Baruffe belliniane
tre favolette d’incanti e sentimenti
di Lina Maria Ugolini
Bellini in statua rapito
Straniera alla vita
Vincenzo e l’usignolo
Queste tre favolette – scritte per MusicaInsieme a Librino, per voce narrante, coro e archi, musica di Vincenzo Bellini e Luciano Maria Serra, pennello di Alfredo Guglielmino, marionette di Cartura – nascono da un personale lungo sguardo rivolto in anni d’infanzia alla statua di Vincenzo Bellini. Quando i miei genitori provavano in orchestra esploravo in solitudine, nel silenzio del velluto, il teatro senza spettatori. Arrivata nel foyer rivolgevo segreti pensieri al Cigno catanese immaginando che potesse parlare come la statua del racconto “Il principe felice” di Oscar Wilde.
Ancora oggi se osservo la figura in bronzo di Bellini mi ritrovo a dialogare in segreto con lui. Potere dell’immaginazione e della scultura, arte che imprigiona una forma a sconfiggere la caducità del tempo.
“Bellini in statua rapito”, “Straniera alla vita”, “Vincenzo e l’usignolo” dunque, compongono tre storie indipendenti, unite da un solo soggetto: una fantastica baruffa di sentimenti con la statua di Bellini. Il pennello di Alfredo Guglielmino di volta in volta con tratto estemporaneo, disegnerà su un grande telo le immagini più poetiche delle favolette; la musica originale di Luciano Maria Serra s’innesterà a quella di Bellini, a unire il filo della narrazione, a dare melodia ai versi in lingua siciliana del coro di MusicaInsieme diretto da Alessandra Toscano, chiamato a commentare in poesia e sentimenti alcuni tratti dei relativi racconti.
Nella prima favoletta la statua di Bellini è rapita da misteriosi furfanti. I ladri credendo possa parlare, scappano tra gli archi della marina nel vento di Trinacria, inseguiti dalle maschere del teatro Massimo fino alla pescheria, tra vanedde e panari.
Straniera alla vita è una donna che ha dedicato la propria esistenza, gli anni più belli della giovinezza, alla musica e al violino. Ormai vecchia accusa Vincenzo, mostra alla statua silenziosa le proprie mani, le dita storte come radici, confessa d’aver gettato il proprio strumento nella corrente o linzolu del fiume Amenano.
Alla fine la statua di Vincenzo decide di parlare a un usignolo. Gli ordina di fare qualcosa per lui, di volare lontano dalla città, nel quartiere di Librino per sapere se c’è bellezza e melodia. Affida all’usignolo le note di una serenata che non viene udita da nessuno. La statua allora decide di consegnare all’alato amico un altro dono speciale. Vincenzo poi tornerà muto e immobile per sempre.
Tragga lo spettatore di ogni favola il relativo insegnamento. Comune a ciascuna un necessario incantamento.