tre domande, tre poesie
Foglia e Radice è la prima prova poetica (pubblicata da peQuod, nella collana portosepolto) di Ilaria Amodio, una prova che si fa subito solida sin dai primi testi che troverete in questa raccolta. L’autrice emerge nei versi tra un io e un noi che si fa strada tra la terra, i vicoli e le finestre, quasi fossero un unico nucleo condiviso. Un territorio onnipresente che racchiude la geografia dei sentimenti; attraverso la terra, tra queste foglie e queste radici, troviamo la mappa dell’esistenza. Un esserci che si esprime proprio nella compresenza con il territorio, una poesia quindi che offre al lettore tutto il fluttuare delle moltissime sfumature emotive, degli sguardi che hanno diverse gradazioni di intensità; il lettore può vedere il mondo con occhi nuovi, entrare dentro l’iride dell’autrice e da qui venire scarcerato, collocato in nuove visioni, finalmente liberato dalla percezione individuale, mono oculare. La mappatura delle radici non si costringe a un luogo perimetrato, specifico e chiuso, ma spazia tra stati diversi, i confini assumono il carattere dei banchi di nebbia, si spostano esattamente come noi ci muoviamo. […] Il corpo stesso si fa radice e foglia, se il contenuto emotivo trabocca come fiumi in piena ed esce dal suo abituale confine imposto dalla società, l’autrice qui si espande e diventa la natura stessa. Il corpo si dilata e rientra nel ciclo naturale, diventa albero e torrente, cerca di uscire dal particolare per entrare in un flusso cosmico: “per spogliarsi un’etichetta/ come il frassino a ottobre/ la sua fronda”. L’umano quindi si spoglia di etichette, va a ricercare una confluenza originaria, apparentemente perduta, dove in realtà basta poco per rientrare dentro un flusso naturale, essere paesaggio e fronda, foglia e radice.
(dalla prefazione di Clery Celeste)
Qual è stata la scintilla che ha portato il tuo “Foglia e Radice”, meglio in che modo la (tua) vita diventa linguaggio?
Foglia e Radice nasce durante gli studi universitari a Bologna, taccuini e appunti sparsi su una scrivania, scritti tra una fermata dell’autobus, attese in aeroporto, in un contesto di cambiamenti e scoperte attraverso viaggi in Europa e in Italia. Ma nello specifico, credo che la poesia nasca per dare voce a un vuoto che in qualche modo accompagna tutti, in diverse forme e misure. Il tema implicito dell’opera prima è l’attraversamento, il viaggio, inteso sia come camminata individuale sia collettiva per ribadire il concetto che non esiste un io se non c’è un tu a cui rivolgersi. Anche il titolo Foglia e Radice è un richiamo implicito al tema dell’attraversamento: questo farsi ponte, passaggio tra una parte terrena e una più spirituale. La radice è ciò che resta ancorato alla terra e che non vediamo quotidianamente; essa è la vita che scorre e brulica sotto il suolo, è la zolla d’ombra inesplorata, l’origine delle cose, talvolta l’inconscio. Dalle radici ripercorriamo il fusto in un passaggio che conduce verso l’alto, il cielo, fino ad arrivare alla foglia, a contatto con l’atmosfera e, a differenza delle radici, essa abbandona il ramo nella sua ora crepuscolare. Ma per risalire è necessario guardare indietro, ridiscendere e attraversare la zona d’ombra, quella che non vediamo quotidianamente e che scalpita di esistenza, di creazione. La vita diviene linguaggio tramite l’esperienza di un vuoto che in qualche modo necessita di essere attraversato. È una terra di mezzo che separa e unisce, sospinge a farsi passaggio tra ciò che resta e ciò che declina inesorabilmente, diviene un tramite tra la terra e il cielo; la parola è il tentativo di rendere visibile ciò che non lo è ad occhio nudo e che in qualche modo prova a resistere sotto questo cielo, restituendo così una presenza che c’è da sempre. Questo tentativo è stato la “scintilla” che ha portato a scrivere Foglia e Radice.
