Il tema dell’esilio inteso come mancanza originaria dell’essere rimanda al vincolo di immanenza – trascendenza costituito dalla questione ontologica dell’Essere. Ancora di più allorché Zambrano avverte la condizione di mancanza, di nudità, dell’uomo, dovendo ri-nascere e ri-comprendersi attraverso la propria interiorità. E che altro significato ha lo scritto «La tomba di Antigone» se non la conquista dell’originario vincolo con l’Eros, Principio primo fondante l’Essere e l’esserci di tutte le cose. Un tema quello della “mancanza” che ritorna nella corrispondenza che Zambrano ha con l’amica poetessa Reyna Rivas allorché scrive che l’uomo è venuto al mondo senza un posto, dovendo rinascere più volte per trovare una casa. Esattamente quella originaria dell’Essere da cui l’ente umano è espressione di energia e di vita assieme a tutti gli esistenti degli universi mondi. La casa dell’Eros che costituisce l’Essere e l’esserci del mondo.
Se pure non esplicitata e tematizzata la questione ontologica è sentita e posta dalla filosofa spagnola interessando la stessa visione antropologica dell’uomo, ente finito, sofferente, mancante, ma dotato della luce del divino come scintilla dell’eros che è vita, pensiero, immaginazione, umanità. Illuminanti le parole della filosofa: Per questo non è possibile essere umanisti, né smettere di esserlo. Un umanesimo che guarda all’individuo nella sua interezza – corpo e anima – che deve farsi e ri-conquistarsi nella sua umanità attraverso la fatica del vivere e del pensare. Una umanità non scontata né gratuita, che richiede il crogiolo della vita come conquista paziente di sé data dall’eros costitutivo dell’Essere. Il progressivo emergere della coscienza attraverso il non facile singolo vissuto per cogliere il valore di quello che i filosofi greci denominavano “anima”, commettendo l’errore di vederla come un’entità a sé stante, prigioniera del corpo dal quale liberarsi. Un’astrazione concettuale conseguente al primato del logos che sta alla base della metafisica classica e del pensiero dell’Occidente. Laddove è attraverso la vita nella sua concretezza personale e storica che può emergere, per mezzo della meraviglia e della riflessione, il senso fondante dello spirito che lo anima e lo fa essere. Un’anima impastata di vita, quindi, intimamente compresa nell’io esistente fatto di finitezza del corpo e di energia vitale come scheggia dell’originaria ed eterna Energia fondante l’Essere e l’esserci della realtà. Nessuna astrazione del concetto di anima e nessuna separazione tra anima e corpo, ma la progressiva consapevolezza che ogni individuo ha un proprio involucro iscritto nel tempo che riceve vita e dinamismo da una energia che è propria dell’Eros fondante l’Essere. Un’energia ontologicamente eterna che è e fa essere ogni cosa, mentre l’involucro costituito dal corpo, una volta perso con la morte il flusso vitale, si decompone in materia fino a divenire altro. Muore il corpo, non lo spirito vitale, l’anima. Eterna è l’energia generata dall’Eros, il divino che è vita e dà vita a tutta la realtà esistente, visibile e invisibile. La specifica legge fisica sulla conservazione della massa formulata a fine XVIII secolo da Antoine-Laurent de Lavoisier per il quale «Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma», trova senso e compimento generativo nel principio ontologico originario dell’Eros fondativo dell’Essere e dell’esserci. Uno sguardo nuovo sulla realtà che include il nascosto, l’ombra, che riconosce il vincolo di parentela tra tutti gli enti esistenti, ciascuno con la propria particolarità e caratteristica, nell’infinita varietà e magnificenza della bellezza e della meraviglia della vita. Uno sguardo che unisce cielo e terra, visibile e invisibile, recuperando per intero il mistero generativo della realtà che trova compimento nel dinamismo dell’energia che si fa essere e vita. Una visione laica del creato che esclude un Dio trascendente e personale, molto meno un paradiso e un inferno per gli uomini, una colpa e una redenzione per loro – fallaci imposture millenarie – per una nuova ontologia fondata sull’Eros, come Atto Primo dell’Essere. È la meraviglia della vita nel suo mostrarsi e farsi a rimandare all’Amore come atto generativo primo della Vita, svelando il senso del mistero dell’esserci delle cose. Alla domanda quale sia il senso della vita, la risposta è la meraviglia della vita stessa. Nessun altro scopo ha la vita se non il compimento della stessa. Da qui la sua sacralità. Questo senza misconoscere la parte mancante, finita dell’essere umano, fatta di paure, di sofferenze, di malattie, di dubbi, di passioni devianti. Quel lato oscuro che accompagna il vivere ad iniziare dal proprio involucro che caratterizza e determina l’io, unico e irripetibile, nel mistero inesplorato del caso. Perché io e non un altro? Perché ora e non prima o dopo? Una corazza che ci appartiene e che ci distingue e ci separa dagli altri, come isole che galleggiano in un mare, ora placido ora in tempesta. La nostra corporeità, la nostra temporalità, la nostra spazialità, le nostre percezioni, sensazioni, pensieri, desideri, paure, appartengono alla realtà nascosta di ognuno di noi, non sono meno reali anche se invisibili e talora sconosciuti a noi stessi.
