Intervista al poeta Cesare Ruffato

CESARE RUFFATO
Gabriella Bertizzolo con Cesare Ruffato

Conosco Cesare Ruffato da vari anni, da quando un altro noto Cesare, allora direttore della Casa Editrice veneziana Marsilio, gli consegnò il mio manoscritto “Argonauta” uscito dopo il suo attesissimo licet nella collana “Elleffe” allora curata da Ruffato. Nella sigla l’unione delle due lettere L e F immortala l’affetto indelebile del Nostro per la moglie e la figlia, Liliana e Francesca, entrambe prematuramente sottratte al poeta da un tragico destino. Nella stessa collana poetica (che con la nuova gestione della Casa Editrice non esiste più) compaiono anche vari libri di Cesare Ruffato: “Sinopsìe” “Scribendi licentia”… (per “Il poeta pallido” rimando alla pregnante recensione di Luigi Carotenuto comparsa nel precedente numero de l’EstroVerso). Il poeta pallido e da qualche tempo affetto da una crudele patologia senile abita da vari anni a Vicenza, in via Zardo, pur conservando l’appartamento in centro a Padova, sua amata città natale dove compì gli studi universitari conseguendo due libere docenze, una in radiologia e un’altra in radiobiologia. Il primo di luglio dell’anno scorso, dopo un po’ che non lo vedevo, suono il campanello. Come al solito Ruffato mi accoglie cordialmente nel soggiorno del suo appartamento situato al terzo piano di un fabbricato che beneficia della tranquillità di una via sottratta al traffico vicentino. Ci accomodiamo nelle poltrone poste davanti a una delle tante scaffalature rigurgitanti di libri che arredano e vivificano l’abitazione del medico – poeta padovano in cui il nobile “mestiere” ha tracciato indelebili emblemi. Da una polo color pervinca chiaro che si ripete nelle sfumature dei capelli esce un collo scarno a sostenere un viso di austera profondità rischiarato dal brillio di due vivacissimi occhi scuri. Anche il corpo è asciutto e il portamento ancora aristocratico. So che il 3 marzo Cesare Ruffato, uno dei maggiori poeti italiani contemporanei conosciuto in tutta Europa (le traduzioni dei suoi scritti vanno dal castellano al croato, dal tedesco allo svedese, dallo spagnolo al portoghese e neerlandese, dal francese all’inglese), ha varcato un significativo traguardo e gli chiedo:

B. Come vivi alla bella età di 86 anni?

R. Ottantasei anni? Io ne ho ottantasei? Ma sei sicura?

B. Sì, Cesare, sei nato nel 1924, come Mike Bongiorno, e Marlon Brando.

R. Sììì? Controlla, mi raccomando… (ride) Beh, sto discretamente bene, diciamo che mi mantengo privo di vizi. Da tanto tempo – come sai – ho adottato un tipo di alimentazione moderata, faccio attività fisica.

B. E per quanto riguarda il tuo rapporto con la cultura e la politica?

R. Per la politica, lascerei stare… (ora il sorriso è un po’ malizioso) Piuttosto leggo molto, un po’ di tutto. Osservo che nei modi ha conservato il garbo e la consueta austera signorilità. Si esprime pacatamente, a volte con un alluso compiacimento, peraltro molto attenuato rispetto a quello che caratterizzava la personalità del nostro grafico amanuense, scopritore di una lingua alchemica, in cui tre sono gli oggetti: “la nobiltà del sacrificio/il desiderio dell’oggetto irraggiungibile/l’ispirazione del dolore” (come si legge nel testo che apre la sezione Verso Dharma, la terza e ultima dopo Sinopsìe e Filosofia presque en prêta-porter).

B. Nel tuo lavorio di scoperta della poesia confluito nella pregevole collana “Elleffe” di Marsilio hai concesso ampio spazio alle poetesse: Annamaria Ferramosca, Isabella Panfido, Nadia Cavalera, Enrica Salvaneschi, solo per citarne alcune…

R. E Gabriella Bertizzolo…

B. Già (questa volta sono io a sorridere); perché autori quasi tutti appartenenti al gentil sesso?

R. È stata una mia precisa scelta quella di vagliare testi poetici di donne (e la sottoscritta sa con quanta severità, puntiglioso labor limae accompagnato a fondamentali consigli lo ha fatto!), perché in me stimolava particolarmente la personalità e vocalità femminile. Pensa che c’è stato un periodo della mia vita in cui leggevo testi in prosa e in poesia scritti esclusivamente da donne. E le donne lo apprezzano, lo stimano e lo coccolano, a partire dalla bionda Antonella che gli ricorda gli impegni e lo accompagna nelle passeggiate per la città berica e Luisa, la simpatica coinquilina del primo piano che non si dimentica mai di preparargli la crema di piselli o la trota al vapore. Sono entrambe gentilissime e garrule, mi offrono il caffè e io colgo al volo l’occasione per scattare una foto di Cesare (o “Cesarino” come si lascia bonariamente da loro chiamare) sorridente fra le sue amiche. Appoggio la fotocamera su un ripiano dove da una custodia semi-aperta una medaglia d’oro emette mesti bagliori. “Premio Rocca Pendice di Teolo 1961”.

B. Cesare, quali sono i posti che più ami di Vicenza?

R. Mi piace passeggiare nelle piazze, ammirare la Basilica del Palladio. Spesso vado alla Chiesa di Santa Corona e al Duomo dove, a volte, assisto alle funzioni  liturgiche.

B. E il tuo rapporto con Padova, tua città natale? (l’affetto sincero per la città del Santo lo aveva già dimostrato in Padova diletta, opera del 1988).

R. Conservo ancora una casa dove mi reco saltuariamente. “Padua fair, nursery of arts” è sempre nel mio cuore assieme ai tanti ricordi dei miei studi universitari che mi hanno reso il titolo di due libere docenze, in Radiologia e Radiobiologia.

B. Cesare, tu scrivi ininterrottamente da mezzo secolo, la tua produzione è di dimensioni ciclopiche. Hai utilizzato termini della scienza medica, del latino, del francese, del dialetto d’origine, hai creato moltissimi singolari neologismi… Sorride mentre termina di sorbire il caffè.

R. Sì, è vero, ho scritto tanto, mai contento di quello che scrivevo… Non sono mai stato completamente soddisfatto delle mie pagine, le ho continuamente  revisionate, selezionate, rielaborate…Ho sempre volto la mente alla ricerca della perfezione senza mai dimenticare la complessità della classicità.

B. Scrivi ancora, immagino.

R. Sì, spesso trascorro il tempo a comporre poesie e pezzi di critica sull’attuale situazione estetico-letteraria.

B. Quali poeti sono stati importanti nella tua formazione culturale?

R. Senz’altro i classici dai quali non si può prescindere. Nei momenti di smarrimento (brevi, però, perché si riprende prontamente e in modo direi gentile) del nostro senex, rifletto con grande amarezza sul morbo di Alzheimer che, oltre al mio amato Peter Falk e a molti altri grandi esponenti della cultura e dello spettacolo, non ha risparmiato neppure lui.

(l’EstroVerso Settembre – Ottobre 2011)

 

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