IL ROMANZO ABITA QUI (“La prima verità”, Simona Vinci)

IL ROMANZO ABITA QUI
Romanzo che scegli, Paese che vive

 

 

Senza via d’uscita. Bastava solo che fossero diversi, dissenzienti, non omologati, e in nome delle “ragioni sociali” la dittatura dei colonnelli li portava a Leros, la bella isola rocciosa del Dodecaneso posta tra le più famose Patmos e Lipsi e Kallimos, a poche miglia dalla costa turca. Succedeva fra il 1968 e il 1974 nelle due caserme di destinazione, a Lachi e a Partheni. Disadattati, bisognosi, malati e poeti venivano prima deportati, poi reclusi nella colonia psichiatrica, sovraffollata, e infine abbandonati senza alcuna assistenza. E anche chi non lo era inizialmente veniva dato poi per folle, o lo diventava vivendo sevizie, lo diventava venendo privato di ogni riferimento con l’ambiente esterno. Tanti di loro sono scomparsi nel nulla e quasi nessuno ne è uscito vivo fino alla data dello scandalo internazionale.
L’inferno di quest’isola greca, ovvero il peggior manicomio nel mondo reso noto all’opinione pubblica negli anni Novanta (la Grecia si era unita alla Comunità Europea nel 1981) e lentamente riformato in seguito a una risoluzione dell’Unione Europea, rivive in tutta la sua aberrazione nel romanzo La prima verità (Einaudi Stile libero, 2016) di Simona Vinci.
Già dal 1957 era stato costruito a Leros un Manicomio Statale, e l’allora regina Federica dal 1959 vi aveva esiliato gli orfani della guerra civile, cioè i figli dei confinati per motivi politici, che venivano “rieducati” ai valori di patria, onore e obbedienza. Una deportazione che continuò per centinaia di innocenti provenienti da tutta la Grecia, e che vide la struttura accogliere fino a tremila persone.
Tante prigioni, analogamente agli istituti psichiatrici e ai luoghi di confino per dissidenti, sono sorte su lembi di terra ferma sorvegliata dal mare aperto. Ma il destino delle isole non è uguale per tutte, non sempre esso perpetua oscurità, né «fantasmi» come quelli che l’autrice nell’incipit del romanzo dichiara veri protagonisti della storia, e di cui specifica l’accezione greca originaria nelle ultime pagine: «phantasma da phantazo: io apparisco, faccio vedere.» Oggi la bella Leros è diventata una meta turistica (ma non tra le più frequentate) anche per quella notorietà di “isola dei folli” che il romanzo di Simona Vinci ha riesumato, e che gli abitanti rifuggono dal ricordare. Una direzione comprensibile ma contraria all’ispirazione del romanzo:
«I fantasmi sono presenze che hanno lasciato la capacità di apparire a proprio piacimento, che persistono al di là dello spazio e del tempo e con la loro presenza-assenza inquietante mettono in guardia, usano la paura che riescono incutere per impartire una lezione: ciò che è stato può essere di nuovo, dovunque in qualsiasi momento. Il passato non si seppellisce non si decompone, ma continua a vivere con la sua eco a volte dolorosa e distruttiva dentro quelli che vengono dopo.»

Leros «È un’isola, – scrive Simona Vinci nel prologo secondo – quindi di per sé un luogo misterioso, nel quale vigono leggi diverse che sulla terraferma continentale. Le isole hanno a che fare con gli spostamenti tellurici e con le eruzioni vulcaniche, possono apparire e scomparire nel corso di pochi mesi oppure milioni di anni; la loro origine spesso segnata da un’esplosione devastante che dal cuore del pianeta si propaga verso l’alto e costringe la terra a spaccarsi e il mare a infuriare. La loro esistenza non è data per scontato una volta per tutte e per questo sono tanto affascinanti e terribili. Sono forse i luoghi della terra che più somigliano agli esseri umani: hanno i giorni contati fin dal principio contengono in sé il germe della loro estinzione e la loro vita è soggetta a mutamenti che arrivano dall’esterno, imprevedibili e impossibili da evitare.»
Uno stesso destino accomuna quindi Leros e le persone che vi sono state confinate, imprigionate e abusate. L’una non può sfuggire a mutamenti esterni, a eventi naturali capaci d’inghiottirla in pochi secondi, gli altri non possono sottrarsi a chi ha deciso di perseguitarli. È un vissuto rintracciabile in diverse epoche storiche, sempre capace di riprodursi: un orrore da cui salva solo la poesia.
«Leros – ha scritto qualcuno – è il frutto di un complotto tra geografia e storia.»

