Autointervista a Rosa Matteucci raccolta da se medesima

Rosa Matteucci
Rosa Matteucci

La pratica dell’autointervista somiglia all’autoerotismo o onanismo, latealmente condannato dalla Bibbia, dove il sor Onan fa una fine indecorosa. Ci rende un po’ tristi e come orfane erranti. Nella vita ho imparato a indossare maschere diverse, ne posseggo una invidiabile collezione. In genere sono molto felice di essere viva, e ogni mattina, così come fanno i cani, quando mi desto sono lieta di non essere spirata nel sonno. In me convivono la bambina che aveva dieci anni nel 1970, una stregaccia coi porri pelosi esperta di magia, e una seduttrice versione bondage, la Turandot che pone quesiti e taglia teste a tutto andare. Oltre alle maschere, che hanno valenza diplomatica e sono strumenti di sopravvivenza spicciola, ho sempre con me una borsa dell’acqua calda, che chiamo “ il borsettino”. Sono una drogata di borsettino, in inglese borsettino addict, infatti dall’infanzia mi trascino dietro lo spettro dell’abbandono, il terrore di venir abbandonata dai genitori , il borsettino mi dà senso di protezione. Di norma è pieno di acqua bollente e lo tengo appoggiato a varie parti del corpo con uno scialle tibetano in versione obi. L’accessorio talora è talmente bollente, che mi vengono degli edemi, macchie rosse sparse artisticamente sulla pancia, che assumono la forma di orride spire serpentesche, tipo l’acconciatura di Medusa. Di questi edemi tanto mi vergogno e parlandone spero di trovare la concreta solidarietà nei lettori. Non condannatemi per questo vizio, vi prego. Siccome sono drogata il borsetto bollente mi accompagna anche durante i mesi più caldi, anche quando si boccheggia, ma in questo caso nella versione estiva, a dire l’acqua è tiepida. Il borsettino è una patella metafisica e il mio principium individuationis. Oltre al borsetto ho una passione per le scarpe. Le scarpe sono l’unica cosa che mi compro, e ogni volta provo una grande gioia che mi illumina il viso e sorrido. La mania delle scarpe deve essere insorta in me, perché da bambina quando mio padre vinceva al gioco ed era munifico, faceva dei regali anche di pregio, salvo poi riprenderseli dopo poco per andarli ad impegnare al monte di pietà, le scarpe, diceva mia madre, erano l’unico oggetto che non si sarebbe ripreso tanto facilmente; quindi ci facevamo comprare scarpe di lusso, scarpe da cerimonia. Ho passato l’infanzia coi vestiti smessi di mia sorella più grande, con i maglioni infeltriti e i gomiti lisi, e delle scarpe bellissime. Un’altra cosa che compro senza mai pentirmi della scelta sono i libri. Il cerchio della mia vita è piccinopicciò va dai libri alle scarpe attraverso una borsa dell’ acqua calda. Le borse dell’acqua calda non mi durano più di un anno, poi si esauriscono, perdono la gomma interna, si sfarinano ovvero si rompono i tappi. Anche le scarpe da jogging hanno vita breve, ogni tre mesi devo cambiarle. Questa la mia piccola esistenza di orfana scrittrice. Mi piacciono tutti gli animali, ma soprattutto i cani. Somiglio io stessa a un cane di razza terrier, il jack russell, sia per fisionomia che per carattere. Al mattino vado sempre a correre, quando sono a Genova corro come una gallina starnazzante attorno ai magazzini del cotone, che sono al porto antico della medesima città di mare. Quando invece sono a Orvieto, corro intorno alla rupe tufacea su e giù per certi impervi saliscendi che poi alla fine viene mal di schiena. Corro anche in altre città e devo dire che quella in cui si corre meglio dopo Torino, è sicuramente Milano dove ci sono gli alberi nei giardinetti comunali. A Roma è quasi impossibile farlo in centro, quindi a Roma non corro e sto incattivita tutto il dì. Avrei voluto conoscere Carmelo Bene, Franco Fortini, S.Kubrick, Ennio Flaiano e Tommaso Landolfi di cui sarei diventata  sicuramente l’amante. Sono vegetariana e astemia. Amatemi uguale.

(l’EstroVerso Maggio – Giugno 2011)

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