La musica della vita quotidiana: Pietro Montorfani e Alberto Nessi

 

In questa puntata di Chiedimi ancora ad essere messi a confronto sono due poeti di generazioni molto distanti, ma che sentono che il loro universo poetico è attraversato dalle minuzie di tutti i giorni, di ciò che avviene e non sfugge allo sguardo facendosi segno: «un sentimento, una predisposizione, che può accogliere potenzialmente tutto quanto gravita sul mio orizzonte quotidiano», spiega Pietro Montorfani dalla prospettiva dei suoi trent’anni; «Si raggiunge la poesia, la musica, l’energia delle parole rinnovate soltanto se, dietro la parola, c’è il reale che preme», o «la musica della vita quotidiana», incalza Alberto Nessi, che di anni ne ha più del doppio, perché ogni vero poeta gli «allunga la vita».

Buona lettura!

 Rossella Pretto e Marco Sonzogni

 

L’ultima opera poetica edita di Pietro Montorfani è L’ombra del mondo (Nino Aragno Editore 2020); quella di Alberto Nessi è Minimalia (EIC 2020).

 

CINQUE DOMANDE AI POETI: PIETRO MONTORFANI (1980)             

1.

In uno dei mottetti per la sua musa girasole, Clizia, Eugenio Montale parla di «segno» che «s’innerva» e lo descrive con queste parole: «sangue tuo nelle mie vene». Cosa o chi s’innerva in te arrivando a scorrere nelle vene della tua scrittura?

Non si tratta di un oggetto quanto semmai di un sentimento, una predisposizione, che può accogliere potenzialmente tutto quanto gravita sul mio orizzonte quotidiano. Rimpiango di non saper avere slanci visionari, epici, e di restare sempre (troppo?) ancorato a terra. Vorrei però non scrivere testi di denuncia, o eccessivamente sociologizzanti. Quando riesco, cerco di promuovere una poesia del positivo.  

2.

In una delle canzoni più celebri interpretate da Johnny Cash, the man in black dice di vedere un’oscurità («I see a darkness»). Quale oscurità ti è capitato di vedere e come ne hai scritto?

L’oscurità è al centro del mio prossimo libro (L’ombra del mondo). La percepisco però come zona di confine, un’ombra appunto, non come un fatto concreto o un sentimento potente e ineludibile. Per mia fortuna non ho mai conosciuto grandi drammi, morti, guerre e cerco di non scrivere mai di ciò che non conosco direttamente. Se parlo di cronaca, anche tragica, è sempre e solamente attraverso l’ombra che proiettano, non in modo diretto. 

3.

Nel discorso tenuto in occasione del conferimento del Premio Nobel per la letteratura, Bob Dylan, ricordando il suo primo punto di riferimento artistico, l’amico Buddy Holly, dice che sembrava esserci in Buddy qualcosa di permanente («something about him seemed permanent») e che riusciva a trasmettere qualcosa che gli faceva venire i brividi («he transmitted something» … «and it gave me the chills»). C’è un poeta che ti fa sentire così quando lo leggi e perché?

Direi Vittorio Sereni, per la calma con cui sa raccontare il quotidiano, per il valore permanente di alcune sue considerazioni sull’uomo, per la sua straordinaria capacità di raccontare per suggestioni la storia del Novecento, per la capacità di apertura del nostro sguardo (“A quest’ora, innaffiano i giardini in tutta Europa…”) 

4.

Un altro Premio Nobel per la letteratura, Seamus Heaney, ha detto che Eminem ha creato un senso di ciò che è possibile iniettando un voltaggio nella sua generazione («he has created a sense of what is possible. He has sent a voltage around his generation») non soltanto con il suo comportamento sovversivo ma anche attraverso la sua energia verbale («He has done this not just through his subversive attitude but also his verbal energy»). C’è stato/c’è un poeta che per te corrisponde a questo identikit?

Nel minuscolo contesto letterario della Svizzera italiana, sicuramente Andrea Bianchetti, capace di visione e ritmo come pochi altri mi sia capitato di incontrare. Nella letteratura italiana del Novecento direi Dino Campana, per le sue prose poetiche. Nella letteratura straniera forse il solo Rimbaud, e in parte Baudelaire. 

5.

Scegli una tua poesia e ci spieghi perché ti rappresenta?

