Maria Gabriella Canfarelli. MONOLOGO DI PIETRA (versi per il venticinque novembre).

 

Il nome

Il nome ch’era mio caduto a terra
al nudo al freddo delle mattonelle
incastrato tra la sedia e il tavolo
su cui poggiavo i giorni
e il giro di lancette
sul polso del mattino il tempo segna
che m’ alzo di buonora e sono
sola con te davanti torvo
mio ricordo sbagliato
amore amato amante
che m’hai bucato il sole
col coltello affilato
uguale lama uguale
impugnatura da cucina
pensando fossi io
la più succosa carne da macello.

Il tempo di capire

Mettevo dello smalto luccicante
alla porta del giorno era l’estate
e tu che sempre male recitavi
amore, pentimento, mano al cuore
la tua parte spergiura
la tua parte sincera a voce grossa
prendeva a calci la disubbidienza
il non volere stare zitta e prona
ai tuoi voleri armati sino ai denti
e allora sì, che t’ho riconosciuto
eri senz’altro tu, sempre lo stesso
e quest’ultima volta eri per me
la data di scadenza.

Azzurro principe

Rivedo d’anni addietro farsi stretto
il tuo completo incantatore azzurro principe
di volta in volta e del tutto sbiadire
in un colore imperfetto. E penso e dico
e so d’essere viva tra le bende
da sciogliere dunque ringrazio
la pioggia benedetta
rimasta nella pozza del mattino
in cui ho tuffato il volto in fiamme
ch’era il mio (che non è più lo stesso).

Corpo immobile freddo

Avevo imparato a sminuzzare
con le dita i giorni, il malincuore
insieme alla pazienza, dura prova
da donna a donna lascito
e ombelico. Morto quel tempo
che pensavo amore
ed era invece solo minutaglia
erano cocci andati
come rotto l’osso del collo
spinto dalle tue mani per le scale
è morto. Non mi farà
tornare la preghiera a dio
il perché di tanto freddo
del corpo immobile
che un amore di madre impastò
per nove mesi di buona fattura.

La casa è vuota

Rivedo il lampo, il lapsus
il non raccolto segnale del giorno
che ho sentito saltare dalla pelle
l’acqua battesimale. Mi stringe
a morte il buio, ultimo laccio
annodato al silenzio perfetto
e alle braccia alle dita intrecciate
inoperose: non fioriranno
alla nuova stagione le piante interrate
in giardino, la casa è vuota delle risate
e dei giochi dei figli.

 

 

in copertina, Henri Matisse, La stanza rossa (1908; olio su tela, 180,5 x 221 cm; San Pietroburgo, Ermitage)

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