Una nuova antropologia dunque che comprenda per intero la realtà fisica e psichica d’ogni essere umano nella specificità e temporalità del suo essere, alla ricerca dei varchi presenti nell’uomo capaci di superare i confini della propria isola e connettersi con gli altri esistenti. Perché se da una parte la vita si rivela nella sua unica singolarità – così nel regno naturale, animale e umano – per l’uomo tale singolarità e unicità rimanda all’angoscia della sua solitudine metafisica; dall’altra ciascuno è solo, ma non si è soli. Isole certamente, ma assieme ad altre isole, cui tendiamo nel desiderio di conoscere, di amare, di condividere. Una solitudine aperta all’incontro tramite l’amore. Amore per la bellezza della natura, per l’arte, per l’immensità degli universi, per il mistero del sacro. Una ricerca e un incontro non facili, anzi assai difficili, costellati da incomprensioni, sconfitte, perdite, dolori, vuoti. Ad iniziare dalla diversa percezione che ognuno ha delle cose, dal senso che riceve dal linguaggio, dall’esperienza emotiva nella quale quella comunicazione avviene e si realizza. Da qui l’infinita gamma delle ostilità, delle inimicizie, dell’esplosione delle passioni negative, in parallelo a quelle positive date dall’innamoramento, dalla compassione, dal farsi altro per comprendere ed amare. Un’antropologia che riflette l’unità dell’essere umano nella sua duplice componente di “chiusura” e di “apertura“ al mondo. L’immaginazione, l’empatia, il cuore, l’innamoramento, l’ansia d’infinito, sono i varchi che fanno volare l’individuo oltre le ristrettezze fisiche della sua condizione per connetterlo con gli infiniti mondi esistenti in forza della comune origine data dall’Eros come energia prima costitutiva d’ogni realtà. E se da una parte viene recuperata l’esigenza parmenidea dell’Essere nella pienezza di sé, dall’altra tale pienezza si esprime in un dinamismo interno che fa essere tutti gli enti, senza per questo perdere o mutare la propria essenza ontologica. In altri termini Parmenide ed Eraclito anziché contraddirsi ed essere antiteci, sono intimamente complementari e necessari. Solo grazie al superamento della logica classica è possibile comprendere la ricca complessità della realtà dove gli opposti si annullano e le apparenti contraddizioni si risolvono. Lo stesso concetto di verità perde la sua astrattezza e si fa consapevole di una conquista per approssimazione, mai ultima e definitiva. Una verità non più oggetto esclusivo della logica, della filosofia, ma anche dell’arte, della letteratura, della poesia, capaci di inoltrarsi nel territorio inesplorato del nascosto. Solo attraverso l’arte nelle sue varie forme è possibile attingere l’indicibile e rappresentarlo in qualche modo, rivelando le pieghe più recondite e nascoste. Non una sconfitta del razionale, ma la consapevolezza dell’insondabile mistero del creato di cui avvertiamo la meraviglia senza comprenderla appieno. Esattamente la sacralità del mistero che Giorgio Caproni affidò a queste parole: Buttate pure via ogni opera in versi e in prosa. Nessuno è mai riuscito a dire cos’è, nella sua essenza, una rosa. (ntl Anno XXXIV – 153).