IL ROMANZO ABITA QUI
Romanzo che scegli, Paese che vive
Da Stromboli a Ortigia, verso casa, come Odisseo.
«Se n’è andata, la sto cercando», dice agli altri. «Te ne sei andata» dice Severino, il marito di Anna, mentre parte dall’isola di Stromboli, dove con lei ha vissuto gli ultimi anni, per spostarsi a Librizzi, luogo natio che li ha fatti conoscere.
Con un incipit in media res Mattia Corrente cattura il lettore e lo trascina al fianco di Severino (detto Seve), ancora incredulo a un anno dalla scomparsa della moglie, e ossessionato dal perché della perdita come un chiodo fisso nelle carni. Con le esigue forze dei suoi ottanta anni, l’uomo si mette in viaggio determinato a trovarla e ricondurla a sé. È anziano, addolorato, e s’incammina da solo su un percorso di cui non conosce ancora il tragitto. Una recherce che riguarda al contempo la moglie e il loro passato, condotta di traccia in traccia dalla piazza del paese di Librizzi, nella solitudine in cui Anna con la sua fuga lo ha segregato, e che lui non accetta. Toccherà Lipari e altre isole delle Eolie, Patti, Tindari, Ortigia e Siracusa, là dove persiste ogni ricordo che lo lega a lei.
La Sicilia orientale, Stromboli e le altre isole delle Eolie (su cui affaccia Librizzi, il come nativo dell’autore), sono ne “La Fuga di Anna”, di Mattia Corrente, il teatro di un viaggio a ritroso nel tempo, della ricerca di un tempo perduto nell’incomprensione della donna amata, «immobile sull’uscio a domandare permesso come a chiedere scusa per il troppo amore.» Isole sono i luoghi d’ambientazione come lo sono i personaggi, in una Sicilia che qui è soprattutto paesaggio, natura, odori, voci e colori lussureggianti.
«Ortigia conserva sempre la sua luce, un bagliore rosso in mezzo al mare blu cobalto. Le case color sabbia coi portoni incastonati nella pietra, le strade terrose, i gatti sdraiati nelle fioriere di piante grasse, le vecchie con i capelli intrecciati in impeccabili chignon sedute sull’uscio a fissare i turisti di passaggio. I corridoi di cielo sopra le vie, i palazzi con i porticati abbandonati alla bellezza dell’incuria, raffiche di odori che il vento ruba scavalcando le grate delle finestre dei ristoranti, le botteghe, le case. Odori di limoni, nepitella, sudore, frittura e acqua stagnante. E le grida degli ambulanti che agitano le teste d’aglio intrecciate, i pomodori di Pachino, il pesce fresco. La loro voce riecheggia per tutta l’isola fino all’imbrunire. Mi manca il fiato per imitarli. Se potessi, farei lo stesso, urlerei tra le strade di Ortigia che il mio amore per te ci ha seppelliti dentro una buca e ti cerca ancora per riportarti là dentro. Ti vuole a fianco in quella scatola di legno, pure se al buio e senza una fessura da cui riuscire a respirare.»
Un romanzo di individui-isole, un romanzo sulla vecchiaia. L’autore fa indagare a Severino tutti i se mancati del passato, tra dubbi e ricordi dolorosi. Come il protagonista di “Quel che resta del giorno” di Kazuo Ishiguro, anche lui scoprirà verità nascoste, e anche lui non potrà cambiare il finale degli eventi.
Gesti e tratte del viaggio, rimembranze ora appassionate e ora dolenti, con la voce narrante iniziale in seconda persona, che passa nel capitolo successivo in terza e poi di nuovo in seconda, e ci fa sentire punti di vista diversi. Un libro a più voci, quindi, per una storia familiare la cui dinamica è ricostruibile dalla visione che ciascun attore ha della stessa, come la grande Virginia Wolf ha per prima sperimentato col suo “Mrs. Dalloway”.
Severino è il narratore esterno che racconta di sé e di Anna, nel giorno del matrimonio, con quel suo imprevisto ma pervicace rifiuto di raggiungere l’altare per un rigurgito di attaccamento al padre, Peppe, che l’ha abbandonata da bambina. Giacché nei contesti familiari, a un certo punto gli equilibri si rompono, ciascuno si difende dal male a suo modo e da qui discende la storia di quel nucleo.