La poesia è un destino?
Tutti abbiamo delle ombre, o un vuoto, che chiedono di essere attraversati per rinvenire una luce, per cui penso che ognuno di noi possa avere un’inclinazione artistica. Tuttavia credo che, in alcuni casi, sia l’arte stessa a richiamare una persona, prima ancora che sia questa a ricercarla. Per cui, sì, credo che la poesia possa essere un richiamo, una specie di destino a cui rispondere e non saprei dire se ciò sia un bene o una condanna; perché la poesia implica un sentire, uno sguardo sul mondo che reca sì, tanta bellezza e meraviglia, ma anche altrettanto dolore.
Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare tre poesie dal tuo libro; e di queste scegline una per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere (nel contesto del libro che l’accoglie).
Per rispondere a questa domanda, vorrei partire dal testo La malinconia per il mondo.
Non ricordo bene quando è stato scritto, ma ricordo che l’idea dei primi versi si è tracciata nella mia mente fin da subito, molti anni addietro, evocandomi un’immagine: quella di una marea che si ritrae, restituendo qualcosa finora rimasto celato, quasi assopito, ma sempre presente. Il testo richiama il concetto che nulla è in separazione a un altro, che nella sua ciclicità tutto tende a fare ritorno come le onde e le maree. Ad arenarsi sulla riva restano parvenze di ciò che è stato e che, nonostante il logorare del tempo, continua a vivere sotto questo cielo, impresso nella terra. Il tema è l’attraversamento, lo scorrere del mondo e le sue stagioni, per poi riapprodare al solco sulla nostra mano, consegnandoci a una forza sovrannaturale, un’entità che ne sa più di noi e che ognuno può nominare come meglio crede. Lasciar cadere ogni possibilità, è anche un accettare seraficamente quello che si presenta sollevandoci, a volte, dal peso di una responsabilità e l’impegno di dover manovrare un destino in un determinato modo e a tutti i costi. Non si tratta di arrendersi a un fato, né a una speranza, bensì di accogliere la vita e il mondo nella propria mano per come arrivano – al fine di comprenderne meglio il significato -, schiudere le braccia verso l’infinito che si protrae dinanzi, rientrare nella ciclicità senza subire l’inganno di cancelli temporali e seguire un flusso di fiducia, il proprio – che così sarebbe stato// che avresti comunque afferrato// la mia mano.
scelte per voi
*
La malinconia per il mondo
Si ritrae in una marea
Di canti e popoli dispersi
I Padri lasciano le nostre mani
Solcano terre straniere
Oltre i porti a noi sconosciuti
E che sorgano come vele
Al vento le nostre braccia
Lasciar cadere ogni possibilità
Che così sarebbe stato
Che avresti comunque afferrato
La mia mano
*
Mi sfiori il grembo come mio padre
Sfiorò il grembo di mia madre
E nella carezza le voci
Di fanciulli, tinte di paesaggi
Crepuscoli e lune che verranno
C’è una mappa nelle nostre mani
E nell’unirsi, forse ignorano
Già d’appartenersi
*
Tutto si riduce
A un frammento di passi
Un grido remoto ormeggia
Nei nostri volti,
odori e suoni solcano la pelle
lo sguardo di chi ancora non sa
che il viaggio ti spoglia
e riveste la gioia e la rovina
del mondo
—
Ilaria Amodio è nata l’8 febbraio 1994 a Milano. Vive nell’entroterra riminese dall’età di nove anni. Laureata in Lingue e Letterature Straniere all’Università di Bologna, nel 2017 è finalista al Premio Nazionale Biennale di Poesia Agostino Venanzio Reali, per la sezione giovani. Nel 2019 è vincitrice del Premio Nazionale di Poesia E. Cantone riservato ai giovani e vincitrice del Premio di Poesia Vita alla Vita Under 30. Foglia e Radice è la sua opera prima.