 

 

Vincitrice del Premio Campiello 2016, Premio Libro dell’anno 2016 votato da Fahrenheit Rai Radio 3, del Premio Volponi 2016 e vari altri riconoscimenti minori, l’opera a suo tempo scosse per la durezza dei temi nell’atrocità dei fatti narrati, e fece parlare di sé come già era accaduto al primo romanzo di Simona Vinci, Dei bambini non si sa niente (Stile libero, 1997).
Un libro complesso – La prima verità – che sfugge alle classificazioni, con vari salti temporali, teso tra poesia, realtà storica, autobiografia e finzione per stessa menzione dell’autrice alle ultime pagine del volume, con l’importante avvertenza che i dati e i fatti corrispondono alla realtà storica e il sentire fortemente autobiografico riposto nel personaggio di Angela è l’alter ego dell’autrice.
Forse, un libro non per tutti i lettori, né per tutti i momenti, per lo scenario cupo, per quella scrittura dal linguaggio crudo su scene terribili di per sé, ma cristallina e potente, che descrive il volto più oscuro dell’animo umano, che ritrae le sue vittime innocenti, che infine corre e scorre su legami e connessioni apparentemente lontani, e invece correlati, poco visibili ma prossimi a tutti, non solo confinati a Leros. Per tutto ciò La prima verità è un libro che entra nelle viscere, le fa sanguinare ma le rimargina grazie a una narrazione ricolma di anime, dove alla disumanità degli aguzzini si oppone la trascendenza della poesia, col suo irriducibile anelito alla vita, pur violentata e schiacciata.

«Disse: Credo nella poesia, nell’amore, nella morte,
perciò credo nell’immortalità. Scrivo un verso,
scrivo il mondo.
Dalla punta del mio mignolo scorre un fiume.
Il cielo è sette volte azzurro. Questa purezza
è di nuovo la prima verità, il mio ultimo desiderio.»

Così i versi in epigrafe al volume, ripresi dal poeta greco Ghiannis Ritsos che a Leros fu detenuto politico, e che il romanzo impersona nel poeta Stefanos. Versi in cui l’autrice ripone l’essenza del titolo.

 

 

Per quelle connessioni viste da lontano – suaccennate – che l’autrice ricuce nella complessità della struttura narrativa, all’isola di Leros si accostano fugacemente altri siti d’ambientazione del romanzo, come Budrio (Bologna), la sua città natia.
Con un triplo prologo, il viaggio inizia a Leros nel suo manicomio, il peggiore del mondo, ma ad aprire è la descrizione di una terribile fotografia pubblicata nel 1970 dalla rivista L’Espresso, dal titolo: «Ma è per il suo bene». In copertina, una bambina legata al letto dell’ospedale psichiatrico Villa Azzurra di Grugliasco in provincia di Torino. È nuda, e “quel bene” è la pratica dell’elettroshock, che veniva usata come cura d’urto per bambini considerati ribelli e ineducabili. Grazie alla legge Basaglia, nel 1978 Villa Azzurra chiuse i battenti. Nel racconto della protagonista, Angela, dietro la quale si cela la stessa scrittrice, che si reca a Leros per raccogliere documenti e testimonianze a fini di studio, stampa quella foto e la affigge in ogni stanza in cui si trova a lavorare, a ricostruire i segreti e le storie dei «fantasmi» di quel luogo, ivi compresi i medici, la dottoressa Lellis e il dottor Moros.
Dopo le ispezioni dell’UE sull’isola, tra i giornali di tutto il mondo che se ne occuparono, un reportage della BBC ebbe un grande clamore su scala internazionale. Grazie a un’equipe di medici e educatori della scuola di Trieste e all’antipsichiatria di Franco Basaglia, il manicomio venne chiuso verso la fine degli anni Novanta, con parte degli ex malati introdotti in comunità, altri rimandati a casa, altri ancora riuniti in una cooperativa sociale. Abitano in piccole case all’interno del parco manicomiale, e le famiglie residenti in quello stesso abitato fanno da custodi della loro autonomia riconquistata.
Questa ricostruzione storica è contenuta nella parte finale del romanzo, che assume qui una veste di saggio storico-giornalistico spinto fino al 2015, quando le baie, le spiagge di questa bella isola dal mare incantato hanno visto approdare barconi stracolmi di siriani in fuga via mare, in transito verso altre mete europee dove chissà se, e come, sono mai arrivati. Per Simona Vinci, nuovi «fantasmi» che da Leros ci avvertono.

 

in copertina ph GrottaBlu © Antonio Politano

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