Romanzo familiare, ma anche corale nella misura in cui le varie personalità che compaiono – Anna, Severino, Peppe- hanno tutte una storia che viene raccontata, ma sono solo comparse della vera protagonista, la fuga, che come una malattia genetica si contagia da Peppe ad Anna, e infine a Severino inseguitore; tutti personaggi senza più un luogo, in una sorta di gioco di specchi in cui Anna si riconosce nel padre. La fuga dai ruoli (di moglie per Anna e di padre per Peppe) è in questo romanzo un atto di libertà, l’unico per salvare gli altri e per imporre una versione autentica di sé, ma è anche una sorta di condanna, uno spaesamento e al contempo un atto di violenza per gli altri familiari, che ne soffrono e non si danno pace.
E se dal male ci si può difendere, per l’autore, dal troppo bene no. È troppo il bene di Severino come è troppo il bene di una madre. «Al destino ineluttabile delle madri che restano madri per sempre. Alla mia. Mi hai costretto a scrivere per inventare con le parole altre versioni di me, lontane dal tuo amore implacabile.» La dedica in apertura al romanzo anticipa un altro tema parallelo a quello già menzionato della fuga.
Anna e Severino hanno un figlio, Antonio, nato il sette gennaio del 1968. La trama lo rivela oltre la metà del volume. «Il destino o chi per lui voleva che Anna fosse madre». Perché Antonio nacque malgrado il medico ritenesse che il feto non sarebbe sopravvissuto al parto, e forse anche Anna. Lo considerò un miracolo o un caso che la scienza non sa spiegare.
Su questo tema della maternità al Sud, quasi eroica e dal ruolo primario, la trama pone una riflessione tagliente. Queste “donne che per tutta la vita si sentiranno responsabili di un’altra creatura perché l’hanno messa al mondo e graviteranno per il resto dei giorni intorno ai loro figli brillando di luce riflessa. Vivo per mio figlio, diranno, soffro per mio figlio, sono felice per mio figlio, a me basta che stiano bene i miei figli, nessuno tocchi i miei figli.”, sono donne da cui, per l’autore, non esiste difesa.
Nell’orchestrazione di voci, confessioni, ricostruzioni di eventi passati noti o svelati dal viaggio, Mattia Corrente lascia al lettore il compito di riconoscere voci narranti, comporre la compiutezza delle vicende, distinguere le opinioni dai fatti, individuare la miccia del dramma, scompigliare le carte del bene e del male in amore. Nessuna facilitazione, poca indulgenza, nell’evidente ricerca stilistica dal linguaggio nitido e pieno di echi di Mattia Corrente. Qualche pennellata fugace di siciliano comprensibile ai più (come l’uso di «assai») in una scrittura rigorosa; nessuna traccia didascalica nella narrazione tesa a scavare e a svelare in una mirabile girandola di ricordi a due bande colorate, ora grige come la tristezza di Anna, ora vivide come l’amore di Severino che tutto vede e coglie del disamore di Anna, ma mai desiste dal volerla, pur se mal ricambiato.
Sono rimembranze incastrate, alternate, che svelano la verità dei protagonisti sempre un passo dopo i gesti compiuti, in prima battuta ambigui o misteriosi al lettore.
Stromboli, Lipari, Salina, tutte le Eolie, isole come i personaggi del romanzo, contestualizzano la storia senza invaderla e ne sono specchio. Luoghi del vagare dei personaggi che fanno eco al mitico Odisseo.



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Mattia Corrente (classe 1987), è nato in Sicilia a Librizzi (Messina) dove tuttora vive. “La fuga di Anna” (Sellerio, 24 feb. 2022) è il suo romanzo di esordio ed ha raccolto fin dall’uscita ampi consensi. Vincitore di noti premi letterari – Premio Città di Erice 2023, Premio Kihlgren Opera prima Città di Milano 2023, Premio Parco Majella 2023, Premio Letterario Nazionale Clara Sereni 2022 – è inoltre giunto finalista al Fiesole under 40, al John Fante e al Premio Città di Cuneo. Tradotto nel 2023 per la Repubblica Ceca, pubblicato a marzo 2024 in Francia da Le bruit du monde per la traduzione di Jacques Van Schoor, successivamente uscito in Polonia per i tipi di Bo.wiem.
In copertina LIPARI, foto di Lucia Russo ©