Credo si capisca da sé perché questo testo mi rappresenta…

L’ombra del mondo

Che agonia questi ultimi
giorni d’Europa, accesi da albe
di destini infranti,
chiusi da sere di notizie
sempre uguali.

Muta e non muta l’orizzonte
e inspiegabilmente si avvicina,
stringe la mente dentro un cerchio
che solo il cielo contiene.

Pietro Montorfani ph. Igor Grbesic

 

CINQUE DOMANDE AI POETI: ALBERTO NESSI (1940)

 1.

In uno dei mottetti per la sua musa girasole, Clizia, Eugenio Montale parla di «segno» che «s’innerva» e lo descrive con queste parole: «sangue tuo nelle mie vene». Cosa o chi s’innerva in te arrivando a scorrere nelle vene della tua scrittura?

Spesso s’innerva in me la parola dell’altro, «sangue tuo nelle mie vene», o un brandello di vita colto al volo per le strade, un uccello che sfrasca, un’immagine, un ricordo che d’improvviso viene a galla dal fondo. La musa è imprevedibile, il segno s’innerva quando vuole.

2.

In una delle canzoni più celebri interpretate da Johnny Cash, the man in black dice di vedere un’oscurità («I see a darkness»). Quale oscurità ti è capitato di vedere e come ne hai scritto?

L’oscurità scende su di noi ogni momento, ma poi bisogna cacciarla via e lasciare il posto alla luce: è la condizione esistenziale. La realtà non è tutta luce o tutta buio, anche se nel mondo il buio prevale. Le cose che metto in versi mi appaiono sempre nel chiaroscuro. 

3.

Nel discorso tenuto in occasione del conferimento del Premio Nobel per la letteratura, Bob Dylan, ricordando il suo primo punto di riferimento artistico, l’amico Buddy Holly, dice che sembrava esserci in Buddy qualcosa di permanente («something about him seemed permanent») e che riusciva a trasmettere qualcosa che gli faceva venire i brividi («he transmitted something» … «and it gave me the chills»). C’è un poeta che ti fa sentire così quando lo leggi e perché?

Per me è la realtà a dare il brivido. Il poeta coglie il brivido, lo butta nel suo alambicco e lo distilla. Se tutto va bene, il risultato è l’arte. La poesia non è un gioco di parole ma, come dice Czeslaw Miłosz, «un inseguimento appassionato del reale».

4.

Un altro Premio Nobel per la letteratura, Seamus Heaney, ha detto che Eminem ha creato un senso di ciò che è possibile iniettando un voltaggio nella sua generazione («he has created a sense of what is possible. He has sent a voltage around his generation») non soltanto con il suo comportamento sovversivo ma anche attraverso la sua energia verbale («He has done this not just through his subversive attitude but also his verbal energy»). C’è stato/c’è un poeta che per te corrisponde a questo identikit?

Il poeta vero è un solitario, sta alla larga dai gruppi, dai crocchi, dalle confraternite. Il comportamento sovversivo del poeta sta tutto nel linguaggio speciale dei suoi versi, nella sua complicata semplicità, nell’energia verbale. Per energia intendo intensità, intensificazione: «La poesia, come il sorriso, aggiunge un filo alla tela brevissima della nostra vita» (Leopardi).

Scegliere un poeta? Ogni poeta vero mi allunga la vita. Per esempio Apollinaire, quando scrive nel mottetto L’adieu, «Nous nous nous verrons plus sur terre» e poi, contro contro ogni logica, rivolgendosi all’amata, «Et souviens-toi que je t’attends». Si raggiunge la poesia, la musica, l’energia delle parole rinnovate soltanto se, dietro la parola, c’è il reale che preme: nel mottetto di Apollinaire, c’è un «brin di bruyère», un rametto d’erica: da quel rametto viene la sovversione, la vittoria sulla morte.

5.

Scegli una poesia e ci spieghi perché ti rappresenta?

Scrivere una poesia

Al ballerino di Carimate
che mi ha chiesto come si scrive una poesia

Sì, forse è un po’ come ballare il tango
si dev’essere in due, cinger la vita
non fare il passo più lungo della gamba
assecondare l’onda dentro l’ombra
dove pulsa il sangue, fare il casqué
sulla pedana senza cascarsi addosso
inseguire il tuo cuore, Caminito.

Questa poesia può rappresentare il mio tentativo di uscire dal solipsismo per scrivere con l’Altro, rinnovando con misura la musica della vita quotidiana.

Alberto Nessi ph ©Ti-Press

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