. Aggiungerei, per tentare un abbozzo di definizione, che essa è una creatura screziata di porcellana, sempre sulla soglia di un altrove e di un oltre. Come non condividere le parole di Milo De Angelis che, alla domanda “Cosa è la poesia?”, rispose:
Forse nella punta di una matita, nella punta aguzza e fragile di una matita c’è il destino della poesia. A questo foglio – la cosa più vulnerabile del mondo – noi affidiamo la nostra verità, la nostra ombra, il nostro segreto, la zona nascosta e ardente della nostra voce, la parte più essenziale della nostra vita. Dentro questo alfabeto, che tra qualche secolo forse non esisterà più, noi custodiamo ciò che di più caro e insostituibile ci è stato dato. Strano paradosso della poesia: puntare alla permanenza e farlo con i mezzi più poveri e antichi e indifesi: fuori dall’attualità, fuori dal commercio, fuori dall’economia, fuori da tutto, a volte anche fuori da se stessi…

Quando una poesia può dirsi compiuta?

Solitamente scrivo di getto e non forzo mai la mano quando non c’è un movente che mi spinge alla scrittura. Dopo un primo abbozzo, ritorno soventemente al testo: mi arrovello molto, con un logorio mentale che può durare alcuni giorni, sugli aspetti fonici, stilemico-linguistici, nonché sintattici della poesia. Sono perennemente insoddisfatto e sempre sul punto di cancellare il testo intrapreso. È la lettura incessante, al limite della ripetitività, allo scopo di rintracciare un significante e un significato di cui avverto un’urgenza ineludibile, che mi fa resistere dal distruggere il testo in fieriÈ un agone tra il perdurare della poesia e il suo stesso svanire. Se essa perdura, nonostante i tentennamenti sempre in agguato, ecco può dirsi compiuta.

Assodato che non basta “andare a capo” per scrivere una poesia, immaginando di doverlo spiegare ai più giovani, quali sono (dal tuo punto di vista) gli “elementi” indispensabili per riconoscerla?

Se penso all’impervia sfida che da insegnante ogni giorno mi attende nel fare entrare in sintonia i ragazzi con la poesia, ovvero con il respiro della loro anima, direi che gli elementi indispensabili per riconoscerla, capaci di renderla irriducibile e strettamente necessaria, sono le parole, quelle e non altre, che si trovano ad interagire, secondo un ordito e una trama misteriosa e nel contempo unica, nello spazio di una pagina.
Il primo poeta deve aver sofferto intensamente quando gli abitatori delle caverne si mettevano a ridere delle sue folli parole. (Khalil Gibran)
Sono solito ripetere ai ragazzi questo pensiero di Gibran, perché possano riflettere sulla potenza evocatrice, emozionale, fascinosa, direi quasi “erotica” delle parole. Ogni parola in poesia è un unicum che squarcia il pressapochismo e l’indifferenza, aprendo mondi ed orizzonti inesplorati.

Oggigiorno, qual è (ammesso ne abbia uno) l’incarico della poesia?

ANTIGONE
E non fosti indulgente
in nulla verso i potenti, e non scendesti
a patti con gli intriganti, e non
dimenticasti mai l’ingiuria e sui loro
misfatti non crebbe mai l’erba.
Bertolt Brecht

Più che ad una funzione o ad un incarico ben preciso, penso che la poesia debba mirare ad incarnare il coraggio e la resistenza di Antigone, lontana da ogni forma di cortigianeria e servilismo nei confronti del potere. La sua benefica inutilità risiede nel non scendere a patti con la convenienza di chi erige piedistalli, fabbrica idoli e crea comode ed utili certezze. La poesia sta sempre in agguato, ai margini: solo così può essere veramente libera.

Riporteresti una poesia o uno stralcio di testo (di altri autori) nel quale all’occorrenza ami rifugiarti?

Quando, una volta distrutto l’abbozzo,
con zelo tieni saldo nella mente
un periodo netto, senza glosse,
stagliato nell’oscurità che hai dentro,
e lui, strizzando gli occhi, si tien saldo
nella trazione del suo impulso vero,
ecco, lui sta esattamente alla carta
come una cupola sta ai vuoti cieli.
Osip Mandel’štam

Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare una tua poesia dal libro, “Screziature della porcellana” (perché questo titolo?) e, nel contempo, ti invito a portarci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere.

Fin da bambino, sono stato attratto dagli oggetti in porcellana: gioielli, decorazioni, ceramiche, tutto ciò che fosse realizzato con questo pregiatissimo materiale. Un giorno, feci cadere involontariamente una bambola di porcellana di mia madre; per fortuna non si ruppe in mille pezzi, ma si screziò in alcune parti, soprattutto sul viso, assumendo delle striature e delle chiazze nella tonalità del grigio prevalente. Ecco quelle screziature, occorse alla raffinata porcellana, mi hanno sempre fatto pensare alla poesia come “materia screziata, macchiata, incandescente, franta, combattuta tra il buio («alone di buio») e la luce («luce impaziente»)”, come ha splendidamente sottolineato Rosalba Galvagno nel risvolto di copertina del mio libro. E così i poeti, creature fragili ma strenuamente resistenti agli urti e ai contraccolpi della realtà, sono i Giani bifronti della nostra epoca: porcellane screziate, finissime, rare, che viaggiano in mezzo a pesanti vasi di ferro.
Vorrei salutare i lettori, che hanno dedicato il loro tempo alla lettura di quest’intervista, con la lirica eponima Screziature della porcellana, dedicata al mio maestro fraterno Angelo Scandurra ed introdotta da alcuni versi di Luca Canali.

 

 

Screziature della porcellana

ad Angelo Scandurra

Eppure non ti infrangi
esile creatura
di porcellana.
Luca Canali

Nessuna spia di sole
per viandanti su sponde d’acqua.
L’inizio disatteso, procrastinata la fine.
Solo forre e santini negli interstizi.

Chi può deglutire ancora?

Fabbri di chicchessia depongono
parole su seni di madri – guerriere,
forgiano spade e serpi per arte
o condanna.

Mentre poeti di porcellana
si squagliano al sole
e i loro dolori sono tesori
negli abissi.

 

 

 

(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 25.07.2021, pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).

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